Combattere per i princìpi, donarsi invece di fare calcoli di interesse, mai perdersi nella corrente della storia. È un bene per tutto il mondo che la Chiesa per porsi si opponga. Una raccolta di scritti di Caffarra
Ma chi glielo fa fare, a questi cattolici, di rompersi le scatole (e romperle a tutto il mondo) con l’etica, la morale, il matrimonio, la vita e gli altri “princìpi non negoziabili”? Non le capisce più nessuno queste cose, neanche i loro figli. Piuttosto che vivere nel passato si adeguino ai tempi, o la gente si allontanerà dalla Chiesa.
Quante volte abbiamo sentito simili rimproveri? Ebbene, questa nuova raccolta di interventi del cardinal Caffarra sembra fatta apposta per confermarli tutti. A partire dal titolo: Scritti su etica, famiglia e vita. Che noia, verrebbe da dire prendendolo in mano, ancora i soliti discorsi e battaglie del passato? E invece chi farà lo sforzo di leggerlo capirà che nel libro è contenuta non una conferma, ma una sfida totale a questo luogo comune per cattolici pigri e disamorati della realtà.
L’ostinata insistenza “su etica, famiglia e vita” che ha caratterizzato tutta l’opera di Caffarra non fu mai un tentativo patetico di difendere una trincea dottrinale rimasta ormai vuota. Fu (è) un atto estremo di amore all’uomo, un appello a non autodistruggersi inseguendo idee false. L’arcivescovo di Bologna desiderava con tutto se stesso restituire a ogni persona un orizzonte degno, a costo della propria reputazione (perfino di “nemico del Papa” gli hanno dato, a lui che avrebbe offerto tutto per la Chiesa cattolica). La battaglia dei princìpi è accesa e motivata da un’affezione a Cristo e perciò all’uomo in carne e ossa, e solo chi non ama niente e nessuno può accettare la resa in cambio dei complimenti del mondo.
Leggendo gli Scritti di Caffarra tutto questo diventa finalmente chiaro, a volte come un lampo che illumina le cose immerse nel buio di tante chiacchiere. Lo dimostrano i tre brani che pubblichiamo di seguito.
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PERCHÉ LA DEMOCRAZIA HA BISOGNO DELLA VERITÀ
Nel momento in cui affermo che la procedura democratica è l’unica fons essendi della legittimità della norma, delle due l’una: o penso questa procedura come scontro di interessi opposti la cui unica soluzione è l’imporsi del più forte, o penso questa procedura come il modo degno dell’uomo per trovare quella soluzione in cui possa riconoscersi la ragionevolezza di ognuno. Nel primo caso nego semplicemente che esista un’uguaglianza di dignità fra gli uomini, e la norma è sempre e solo il dominio di uno sull’altro; nel secondo caso sono presupposti ed affermati e l’uguale dignità di ogni persona e il possesso da parte di ciascuno della stessa ragionevolezza o natura ragionevole. Questa è l’idea tommasiana di legge e diritto naturale: soltanto la costruzione di un consenso che sia orientato alla ricerca della verità circa il bene costituisce un’autorità che non è dominio dell’uomo sull’uomo.
Anche Jürgen Habermas è stato costretto a giungere a queste conclusioni; ha affermato infatti che la legittimazione di una carta costituzionale da parte del popolo non può limitarsi al computo aritmetico di maggioranze-minoranze ma deve fondarsi su un’argomentazione ragionevole, su un «processo di argomentazione sensibile alla verità». Sempre Habermas esclude che questioni di genetica umana possano essere risolte con procedure democratiche.
La radice della disgregazione sociale cui assistiamo è una sorta di censura nei confronti di ogni istanza che tenga viva la “sensibilità alla verità”: si pensi al trattamento che riceve il magistero morale della Chiesa. L’educazione ad un uso completo della ragione è dunque una delle sfide più urgenti per il futuro.
Il progetto di costruire un ordinamento giuridico, e quindi un ethos pubblico, senza verità mette sulle spalle della legge un peso che essa non è capace di portare: il peso di creare una comunità umana, di produrre un’identità. I romani non dicevano ubi ius ibi societas ma ubi societas ibi ius. Questa è dunque una progettazione impossibile e come tale apre il fianco a due rischi gravissimi: o rendere la legge stessa veicolo di valori imposti – è il rischio del fondamentalismo clericale – o “privatizzare” giuridicamente ogni contenuto del vissuto umano – è il rischio del laicismo escludente.
Si pensa che la categoria dei diritti fondamentali dell’uomo possa fungere da tessuto connettivo del sociale umano: tuttavia, se si nega che esista una verità circa il bene dell’uomo o, il che coincide, che esista una natura umana ragionevole, i diritti fondamentali dell’uomo rischiano di essere pensati e praticati come ciò che il singolo individuo preferisce per sé, et de gustibus non est disputandum…
Questa concezione ha una conseguenza devastante sull’idea di legge civile e sul compito del legislatore. La nuova idea è che lo Stato e la legge non devono vietare ciò che l’individuo preferisce, e con ciò la coesione sociale è insidiata alla sua stessa origine. La soluzione del problema non è il ricorso al principio “se tu non vuoi, perché io non posso?”, cioè il varo di leggi né impositive né coercitive ma permissive. Il non voler colmare la lacuna etica, il censurare la questione della verità in nome di una supposta tolleranza sta portando alla disgregazione le nostre società occidentali. L’aver sostituito la ragione pratica colla ragione comunicativa ha fatto incamminare tutto il discorso etico pubblico su una via che non ha uscita.
Alla fine ne deriva che non si può seriamente costruire un’etica pubblica se si nega che esista una verità circa il bene universalmente valida. Ma è proprio questa negazione oggi ad essere sostenuta, e questo porta il sociale umano ad una lacerazione non sostenibile.
[Da La crisi dell’etica in Occidente, conferenza a Palazzo Colonna, Roma, 26 maggio 2009]
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CONVIENE ALL’UOMO RAGIONARE DI ETICA
Vedendo la “sconfitta” della ragione etica, qualcuno potrebbe pensare: “Tanto peggio per essa!”. In realtà questa sconfitta è la sconfitta dell’uomo in quanto tale, la sua riduzione ad oggetto.
Che cosa alla fine questo significhi si rende visibile nel confronto fra due figure dal comportamento opposto: Sir Ugo de Morville e Abramo.
Nel dramma di T. S. Eliot Assassinio nella cattedrale, Sir Ugo de Morville è il secondo dei cavalieri che per ordine del re Enrico II uccidono l’arcivescovo Thomas Becket. Ad assassinio avvenuto, il Secondo Cavaliere si rivolge agli spettatori e giustifica l’omicidio nel modo seguente:
«A nessuno dispiace più che a noi d’essere obbligati a usare violenza. Sfortunatamente vi son tempi nei quali la violenza è l’unico modo per poter assicurare la giustizia sociale. In altri tempi voi condannereste un Arcivescovo con un voto del Parlamento e lo decapitereste con tutte le forme come traditore e nessuno porterebbe la taccia di assassino […]. Ma se voi siete ora arrivati a una giusta subordinazione delle pretese della Chiesa al benessere dello Stato, ricordatevi che siamo stati noi a fare il primo passo».
Ben diversa, addirittura opposta è l’attitudine di Abramo quando viene richiesto dal Signore di sacrificare il figlio. Egli sa semplicemente che per essere se stesso deve uccidere il figlio, poiché questa obbedienza lo fa diventare ciò che è: il servo del Signore. Sulla base di un calcolo delle conseguenze, questa è l’unica scelta completamente sbagliata. La discendenza finirebbe, e con essa ogni futuro.
Chi ha ragione? «Dal punto di vista della storia universale diventa falsa una proposizione, che dal punto di vista etico è vera ed è la forza vitale dell’etica: il rapporto di possibilità che ogni individualità esistente ha rispetto a Dio» (Søren Kierkegaard). È questa, alla fine, la conclusione. Dal punto di vista della storia, Ugo de Morville ha ragione e Abramo ha torto; dal punto di vista etico, ragione e torto si rovesciano.
La falsità della proposizione del Secondo Cavaliere risulta evidente se si considera attentamente la sua argomentazione: essa poggia interamente su ciò che avverrà nel futuro, poiché è in futuro e dal futuro che egli riceve l’assoluzione. Ciò accadrà dunque quando egli sarà già morto.
Questo modo di argomentare dimentica la cosa più evidente: che una volta Ugo de Morville è stato vivo. Ma questo deve essere dimenticato, altrimenti l’intera l’argomentazione crolla, poiché la considerazione storica – cioè il calcolo dei pro e dei contro fatto in base alla prudente previsione delle conseguenze – comprende tutto partendo dal dopo, da quando l’atto è già stato compiuto: non interessa l’uomo nell’istante della sua decisione esistenziale. Ciò che importa non è l’uomo reale, vivo, ma l’uomo già passato.
Al contrario, nell’uso che Abramo fa della ragione etica, egli è giustificato per il modo con cui pone se stesso ora e qui di fronte a Dio.
L’etica è la verità circa il bene dell’uomo – dell’uomo concreto, in carne ed ossa – perché Dio non è il Dio dei morti ma il Dio dei viventi. La suprema decisione cui è chiamata oggi la libertà dell’uomo è se considerare se stesso solo dal punto di vista del tempo o anche e soprattutto dal punto di vista dell’eternità. L’etica è il respiro dell’eternità nell’uomo.
[Da Ratio ethica e ratio technica: alleanza, separazione o conflitto?, conferenza all’Archiginnasio, Bologna, 12 settembre 2009]
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MATRIMONIO E FAMIGLIA PER ME E PER TUTTI
È profondamente errato il pensare ciò che vi ho detto sul matrimonio come l’ideale verso cui si cammina. Immaginiamo, care spose qui presenti, che vostro marito vi dica: “Senti cara, per me la fedeltà coniugale è un ideale verso cui cerco di andare, però non è detto che adesso come adesso io ci riesca, che lo realizzi! Va bene cosi?”.No, caro mio, non è un ideale la fedeltà a tua moglie. Questa posizione è sbagliata perché alla fine pensa la vita matrimoniale come uno sforzo etico, non come un dono che genera un compito.
La prima conseguenza è che la vita matrimoniale è un cammino. Questo è detto molto bene nella Amoris laetitia al numero 220. Dice il testo pontificio:
«Il cammino implica passare attraverso diverse tappe che chiamano a donarsi con generosità: dall’impatto iniziale caratterizzato da un’attrazione marcatamente sensibile, si passa al bisogno dell’altro sentito come parte della propria vita. Da lì si passa al gusto della reciproca appartenenza poi alla comprensione della vita intera come progetto di entrambi, alla capacità di porre la felicità dell’altro al di sopra delle proprie necessità, e alla gioia di vedere il proprio matrimonio come un bene per la società».
Il testo delinea proprio un cammino di crescita notandone anche le tappe fondamentali. È un cammino e quindi cosa può succedere? Questa mattina avete fatto una camminata; ci si può anche stancare al punto tale che uno è tentato di dire: “Voi andate, io vi aspetto qui fino al vostro al ritorno!”, ma si può anche dire: “Dammi una mano così mi aiuti”; può anche succedere che uno cada e si ferisca e cominci a dire che gli fanno male i piedi e non ce la fa più. Ecco il sacramento che ha anche un potere sanante.
Immaginiamo che due persone stiano passeggiando lungo gli argini del Po; una sa nuotare e l’altra no. Quella che non sa nuotare scivola e cade in acqua. L’altra per salvarla ha tre possibilità: la prima è che dalla riva le insegni come si fa a nuotare, la seconda è che le lanci una fune e le gridi di prenderla (e magari quella ci prova ma non ce la fa perché ha le mani fredde e la corrente è forte), la terza è che si butti in acqua e la prenda, e se quella non si divincola è salva.
Pelagio e tutti i suoi discepoli (ce ne sono anche oggi) ritenevano che Gesù ci abbia salvati nel primo modo: ci ha insegnato come vivere. Ma sant’Agostino diceva: “Questo lo sapevo, il problema è che io non ci riesco!”. Forse conoscete la preghiera che faceva quando aveva già cominciato i colloqui con Ambrogio; diceva a Dio: «Dammi la castità – era questo il problema per lui – ma non darmela subito».
Il secondo modo è quello dei cosiddetti semipelagiani.
La verità invece è che Dio si è buttato nella vorticosa corrente della nostra miseria e ci trascina, ci ha abbracciati sulla Croce e ci dice solo: “Stai abbracciato a me, non mollarmi e stai tranquillo sei salvo, ti porto io sulla riva, in patria”.
Il cammino del matrimonio è una crescita in cui continua ad operare la forza sanante del sacramento. È un cammino che ha delle tappe che qui il Papa descrive bene, e come tutti i cammini richiede che entri in funzione la potenza e la forza sanante del sacramento.
La Chiesa ha sempre molto raccomandato due cose. La prima è la preghiera fatta insieme. Tertulliano dice che quando due sposi pregano, la Chiesa domestica si riunisce in preghiera. Un tempo questo voleva dire marito, moglie, figli, e poi c’erano anche i servi e gli schiavi. Diceva Tertulliano che quando la chiesa domestica si riunisce in preghiera gli angeli guardano giù dal cielo pieni di ammirazione. Preghiera insieme, e soprattutto la grande preghiera che è l’Eucaristia. Ovviamente voi seguite le indicazioni dei vostri parroci o vescovi, ma durante la celebrazione dell’Eucaristia i bambini si fanno sentire, vero? A me piacciono! Dicevo a una mamma che lei o lui – non ricordo se fosse un bambino o una bambina – in questo modo aveva lodato il Signore, facendo sentire la sua voce. Quindi preghiera insieme e i sacramenti.
Il grande problema oggi è in che modo la proposta cristiana possa generare una proposta rivolta a tutti. Me lo sto molto chiedendo in questi giorni. Sono sempre più convinto, e l’ho anche scritto recentemente, che si debba fare quello che hanno fatto i monasteri benedettini quando è crollato un intero mondo, quella che molti storici dicono la più grande costruzione sociale e giuridica che la storia abbia conosciuto cioè l’impero romano: hanno posto le radici dentro queste rovine, hanno seminato una nuova cultura. Io sono convinto che questo adesso tocchi a noi.
Come farlo? I benedettini mica fondavano i monasteri dicendo che dovevano seminare per una nuova civiltà… San Benedetto diceva che la loro era una scuola dove si imparava a servire il Signore. Qui vedete all’opera la potenza della presenza di Cristo e delle Sue comunità.
Questo adesso tocca a voi. In che modo? Creando, ponendo in essere quelle che vengono chiamate minoranze creative. Non contatevi più di tanto, i numeri non hanno importanza. Bisogna creare, porre gruppi di famiglie che facciano vedere la bellezza dell’essere sposi e dell’educare i bambini, i figli. Credetemi, l’uomo non può rimanere indifferente a questo e qualcuno chiederà: “Ma perché? Come fate voi? E io che ho tradito mia moglie chissà quante volte, mi chiedo: come fate voi? E io che non riesco a educare il mio bambino, chiedo: come fate?”. E a questo punto semplicemente dovete dire: “Vieni e vedi”.
Certo questo non trasforma la condizione in cui viviamo da questa sera a domani mattina: il processo di decostruzione è durato secoli, quindi ci aspetta un cammino difficile, lungo. La minoranza creativa è tale perché non si accontenta di essere una luce che richiama, ma è capace di entrare dentro a questa cultura antifamiliare, antieducativa, nei modi che indica la sapienza, la guida del sacramento ricevuto.
Una volta, due sposi che celebravano il 70esimo di matrimonio mi chiesero di venire a celebrare la Messa giubilare nella mia cappella privata portando tutta la loro tribù, da loro fino all’ultima bambina nata qualche settimana prima, una trisnipote. Lei aveva 93 anni e lui 95 e mi hanno detto di stare tranquillo perché dal collo in giù non funzionava più niente ma dal collo in su funzionava ancora tutto. Io penso che siano stati fortunati perché se fosse stato diverso sarebbe stato molto peggio. Finita la Santa Messa, ci siamo fermati un momento, ho offerto loro qualcosa e ho detto per provocarli che io non me ne intendevo molto, ma in 70 anni insieme avranno avuto momenti di noia. Non mi hanno lasciato finire e mi hanno detto: «Eminenza, ma cosa dice, ma lo sa che noi ci amiamo di più adesso di quando ci siamo sposati?». Ecco il cammino, la crescita. Allora io ho detto: «Gridatelo ai vostri figli, nipoti e pronipoti, fino a quell’ultima piccola bimba!».
Ho pensato che fosse questo l’evento più grande che potesse accadere, un amore umano che è durato per 70 anni e alla fine è ancora più grande di quando è cominciato il cammino. Solo Cristo può operare questi miracoli.
[Da Istituto del matrimonio ed emergenza educativa, incontro durante una vacanza di una comunità di Cl, Corvara (Bz), 2 agosto 2016]