Zanon: «La Lombardia non può e non deve varcare il Rubicone sul fine vita»

Di Caterina Giojelli
11 Ottobre 2024
Il giudice emerito della Corte costituzionale spiega perché la proposta di legge regionale dei radicali fa a pugni con ordinamento, giurisprudenza della Consulta e concezione di “salute”
Marco Cappato davanti al Consiglio regionale della Lombardia dove sono state depositate le firme raccolte per portare in Aula la proposta di legge sul fine vita, già bocciata in Veneto, Milano, 15 gennaio 2024 (Ansa)
Marco Cappato davanti al Consiglio regionale della Lombardia dove sono state depositate le firme raccolte per portare in Aula la proposta di legge sul fine vita, già bocciata in Veneto, Milano, 15 gennaio 2024 (Ansa)

Nel 2019 la Corte costituzionale non ha affermato nessun diritto al suicidio assistito. E nessun dovere da parte del Servizio sanitario nazionale di erogare “la prestazione”. Introdurre un nuovo diritto spetta infatti solo al legislatore nazionale. E se il parlamento latita, non spetta a una Regione supplire con una legge regionale, tanto meno una legge che afferma il «diritto all’erogazione» e modalità per garantire «la morte più rapida, indolore e dignitosa possibile».

Lo ha ribadito con forza il professor Nicolò Zanon, giudice emerito della Corte costituzionale, ai consiglieri lombardi riuniti in Commissione Affari istituzionali e Sanità nella quinta giornata di audizioni sulla proposta di legge promossa dall’Associazione Coscioni sul suicidio assistito. «Voi avete fatto tanti ragionamenti di merito sul contenuto della legge, e nel merito di quello che sarebbe meglio fare potremmo al limite essere anche tutti d’accordo», ha premesso il costituzionalista a fronte delle tante domande sul pdl dei radicali, «ma quando si ragiona del rapporto Stato-Regioni il problema non è “come” e “cosa”, ma “chi”. Non è un sofisma: il problema è chi interviene». La Consulta si è già pronunciata più volte in questo senso: non sul contenuto ma sull’esistenza stessa di leggi regionali “fuori competenza”. E il testo del pdl dei Coscioni sconfina abbondantemente.

«Non cercate nella sentenza risposte a problemi che la Corte non si è posta»

La posizione di alcuni consiglieri che si rivolgono a Zanon è chiara: evocano “l’incertezza” tra costituzionalisti sul tema, sposano la linea del professor Vladimiro Zagrebesky (il magistrato, già giudice della Corte europea dei diritti dell’uomo, è intervenuto nella stessa giornata di audizioni) ritenendo che le sentenze costituzionali abbiano forza di legge e indichino i princìpi generali in assenza di una normativa nazionale, permettendo così alle Regioni di legiferare i dettagli relativi a tempi, procedure, strutture per erogare tramite Ssn il suicidio assistito, e assicurando (articolo 3 della Costituzione) parità di trattamento a tutti i cittadini.

«Farei fatica a dire che su un tema del genere ci sia incertezza», ribatte Zanon, sottolineando che la normativa incaricata di non creare distinzioni e discriminazioni sul territorio nazionale e assicurare uniformità è quella statale, ma soprattutto contestando la natura delle obiezioni poste dai presenti. «Qualcuno di voi ha sottolineato che rispetto all’anarchia della buona morte è meglio il federalismo della buona morte. Ma il punto è che qui il legislatore statale non interviene. E se non interviene il rimedio non è sostenere che i princìpi fondamentali si trovino nella sentenza della Corte e che la Regione debba intervenire a supporto. Sarebbe una ricostruzione “caricaturale” del quadro delle relazioni istituzionali del nostro paese. Con tutto il rispetto per le storie concrete di sofferenza, il primo punto è ragionare sul riparto di competenze. Non cercate nella sentenza risposte a problemi che la Corte non si è posta».

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Se il parlamento latita non compete alla Regione spingersi fino alla morte

Il tentativo, ricorda Zanon, fu allora quello di scrivere una sentenza che funzionasse nei processi penali (caso Cappato) e di non lasciare una soluzione autoapplicativa sul piano penale che desse luogo a fraintendimenti, «all’anarchia, appunto. Ma, ripeto, è difficile cercare una risposta a problemi di competenza stretta nella sentenza: su questi i costituzionalisti potranno anche avere divergenze, ma l’evidenza è che la Corte si rivolge sempre al Parlamento nazionale. E se il Parlamento è astensionista? Si dia il consenso forte ai partiti o ai movimenti che non lo sono. Ma non si può immaginare di supplire a un astensionismo, che ha ragioni politiche evidenti, con un intervento regionale che apre a problemi di competenza. Qui entriamo in una dimensione che è quella della sfera più intima della persona, il suo destino di vita. Immaginare che ci sia una legislazione completa della Regione fino alla somministrazione garantita del farmaco in ambito di Servizio sanitario nazionale: non sono affatto sicuro che la Corte costituzionale approverebbe».

Il punto più critico del pdl è l’articolo 3 sull’istituzione, da parte delle aziende sanitarie regionali, entro quindici giorni dall’entrata in vigore della legge, di una «Commissione medica multidisciplinare permanente» per la verifica dei requisiti per l’accesso alla buona morte, composta da un palliativista, un neurologo, un psichiatra, un anestesista, un infermiere, uno psicologo. «La Commissione definisce, altresì, previo parere del Comitato etico territorialmente competente, le modalità per garantire alle persone in possesso dei requisiti […] interessate ad accedere al suicidio medicalmente assistito, la morte più rapida, indolore e dignitosa possibile» (comma 4); «le aziende sanitarie regionali forniscono il supporto tecnico e farmacologico nonché l’assistenza medica per la preparazione all’autosomministrazione del farmaco autorizzato presso una struttura ospedaliera, l’hospice o, se richiesto, il proprio domicilio» (comma 5).

Per Zanon il pdl dei radicali non risolve, bensì moltiplica i problemi

Spiega Zanon, in risposta a chi gli chiede se stralciando i passaggi in cui si introduce di fatto un diritto al suicidio assistito la legge passerebbe la verifica di costituzionalità: «Se la legge si limitasse a disciplinare tempi certi e passaggi autorevoli e controllati in ambito di Ssn sarebbe un passo avanti, ma aprirebbe a nuovi problemi: come vengono declinati alcuni passaggi molto delicati nella procedura? Come decide una commissione? Quali sono le regole? Qual è il suo rapporto col parere del Comitato etico che nel pdl si deduce essere obbligatorio ma non vincolante?».

Resta poi un problema di formule: «Garantire la morte più rapida, indolore e dignitosa possibile», enunciare il «diritto all’erogazione dei trattamenti disciplinati dalla presente legge» (articolo 1 comma 2) sono secondo Zanon «parole da legge statale. Sono termini pesanti dal punto di vista giuridico. Nel merito potremmo essere d’accordo, ma il problema è: la Regione può scrivere così o entriamo in un campo in cui finora le leggi regionali non si sono mai spinte? Con tutti i distinguo possibili, quando questo è avvenuto – penso alla sentenza sulla legge del 2016 del Friuli Venezia Giulia in tema di Dat, la Corte la dichiarò incostituzionale. Oppure quando ci fu la sentenza del 2008 sulla legge regionale del Piemonte in materia di somministrazione di sostanze psicotrope ai minori in assenza di normativa statale, la Consulta dichiarò l’illegittimità costituzionale. Mentirei se vi dicessi che quando si entra nella dimensione “ultima” dell’esistenza non si presentano problemi di competenza. Non solo perché lo penso, ma perché finora lo ha ribadito la stessa la giurisprudenza della Corte».

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«Non c’è nessun diritto di ottenere prestazioni di morte assistita dal Ssn»

Zanon ha dubbi anche sul fatto stesso che la Consulta possa ritenere che la procedura del suicidio assistito abbia a che fare con la “tutela della salute” («qui non stiamo andando verso la salvezza della persona ma verso la sua fine. Le parole hanno un peso»), ma assumendo che sia così, la competenza della Regione resterebbe infatti sui profili organizzativi, temporali, procedurali, «su questo sono d’accordo che è meglio il federalismo dell’anarchia, ma oltre questi profili – vedi il “diritto all’erogazione” – faccio fatica a dire che può spingersi una legge regionale. Una Regione può affermare una libertà ma non un diritto, la stessa Corte non ha affermato l’esistenza di un diritto alla prestazione di morte assistita dal Ssn».

Semmai ha affermato «il contrario parlando di imperatività del ricorso alla palliazione, di tutela del diritto alla vita. Il diritto a ottenere prestazioni di morte dal Ssn nella sentenza della Corte costituzionale non c’è. La mia preoccupazione è spiegare questo ai Consigli regionali. Mi rendo conto che è un pasticcio, non è una soluzione soddisfacente, purtroppo raddrizzare il legno storto del malfunzionamento istituzionale si può fare fino a un certo punto. E a mio avviso non si può fare a costo di introdurre ulteriori fratture all’interno del nostro ordinamento».

«Non posso dirvi di varcare il Rubicone»

Non c’è un diritto, nemmeno un dovere, ad avviso di Zanon, per la Regione di intervenire. Zagrebelsky desume il dovere dall’aver stabilito il “monopolio” del Ssn nell’accertamento dei requisiti, «e se c’è un monopolio su una libertà deve essere obbligato a fornire un servizio», ha detto il giurista invitando a «non paralizzare» con i dubbi l’intervento regionale quando una legge, anche se non organica, c’è («articolo 580 del codice penale integrato dalle sentenze della Corte costituzionale») e la giurisprudenza è «ricchissima di ricorsi Stato-Regioni».

Ma è proprio sulla confusione tra diritto e dovere che Zanon ricorda che la stessa legge 242 in tema di obiezione di coscienza scrive che «la presente declaratoria di illegittimità costituzionale si limita a escludere la punibilità dell’aiuto al suicidio nei casi considerati, senza creare alcun obbligo di procedere a tale aiuto». «Tutte queste contraddizioni», commenta il costituzionalista, «spiegano la difficoltà del tema di una legge. Io non posso dirvi di varcare il Rubicone. Non posso dirvelo e non credo che lo possiate fare».

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