«Il sacerdote non può essere presente durante l’eutanasia di un paziente»

Di Redazione
18 Dicembre 2019
Il cardinale Eijk ricorda che non c'è alcuna differenza morale tra eutanasia e suicidio assistito. E spiega, contraddicendo monsignor Paglia, i tre motivi per cui i preti non devono mai essere presenti a questi atti
Wilhelm Eijk olanda

Un sacerdote deve sempre dire in modo chiaro a chi sceglie eutanasia e suicidio assistito che per la Chiesa cattolica sta commettendo un grave peccato. E per questo motivo non deve essere presente accanto a chi sceglie di suicidarsi quando il suicidio assistito o l’eutanasia vengono compiuti. È quanto dichiarato alla Catholic News Agency dal cardinale Wilhelm Eijk, arcivescovo di Utrecht, che contraddice quando dichiarato a proposito una settimana fa da monsignor Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia accademia per la vita: «Nessuno va mai abbandonato. Accompagnare e tenere per mano chi muore credo sia un grande compito che ogni credente deve promuovere. Come ogni credente deve promuovere un contrasto alla cultura del suicidio assistito».

SUICIDIO ASSISTITO ED EUTANASIA SONO UGUALI

Prima di entrare in seminario, il prelato olandese si è laureato in medicina e chirurgia, dedicando la sua dissertazione di dottorato alle leggi sull’eutanasia. L’Olanda è uno dei primi paesi al mondo ad aver legalizzato la “buona morte” e per tutti questi motivi Eijk, di cui Tempi ha parlato diverse volte (vedere qui e qui), rappresenta un voce autorevole in materia.

Il cardinale ci tiene innanzitutto a precisare che non esiste alcuna differenza dal punto di vista morale tra suicidio assistito ed eutanasia. Nel primo caso è il paziente che si procura la morte assumendo la medicina letale preparata dal medico, nel secondo è il medico che provoca attivamente la morte con una iniezione letale su richiesta del paziente. «In entrambi i casi», spiega Eijk, «la responsabilità del paziente è grave perché è lui che prende l’iniziativa per porre fine alla propria vita. Allo stesso modo è grave la responsabilità del medico che pone fine alla vita del paziente o coopera a un atto intrinsecamente malvagio».

«IL SACERDOTE NON DEVE MAI ESSERE PRESENTE»

Sgomberato il campo dell’equivoco di chi vede il suicidio assistito, depenalizzato dalla Corte costituzionale anche in Italia, come una forma meno grave di eutanasia, Eijk afferma che «il sacerdote non deve essere presente quando queste pratiche vengono eseguite. Infatti, la presenza del prete potrebbe dare a intendere che il sacerdote appoggia la decisione del paziente o suggerire che eutanasia e suicidio assistito non sono moralmente illeciti in alcune circostanze».

LE TRE RAGIONI PER RIFIUTARE I SACRAMENTI

Il cardinale non nega la possibilità di accompagnare spiritualmente il paziente che decide di suicidarsi, ma elenca tre motivi per cui «il sacerdote non può amministrare i sacramenti della confessione e dell’estrema unzione ai pazienti che li richiedono»:

«Innanzitutto una persona può ricevere i sacramenti solo quando si trova in buona disposizione e questo non è il caso di chi vuole opporsi all’ordine della creazione, violando il valore intrinseco della vita. Il secondo motivo è che una persona che riceve i sacramenti mette la propria vita nelle mani misericordiose di Dio. Ma chi vuole porre fine alla propria vita vuole invece prendere la vita nelle proprie mani. Infine, il sacerdote che amministra i sacramenti o prepara il funerale della persona in queste circostanze si rende responsabile di uno scandalo, dal momento che le sue azioni possono suggerire che il suicidio o l’eutanasia sono permessi in certe circostanze».

LA SOLITUDINE È LA VERA MALATTIA DELL’OCCIDENTE

Questo non significa, continua l’arcivescovo di Utrecht, che non sia possibile celebrare il funerale di una persona che ha deciso di farsi uccidere con l’eutanasia, ma il sacerdote deve «giudicare in modo prudente se l’eutanasia o il suicidio assistito siano il frutto della depressione o di malattie psichiatriche. In questi casi la libertà della persona è diminuita e anche il porre fine alla propria vita non può essere considerato un peccato mortale».

In ogni caso, spiega il cardinale, la Chiesa cattolica deve «annunciare che Dio ha fatto gli esseri umani a sua immagine nella loro totalità, corpo e anima. Come dice la costituzione pastorale del Concilio Vaticano II, Gaudium et Spes, l’essere umano è una “unità di anima e corpo”. Questo significa che il corpo è una dimensione essenziale dell’essere umano ed è parte del valore intrinseco dell’essere umano. Per questo, non è lecito sacrificare la vita umana per porre fine al dolore». Dolore che deve essere alleviato in ogni modo con le cure palliative.

Da profondo conoscitore della società olandese, Eijk conclude affermando che per contrastare il trend favorevole all’eutanasia che dilaga in Occidente, la Chiesa «deve agire per alleviare la solitudine. Nella società contemporanea iper-individualista, gli esseri umani sono spesso soli. C’è un’enorme solitudine nelle società occidentali e la Chiesa incita a formare comunità per non lasciare le persone da sole. Una persona che vive in solitudine, infatti, senza l’attenzione e la cura degli altri, è meno capace di sopportare il dolore. La fede vissuta e la spiritualità cristiana insegnano che possiamo essere uniti al Cristo sofferente e portare la croce con lui. Così, non siamo mai soli».

Foto Aci Group

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