Formigoni, i brindisi-fotocopia dei giornali e le domande senza risposta
Per dire il tenore degli articoli usciti ieri sui giornali in merito alla condanna definitiva di Roberto Formigoni, praticamente tutti fotocopie, quasi tutti scontatissimi, basterebbe questo incipit di Paolo Colonnello sulla Stampa:
«Questa volta nemmeno la Madonna, lungamente invocata e che in Cassazione aveva preso le sembianze in verità un po’ mefistofeliche del professor Franco Coppi, è riuscita ad evitare a Roberto Formigoni l’inevitabile: il carcere. L’ultimo vero grande democristiano della Prima Repubblica, “il Celeste” per gli amici ciellini, ridotto allo stato laicale di pluri imputato, da oggi potrebbe entrare direttamente in prigione».
Come è noto, ieri mattina in prigione ci è entrato davvero Formigoni. Inevitabile perciò provare un po’ di disagio davanti al sarcasmo con cui tante penne d’alto bordo si sono divertite e si divertono a infierire sul condannato. Comunque, per chi riesce a superare il fastidio, è altrettanto inevitabile notare una specie di ritornello che accomuna la maggior parte delle testate, nonostante le diverse matrici culturali delle stesse.
Un paio di esempi a caso? Simona Ravizza e Giampiero Rossi, che sul Corriere della Sera dichiarano l’ex governatore della Lombardia colpevole di «grandeur» e di «stile di vita».
«È in quel momento che emerge la sua smania di grandeur. Da presidente della Regione fa continue incursioni nella politica nazionale. Apre una sede della Lombardia a Bruxelles, si muove come un ministro degli Esteri “ombra” e fa costruire un nuovo grattacielo di 161 metri per ospitare gli uffici regionali. Con tanto di eliporto. Si trasforma anche nell’aspetto: dagli abiti in grisaglia con la pettinatura all’indietro alle giacche sgargianti, le camicie hawaiane e la testa affidata due volte alla settimana alle cure del fidato parrucchiere Franco. Oltre alle vacanze sugli yacht di lusso. Ma proprio in questo nuovo stile di vita si annida la trappola che lo porta, adesso, alle soglie del carcere».
Oppure Piero Colaprico, che su Repubblica lo condanna anche un po’ all’inferno per “presunzione”, dopo che al carcere Formigoni «si è condannato da solo», e sempre per lo stesso peccato/reato di presunzione, par di capire:
«Formigoni s’era condannato in qualche modo da solo compiendo una mossa che oggi appare incredibile: era stato lui, presidente per quattro mandati della Regione Lombardia a diffondere le foto che l’hanno perduto. Lui che si tuffa, lui al mare, lui che cammina sulla spiaggia, aitante, con un segretario di statura decisamente più bassa a fianco. Lui al computer in ciabatte. Certo, le ha divulgate quando l’inchiesta era ben di là da venire alla luce, e con uno scopo preciso conficcato nella mente: modificare la sua immagine. Da bacchettone baciapile a uomo che sa godersi la vita. Da morigerato cristiano che accetta con gioia i voti di castità e povertà a politico rampante e al passo con i tempi. E come mai questo cambio? Perché in quel periodo crescevano i guai fisici e giudiziari di Berlusconi e Formigoni – questo sanno bene i suoi fedelissimi – ha creduto davvero possibile ricoprire il ruolo di leader dell’intero centrodestra. Invece – e oggi siamo a 14 anni esatti dalla morte di don Giussani, il fondatore di Comunione e Liberazione che riteneva il peccato di “presunzione” uno dei più gravi – il “Celeste” si ritrova su tutti i giornali, a 72 anni, senza più chance».
Chi ne ha la voglia e la forza, se li legga questi articoli tutti uguali. Se aggiungiamo il corsivo di Gianni Barbacetto per il Fatto quotidiano, è solo perché – al netto della foia da sciacallo sulla carogna – rivela in modo un po’ più chiaro almeno una delle vere ragioni di tutto questo accanimento ideologico contro l’ideatore del solo modello di governo che funziona in Italia.
«Formigoni, con il suo tesoretto di consensi ciellini, è sempre al vertice di un centro di potere autonomo, che si afferma soprattutto nel settore della sanità. Il Modello Formigoni equipara, in Lombardia, la sanità privata e quella pubblica, facendo crescere enormemente la prima, sempre a spese del pubblico».
Già, lo scandalo della sanità privata cresciuta «a spese del pubblico». Lo scandalo di aver dimostrato che la sussidiarietà funziona nei fatti, che il privato non è “il male”, e anzi può concorrere efficacemente al bene pubblico, e può perfino aiutare lo Stato a fare meglio.
In tutto questo scandalo, poco importa la qualità indiscutibile del sistema, poco importa l’equilibrio dei conti mentre il resto d’Italia è un colabrodo miliardario, poco importa il fatto che l’85 per cento delle risorse della sanità lombarda «modello Formigoni» andasse comunque a ospedali pubblici («a spese del pubblico»?).
Intollerabile è l’affronto a sua maestà lo Stato. Tanto è vero che adesso – nel classico momento magico in cui la storia viene riscritta dai vincitori – bisogna ridurre tutto quanto a un bubbone ciellino, che ora è stato finalmente schiacciato.
Ecco chi è Formigoni secondo Alberto Mattioli (la Stampa):
«Tre volte senatore e altrettante deputato, recordman di preferenze, eletto e rieletto da disciplinate falangi cielline».
O secondo Colaprico (Repubblica):
«Era uno che poteva andare diritto per la sua strada grazie al voto collaudato di un meccanismo perenne (allora) di famiglie che avrebbero dovuto dare tot voti al Celeste, per esempio tot a Mario Mauro, e altre famiglie tot voti a Maurizio Lupi. Un mite esercito».
Davvero si può sostenere che Formigoni è stato quattro volte presidente della prima Regione d’Italia grazie a «un tesoretto di voti ciellini»? Davvero si può dire così di un politico eletto con il 41 per cento dei voti dei lombardi (1995) e poi riconfermato dagli stessi elettori con il 62 per cento (2000), il 53 per cento (2005) e il 56 per cento (2010)? Ma quanti sono secondo te, gentile Barbacetto, questi maledetti ciellini? Sicuro che ci fossero solo loro dietro l’intollerabile «potere autonomo» del Celeste?
C’è poi un altro aspetto che accomuna gli articoli apparsi – tutti uguali – sui giornali di ieri: sorvolano sulla sostanza. Si accontentano di infliggere pena massima al Celeste per le giacche e lo champagne, dimenticando di rispondere a una piccola domanda rimasta senza risposta da quando è stata posta nel 2012 da Luigi Ferrarella e Giuseppe Guastella sul Corriere della Sera, mica da Tempi. E cioè: come si può condannare per corruzione il solo Formigoni, quando le leggi, gli atti e le delibere che gli vengono contestati furono approvati da intere giunte e consigli regionali?
Per dirla con Ferrarella e Guastella:
«La terza novità è che il capo d’imputazione, messo a punto in particolare dai pm Pastore e Pedio, individua il contraccambio legislativo dei benefit-tangenti a Formigoni in una quindicina di delibere regionali ad altissima discrezionalità, come appunto quelle sulle funzioni non tariffabili, che sotto queste voci dal 2002 hanno concorso a far ottenere alla “Maugeri” oltre 195 milioni di euro pubblici e che sotto altri aspetti vedono indagato nell’inchiesta anche il direttore generale della Sanità lombarda, Carlo Lucchina. A Formigoni è contestato di “aver partecipato all’adozione di provvedimenti amministrativi della giunta e della direzione Sanità della Regione Lombardia, diretti a trasferire ingenti risorse pubbliche ulteriori rispetto ai rimborsi dei Drg e, comunque, a procurare alla Fondazione Maugeri indebiti vantaggi”.
La scelta giuridica non è priva di incognite: una normativa regionale, infatti, è espressione di organi collegiali come la giunta e il consiglio regionali e dunque, quand’anche si considerasse raggiunta la prova che Formigoni abbia ricevuto le “utilità” addebitategli, resterebbe da argomentare giuridicamente che egli da solo abbia potuto determinare o orientare l’intera assemblea all’approvazione delle ipotizzate delibere-tangenti. Non a caso la giurisprudenza conosce una sola sentenza in questo senso, e peraltro in un caso parzialmente differente».
O per dirla con l’avvocato Franco Coppi:
«Si dice che Formigoni va in barca, che è invitato in vacanza ma nessuno è riuscito a dimostrare la riconducibilità di un singolo atto di ufficio a queste utilità. Nessuno sa che cosa è stato chiesto a Formigoni, e nessuno sa per quale cosa è stata corrisposta quella utilità».
Oggi, a parte Vittorio Feltri, nessuno si preoccupa di esigere una risposta alla famosa domanda. Che pure è resa ancora più urgente dal fatto che nessun altro della Regione Lombardia, né politico né funzionario, sia stato ritenuto colpevole per lo scasso di quella quindicina di atti. Nessuna delibera è stata ritirata, nessuna decisione è stata impugnata da nessun Tar, nessuna riforma è stata cancellata. Formigoni è corrotto in generale. Fa niente se non si è trovata la prova del do ut des, la magistratura ha risolto l’enigma di Ferrarella e Guastella individuando un «sistematico asservimento della funzione pubblica agli interessi della Maugeri, un baratto della funzione». Non sapremmo dire se si tratti di un vero e proprio psicoreato, ma sicuramente c’è molto poco da fare i sarcastici.
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