Rimini. «Per fermare gli attentati terroristici in Tunisia bisogna sviluppare l’economia, dare un lavoro ai giovani, ma anche prendere misure educative, culturali, politiche e sicuramente religiose». Dichiara così a tempi.it Taieb Baccouche, ministro degli Esteri della Tunisia, intervenuto al Meeting, a due mesi dalla strage di Sousse, quando 38 turisti sono stati massacrati da un tunisino affiliato all’Isis in uno dei luoghi di vacanza più ambiti del paese nord-africano. Il 18 marzo, invece, lo Stato islamico aveva assaltato il museo del Bardo, uccidendo 22 persone, tra cui 21 turisti.
Ministro, qual è la situazione oggi nel paese?
I terroristi hanno deciso di attaccare i simboli dello Stato, colpendo i suoi soldati (uno è stato ucciso ieri, ndr), e i simboli dell’economia, prendendo di mira i turisti. Lo scopo finale è impedire il processo democratico, indebolendo lo Stato e l’economia e causando di conseguenza problemi sociali e proteste. Sono riusciti a crearci molti problemi, non vogliono che in Tunisia si consolidi la democrazia.
Perché circa tremila giovani sono partiti dalla Tunisia per combattere con i jihadisti in Siria e Iraq?
Questi giovani sono poveri e senza lavoro da molti anni. Nell’ultimo periodo, purtroppo, ci sono stati governi di transizione che non sono riusciti a creare posti di lavoro, non riuscendo a lavorare a lungo termine. Sviluppando l’economia, si promuove la stabilità. Ma lo sa quanti soldi gli danno per partire e combattere?
No.
Duemila euro al mese, che è circa lo stipendio del segretario di Stato. Oltre a questo, li addestrano alla guerra in Libia, gli danno delle armi e questo affascina molto i giovani. Tanti partono, ma molti tornano o restano in patria per compiere attentati. Come nel caso di Sousse e Tunisi.
Oltre allo sviluppo economico, come si ferma il terrorismo?
Bisogna impedire il nuovo business rappresentato dal traffico dei giovani. Servono interventi in ambito educativo, culturale, politico e sicuramente religioso (molte moschee non autorizzate sono state chiuse, ndr). È importante infine sorvegliare le frontiere e qui voi potete aiutarci.
Come?
I rapporti tra i nostri due paesi sono molto buoni. Oltre a rinegoziare il nostro debito, voi potreste addestrare i nostri soldati che stanno a guardia delle frontiere.
Anche favorire la stabilità della Libia sarebbe importante. Che soluzione proponete per contrastare la dissoluzione dello Stato?
Io non sono per le posizioni che mettono il governo di Tobruk contro quello di Tripoli. Io preferirei, a una soluzione armata, una soluzione politica. Un negoziato sotto l’egida dell’Onu è possibile, anche perché con la forza le due fazioni non possono sconfiggersi a vicenda.
Fino ad ora però l’inviato speciale dell’Onu, Bernardino Léon, non ha combinato granché.
È vero, ma la colpa è di tutti quei paesi della regione che appoggiano un governo contro l’altro con aiuti militari. Così però portano solo alla morte della popolazione.
Come giudica l’azione dell’Unione Europea per risolvere la tragedia dei migranti?
La risposta dell’Ue è stata troppo lenta. Ma l’unico modo per risolvere la situazione è riportare stabilità nei paesi d’origine dei migranti, dai quali scappano.
L’area del Mediterraneo e del Medio Oriente raramente è stata così instabile.
In parte è colpa della comunità internazionale: non hanno fatto un buon lavoro con la guerra in Iraq, non risolvono il problema dei palestinesi, ma hanno sbagliato anche a fare la guerra alla Siria o a Gheddafi: si poteva trovare una soluzione politica.
Parte della responsabilità non va anche attribuita alla guerra tra sunniti e sciiti interna all’islam?
Sicuramente. È chiaro che se alcuni prendono il potere e cercano di marginalizzare gli altri, si creano tensioni. La verità è che né i sunniti né gli sciiti sono in grado di eliminarsi con la forza. Quindi è meglio che trovino un accordo e un terreno comune.