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L’autodivinizzazione di Fedez, vittimismo da padroncino del mondo

Nel video di "Morire Morire" il rapper si fa assalire da giornalisti, pestare da neofascisti, umiliare da un sindaco, imprigionare in una camicia di forza, accoltellare da un sacerdote in chiesa, fucilare

Rodolfo Casadei
06/11/2021 - 6:10
Società
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Il video del singolo Morire Morire del nuovo album di Fedez Disumano
Il video del singolo Morire Morire del nuovo album di Fedez Disumano

Il video del singolo Morire Morire del nuovo album di Fedez Disumano è l’emblema dell’ipocrisia vittimistica dei nuovi padroni del mondo. E della tracotanza con cui ambiscono alla propria autodivinizzazione. Avrà successo fra quanti non fanno più esperienza del cristianesimo ma sono ancora psicologicamente cristiani. In Morire Morire uno degli uomini più potenti d’Italia, famoso, straricco, privilegiato al punto da poter usare gli schermi della tivù di Stato per screditare Tizio o Caio senza che detta tivù sanzioni l’abuso, intoccabile al punto che la potente Rai, divenuta tremebonda, ritira la querela contro di lui e lo invita in una delle sue trasmissioni più importanti; ebbene, un soggetto siffatto nel video Morire Morire si presenta come vittima del potere, della società e delle istituzioni (mentre nel testo della canzone racconta di essere stato vittima della cattiveria di una donna).

Assalito scompostamente da giornalisti, spintonato dalla gente comune, pestato a sangue da un manipolo di neofascisti, umiliato da un sindaco che gli piscia addosso, irriso dalle ragazzine che si fanno un selfie sullo sfondo del suo corpo ferito, imprigionato dai sanitari in una camicia di forza, accoltellato da un sacerdote in chiesa, infine fucilato. Proprio lui, che periodicamente si sollazza accoltellando e fucilando metaforicamente leghisti.

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Fedez, l’ateo militante secondo Girard

Fedez, ateo militante contro il cristianesimo e ogni altra religione (ma ovviamente si guarda bene dal provocare credenti che non siano cristiani), sfrutta, come tanti altri, uno dei portati culturali più importanti – secondo René Girard quello fondamentale – del cristianesimo: la simpatia per la vittima, la solidarietà con chi patisce ingiustizia. L’antropologo Girard l’ha spiegato nel corso di tutta la sua opera: prima del cristianesimo la religione era centrata esclusivamente sul sacro e il sacrificio del capro espiatorio era la regola. Per arginare le crisi mimetiche (i conflitti dovuti all’invidia sociale) e impedire la disgregazione della società, un innocente doveva pagare per tutti. Poi magari nel corso dei secoli costui veniva trasfigurato in antenato o in divinità. Il sacrificio di Cristo svela l’inganno.

Come ha scritto Pier Giacomo Ghirardini su Tempi alcuni anni fa per spiegare la scoperta di Girard, «(…) il punto di rottura di questa evoluzione è rappresentato dalla rivelazione cristiana, nell’auto-sacrificio del Figlio di Dio che accetta la croce, per proclamare dalla croce il fondamento violento, satanico, delle religioni arcaiche (…), svelando i meccanismi violenti dell’umanità. L’agnello innocente proclama innocenti tutte le vittime, passate, presenti e future, rivelando l’“amore divino” e demistificando la macchina del “religioso umano”. Dopo essere stati lentamente educati dai riti, dal giorno della Passione gli uomini hanno dovuto imparare a camminare senza le loro dannate “stampelle sacrificali”. Senza violenza».

L’industria del vittimismo

Questa novità cristiana si è talmente radicata nel cuore umano, che oggi chiunque voglia attirare su di sé simpatia e consenso, o evitare critiche e attacchi, si presenta come una vittima. Nel mondo dello spettacolo il vittimismo è diventato una vera e propria industria, gestita da società di comunicazione di grandi capacità e di grande esperienza. L’ultimo esempio in ordine di tempo è quello del caso Striscia la Notizia – Ambra Angiolini, dove sta venendo alla luce che la vittimizzazione dell’attrice è stata sapientemente gestita dalla sua agenzia di comunicazione Notoria, sospettata di essere dietro la lettera di solidarietà attribuita a Jolanda, figlia di Ambra.

Le star dello spettacolo come Fedez hanno bisogno di presentarsi come vittime anche per evitare di diventarlo veramente nell’ottica di quello che Girard definiva il desiderio mimetico, e che noi osserviamo nella sua conseguenza a valle: l’invidia sociale. Come fa un milionario che è l’epitome del kitsch e del lusso ultravolgare dei rapper a non farsi detestare? Certo, pubblicando mitragliate di foto dei suoi bambini (sfruttamento inverecondo dell’infanzia da parte di chi si fa paladino delle buone cause), ma anche e soprattutto presentandosi come vittima del potere, della società e del mondo della comunicazione.

La cristificazione alternativa di Fedez

Nel vittimismo di Fedez però c’è qualcosa che va oltre, ed è la tracotanza della sua cristificazione alternativa: il rapper sostituisce il sacrificio di sé a quello di Cristo; il sacerdote della Chiesa di Cristo regredisce a sacerdote del culto di Baal: pugnalando al cuore un Fedez inerme ripropone i sacrifici pagani la cui funzione sociale Girard ha ben spiegato, spiegando anche come sia stata smascherata e superata dal sacrificio di Cristo, cioè di Dio stesso. Invidioso di quel che Cristo ha fatto ed è (torna il concetto girardiano di desiderio mimetico), Fedez vuole prendere il suo posto, e per poterlo prendere lo scredita. Ricordiamoci che il sacerdote cattolico, al momento dell’ordinazione diventa un alter Christus, e al momento della consacrazione eucaristica agisce in persona Christi. Trasformando il sacerdote cattolico in un assassino rituale, Fedez criminalizza Cristo stesso, e lo degrada al livello del dio azteco Nanauati, che sacrificò sì se stesso diventando il quinto sole per rendere possibile la vita sulla terra, ma che non disdegna affatto i sacrifici umani.

Scimmiottare il sacrificio

Come spiega Nietzsche nella Gaia Scienza, frammento 125, l’uomo non può tollerare di avere ucciso Dio, ed è per questo senso di colpa che ha deciso di sostituirsi a Lui, di elevare se stesso alla condizione divina («Dove se ne è andato Dio? […] ve lo voglio dire! Siamo stati noi ad ucciderlo: voi e io. […] Come ci consoleremo noi, gli assassini di tutti gli assassini? […] Non è troppo grande per noi, la grandezza di questa azione? Non dobbiamo noi stessi diventare dèi, per apparire almeno degni di essa?»). Alla “morte di Dio” non è succeduto l’ateismo, ma l’autodivinizzazione dell’uomo, che traspare nei suoi exploit tecnologici. Ma in Occidente togliere Dio significa anche togliere Cristo, il Dio fatto uomo che si umilia fino alla morte in croce. L’omicidio in questo caso è duplice: Cristo è Dio ucciso una prima volta sotto Ponzio Pilato, e una seconda volta dalla filosofia moderna e dallo scientismo. Con Cristo avviene la stessa cosa che è avvenuta con Dio Padre: mentre l’uomo prometeico prende il posto di Dio creatore rendendosi protagonista di una nuova creazione (quella del tecnocosmo) con la quale ricrea anche se stesso, l’uomo vittimista prende il posto di Cristo, la vittima innocente, mimando il suo sacrificio. In entrambi i casi lo sforzo è il prodotto di un misto di nostalgia, senso di colpa e odio. Ci vuole davvero tanto odio nei confronti di Cristo, per identificarlo in un sacerdote assassino. È l’odio che nasce dalla consapevolezza di non poter imitare veramente quel sacrificio, di essere condannato solo a scimmiottarlo ridicolmente. L’odio del desiderio mimetico frustrato.

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