Formigoni. Perché era davvero «un copione già scritto»

Di Pietro Piccinini
25 Marzo 2019
Così il processo ha “ingabbiato” l’ex governatore lombardo già molto prima di raggiungere il grado definitivo. Analisi di un verdetto

In via eccezionale rendiamo fruibile anche per i non abbonati un articolo tratto dal numero di Tempi di marzo 2019

Diversi osservatori ritengono la sentenza per corruzione di Roberto Formigoni un verdetto “innovativo”, per usare un eufemismo. Se è vero che di innovazione si tratta, comunque, c’è poco di cui rallegrarsi, come Tempi ha provato a spiegare in più occasioni. Per capire definitivamente che cosa c’è di “innovativo” in questo giudizio, vale la pena di ripescare alcuni passaggi illuminanti (altro eufemismo) delle motivazioni della condanna di primo grado, emessa nei confronti del Celeste il 22 dicembre 2016 e sostanzialmente mai smentita, anzi aggravata nei gradi successivi fino alla Cassazione.

Come è noto, Formigoni è stato riconosciuto colpevole di «asservimento della funzione pubblica agli interessi privati» della Fondazione Maugeri e della Fondazione San Raffaele. Cioè, a prescindere dal metodo e dal merito dei singoli atti di ufficio riferibili all’ex governatore nell’ambito della sanità lombarda, Formigoni secondo i giudici garantiva una «“copertura globale” degli interessi» delle due società, a fronte non di denaro sonante, bensì delle famose utilità (cene e vacanze, casa in Sardegna con supposto sconto). Come spiega Giancarlo Cesana, e come ricordano le motivazioni della condanna di primo grado, è stata la legge Severino (n. 190 del 2012) a riscrivere il codice penale in modo da portare – parole dei giudici –

«nel delitto di corruzione un’importante novità: il baricentro del reato non è più l’atto di ufficio da compiere o già compiuto, ma l’esercizio della funzione pubblica. […] Dal testo dell’art. 318 è scomparso ogni riferimento all’atto dell’ufficio e alla sua retribuzione e, a seguire, ogni connotazione circa la conformità o meno dell’atto ai doveri d’ufficio e, ancora, alla relazione temporale tra l’atto e l’indebito pagamento». Ciò significa, chiariscono le toghe, che si può essere incriminati per avere asservito l’esercizio della funzione pubblica a un corruttore «a prescindere dal fatto che tale esercizio assuma carattere legittimo o illegittimo e, quindi, senza che sia necessario accertare l’esistenza di un nesso tra la dazione indebita e uno specifico atto dell’ufficio».

Adesso è più chiaro perché era così importante per i magistrati – e per gli hater di Formigoni – sottolineare quanto fossero abominevoli le presunte utilità ricevute dal Celeste? Perché se c’è un faccendiere pagante (e “pagante” nemmeno troppo letteralmente), c’è corruzione. Punto. Non importano gli atti, né la loro correttezza, né il loro valore economico, né i loro esiti per la società, né la loro tempistica. Era come un’attitudine mentale, la corruzione addebitata a Formigoni.

La chiave della discrezionalità

Ora, considerato che le delibere sui rimborsi agli ospedali contestate all’ex governatore non riguardavano solo la Maugeri e il San Raffaele, ma tutte le strutture del sistema lombardo, pubbliche e private; considerato che si trattava di atti scritti da funzionari regionali e letti e approvati da intere giunte e assemblee consiliari; considerato che nessun funzionario o assessore o consigliere regionale dell’era Formigoni è stato condannato per i reati in questione; considerato tutto ciò, come si sfugge dalla sensazione che Formigoni si trovi in carcere per uno psicoreato?

È qui che entra in ballo la discrezionalità. Che di per sé sarebbe una prerogativa della politica. Però, scrivono i giudici, adesso si può ricomprendere nella corruzione anche

«la condotta del pubblico ufficiale che, dietro elargizione di un indebito compenso, esercita i poteri discrezionali spettantigli rinunciando ad una imparziale comparazione degli interessi in gioco, al fine di raggiungere un esito predeterminato, anche quando questo risulta coincidere, ex post, con l’interesse pubblico, […] in quanto ai fini della sussistenza del reato in questione e non di quello di corruzione impropria, l’elemento decisivo è costituito dalla “vendita” della discrezionalità accordata dalla legge, precisando che il versamento di una somma consistente è un elemento fortemente sintomatico della necessità per il privato di incidere sulla formazione del provvedimento amministrativo».

Formigoni ha usato il suo potere discrezionale per fare cose che guarda caso sono risultate coincidere con l’interesse pubblico? Con le sue famose riforme e delibere ha fatto girare alla grande la sanità lombarda? A fronte della «somma consistente» ricevuta dai cosiddetti faccendieri della Maugeri e del San Raffaele (ancorché sotto forma di utilità), è comunque corruzione. Non aveva via di scampo l’ex governatore. A meno che.

Dimostrare l’indimostrabile

A meno che l’imputato non fosse riuscito a dimostrare che ogni atto preso in esame fosse – di nuovo le motivazioni – «sicuramente identico a quello che sarebbe stato comunque adottato in caso di corretto adempimento delle funzioni». Ossia, avrebbe fatto le stesse cose Formigoni, avrebbe governato così (bene) la sanità lombarda, se non avesse fatto tutti quei tuffi nel mare dallo yacht? Attenzione qui: «Dato il contenuto altamente discrezionale degli atti adottati e la molteplicità di scelte che potevano essere legittimamente operate dalla Giunta, non si può certo affermare che l’atto adottato sarebbe stato assolutamente identico a quello che si sarebbe adottato ove non vi fosse stato asservimento delle funzioni».

Capito perché Cesana dice che «è stato come in un copione già scritto e immodificabile»? Hai voglia a pretendere che per Formigoni fosse dimostrata «la riconducibilità di un singolo atto di ufficio a queste utilità», come ha fatto il suo avvocato Franco Coppi davanti alla Corte suprema. Qualcuno (Vittorio Feltri) ha scritto che il Celeste è stato condannato «senza prove». Peccato che in un certo senso proprio l’assenza di precisi atti comprati e venduti è servita ai giudici per dimostrare che Formigoni non era un corrotto banale, ma un corrotto “di funzione”.

Ps. Sbaglierebbe però chi ora si mettesse a pensare male della legge Severino, poiché, sempre secondo le citate motivazioni, tale dispositivo non fa che legittimare una «interpretazione estensiva» della corruzione ormai «consolidata» da vari precedenti giurisprudenziali (questo per sistemare i dubbi sull’applicazione retroattiva della riforma al caso di Formigoni, i cui presunti reati risalgono a prima del 2012). Soprattutto, la norma finalmente «ha inteso adeguare il nostro ordinamento penale ai superiori livelli di tutela raggiunti da altri ordinamenti europei». Evviva, pure questo ce lo ha chiesto l’Europa.

Foto Ansa

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