
Lo sguardo vigile tradisce un po’ di ansia, come la sua gentilezza. Fa il valet, il parcheggiatore, nell’albergo dove alloggiamo. Non ha ancora trent’anni, ma dagli occhi e la durezza dei lineamenti sembra più vecchio. Dopo la mancia lasciata si scioglie un po’, ci chiede cosa ci porta a Nashville, «un reportage sulle overdosi di farmaci», ridiventa cupo e dice solo che ci può aiutare. Si chiama Aden ed è «pulito da nove mesi», sottolinea quando ci rincontriamo.
Il mercato della droga invaso dal fentanyl
Racconta di aver iniziato con gli antidolorifici alla scuola media; praticava lotta greco-romana e si era lussato una spalla. «Mi diedero cinque milligrammi di idrocodone, ricorda, è mi accorsi di stare subito meglio. Chiesi di prescrivermene di più». Alla high school scopre che le pasticche di oppioidi sono popolari, è abitudine abusarne alle feste. Diventa tossicodipendente, abbandona attività sportiva e scuola. Mostra il segno sull’avambraccio. Dall’antidolorifico al Fentanyl iniettato per endovena il passo è stato quasi inconsapevole. «Il mercato della droga tre o quattro anni fa, dice, era invaso dal fentanyl. Non è che ti facesse sballare, non era piacevole, ma più che altro ti anestetizzava da tutto».
Per disintossicarsi ha cambiato compagnia, città, vita. È un sopravvissuto. Lo dicono le macabre statistiche. L’anno scorso i morti per droga negli Stati Uniti sono stati centodiecimila, il doppio rispetto a soli sette anni fa. Un record. La principale causa è la diffusione del fentanyl, un antidolorifico usato inizialmente nella cura dei tumori e poi prodotto illegalmente come sostituto dell’eroina. Questo oppiaceo viene solitamente sintetizzato in Cina, prima di arrivare negli Stati Uniti dopo essere passato dal Messico. A Nashville sono state trovate tracce di fentanyl in quattro overdosi su cinque. Ne bastano due milligrammi per essere letale. Con quarantacinque decessi per droga ogni centomila abitanti, il Tennessee è al quinto posto nella triste classifica americana.


«Non ho mai visto nulla di simile»
Lontano dalle luci del centro, dove i locali di musica country hanno fatto la fortuna della città, nel quartiere di Bordeaux (omaggio ai primi coloni francesi) c’è il centro di recupero aperto da Tom Gooch. Si chiama “My Father’s House”, come una vecchia canzone di Bruce Springsteen, e come cantava il Boss è un modo «per tornare a casa / prima che scenda l’oscurità». La casa è un ex motel, si affaccia sulla circonvallazione e la vista non è un granché, ma la premura di Tom e degli altri volontari l’hanno resa accogliente e trasformata nel primo passo verso il reinserimento.
Quattro anni fa Tom ha perso la moglie a causa del fentanyl. Oggi ha tre figli piccoli e una missione: aiutare altri genitori a lasciarsi la droga alle spalle. Anche lui era tossicodipendente al crack, racconta, ma «oggi il pericolo è maggiore. Non ho mai visto nulla di simile. Ogni giorno riceviamo segnalazioni dai servizi sanitari, spiega, e i casi non cessano di aumentare». Tra gli ospiti del centro c’è Mike. È grande e grosso, il cranio rasato; viene dal Bronx, ma sembra uscito dalla serie tv The Wire. Faceva lo spacciatore, ma dice di aver smesso a causa del fentanyl. «Io ho un cuore», dice con un sussulto di dignità, «quella roba uccide. Ormai lo tagliano con la marijuana, l’eroina, la cocaina. Con tutto».
La nuova moda: fentanyl e calmante per animali
Giornali e notiziari in questi giorni parlano dell’ultima “moda”: mischiare il fentanyl con un calmante utilizzato dai veterinari, lo xylazine. Questo cocktail viene chiamato in gergo il Tranq; si prende per endovena e lascia abrasioni sulla pelle tali da provocare amputazioni e da contribuire alla morte di chi se lo inietta. Lo stato di semi sedazione di chi prova questo mix giustifica il nomignolo dato loro: zombie. Quando leggo queste notizie o vedo le immagini della scena aperta dello spaccio del sedativo per animali lungo le strade di Philadelphia, ripenso a Aden. A lui, ritto come una sentinella all’esterno dell’hotel di Nashville, e alle sue parole: «Non mi piaceva, volevo solo anestetizzarmi».
Solo anestetizzarsi: sembra la triste morale di una storia drammatica, che spesso volge a tragedia. La storia di un ormai ex giovane a cui era stato promesso il successo nello sport, il sogno americano, il consumismo infinito e a cui, poi, erano state prescritte due pastiglie per non sentire il dolore, per sedare gli urti e le prime ostilità della vita. Nel multiverso americano, la vicenda di Aden così come quella di Tom sono eccezioni alla statistica, ma sono pure l’inizio di una storia di redenzione.