Lettere al direttore
Il grande Ghirardini e il dibattito sul fine vita in Lombardia
Si è spento ieri Pier Giacomo Ghirardini, nostro amico e collaboratore tra i più originali ed eclettici. Statistico, grande esperto di lavoro e povertà, aveva una cultura sterminata e una penna d’oro che gli consentiva di scrivere di qualsiasi argomento, sempre in modo brillante e profondo. Nel nostro archivio email abbiamo conservato alcune sue proposte di pezzi che erano dei capolavori esse stesse, tanto che, il più delle volte, gli rispondevamo così: «Pier, il pezzo lo hai già scritto. Pubblichiamo il testo della email». Sapeva argomentare con cognizione di causa di lavoro e povertà (era il suo mestiere), ma anche di cinema, di storia, di letteratura, di religione, di musica tradizionale polacca (si entusiasmò per certe canzoni contenute nel film Cold War, titolo originale in polacco Zimna wojna, che lui canticchiava in lingua originale) e persino di geroglifici (sì, li aveva studiati e li sapeva leggere. Una volta pubblicammo un suo articolo – con tanto di caratteri pittografici – per spiegare perché il faraone si era così impressionato davanti ai bastoni tramutati in serpenti da Mosè). Aveva un cuore angelico e una sensibilità non comune che gli permettevano di non dare nulla per scontato, nemmeno la morte del ragazzo down del suo paese.
Soprattutto, Pier Giacomo ci ha onorato della sua compagnia esagerata ed allegra, in cui nessuna parola andava sprecata, nemmeno quelle dette per scherzo, nemmeno quelle scambiate per gli auguri di Pasqua o Natale che – puntualmente – faceva arrivare ai redattori tramite una delle sue mitiche email. Ad esempio, il 16 dicembre 2016, ci scrisse così:
«Non c’è orgoglio maggiore, saggezza più grande, che scoprire questa immane libertà divina di farsi mendicanti dell’Amicizia. Questo è il Natale, Dio che viene a mendicare il nostro amore. È questa suprema degradazione (agli occhi del mondo) del mendicare l’Amicizia altrui, che può rendere attuale, pregna di significato l’Incarnazione: noi che siamo carne, non abbiamo altra possibilità di incarnarci ulteriormente, se non perdendoci, diluendoci in questo atto di mendicità».
(Rosario, martedì 15, ore 20.30 a Bosco di Corniglio. Santa Messa, mercoledì 16, ore 10.30 a Bosco di Corniglio, Chiesa di San Lorenzo).
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Egregio direttore, ho letto con soddisfazione le argomentazioni con cui Alberto Frigerio ricusa l’istanza portata dal pdl Cappato per una legge regionale per procedure applicative del suicidio assistito. Ho letto con attenzione anche le motivazioni afferenti l’ordinamento giuridico espresse dal professor Nicolò Zanon che sconsigliano tale ipotesi.
Ogni volta che saltano fuori le iniziative dei radicali su eutanasia e annessi penso che occorre accorgersi che tutto ciò non è che l’emergere e il progressivo consolidamento di una società che non spera più.
In questo ho buona compagnia nelle parole espresse a suo tempo da don Luigi Giussani che definiva l’eutanasia «come un simbolo dell’assetto disperante della risposta che l’uomo dà al vivere» (L. Giussani – Un evento reale nella vita dell’uomo – Bur, pagina 199 – anche in Cultura Cattolica di G. Amato – Eutanasia: il simbolo odierno della disperazione – 31.08.2019)
Quel che si sta decostruendo qui è la speranza, virtù nella quale il nostro popolo può essere non molto ferrato, ma che non è mai negata almeno come possibilità.
È bene prendere coscienza che senza la speranza impera il cinismo e ciò poi avviene in ogni aspetto della vita.
In altre parole, sembra che non ci accorgiamo di quello che stiamo buttando, poco o tanto alla volta come in questo caso, sempre progressivamente come per la rana bollita.
Sono nonno e ho ben chiaro che la speranza è quella che ci suscita ogni nuova nascita, è anche il modo con cui guardiamo ai nostri nipoti e a chi rimarrà dopo di noi.
Non unicamente per il dopo, la speranza riguarda da subito il presente perché sostiene e conferma la positività del vivere. I social sono pieni in questi giorni dei filmati con Sammy Basso e della ammirazione per il modo con cui ha vissuto il limite imposto dalla progeria.
Di nuovo mi aiuto con le parole di don Giussani: «La difficoltà più grande che ha l’uomo è accettare e riconoscere la positività del suo vivere. Per questo l’eutanasia è come un simbolo, il simbolo odierno della disperazione» (ibidem, pagina 198).
La positività del vivere riguarda il presente e nessuno di noi responsabilmente si augurerebbe né augurerebbe ai propri cari, né a qualsiasi altro, di vivere in modo negativo e deprimente.
Ed invece verso questo orizzonte indirizzano le spinte in oggetto. Belgio, Olanda e Canada insegnano ed è questo l’obiettivo neppure nascosto dei radicali.
Essere contro questa triste deriva è perciò un dovere. Un necessario “essere contro” che al contrario è “essere per”.
Marco Zappa
Le audizioni che si stanno svolgendo presso le commissioni Affari istituzionali e Sanità della Lombardia aiutano a capire cosa comporterebbe approvare una legge sul fine vita in regione. Da punti di vista diversi, Frigerio, Zanon, Cereda e Maltoni hanno mostrato perché la proposta radicale è irricevibile. Nei prossimi giorni pubblicheremo le testimonianze di chi, quotidianamente, assiste i malati terminali (l’esperienza è sempre maestra!). Ora si tratta di farlo capire anche ai consiglieri lombardi, perché l’esito di un possibile voto non è scontato.
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