Il Papa è morto. La Cina nomina due vescovi

Di Leone Grotti
02 Maggio 2025
La decisione del Partito comunista è un segnale e una sfida per il prossimo pontefice. Il nuovo vescovo di Xinxiang in passato approvò il divieto per i minori di 18 anni di frequentare la Messa
La chiesa di San Giuseppe a Pechino, in Cina
Un gruppo di fedeli esce dalla chiesa di San Giuseppe a Pechino, in Cina (foto Ansa)

Non sono giorni come gli altri per la vita della Chiesa cattolica. I fedeli in tutto il mondo attendono e pregano. Mentre nella basilica di San Pietro si svolgono le celebrazioni dei Novendiali, i nove giorni di lutto che seguono la morte del papa, i cardinali si preparano al conclave che inizierà il 7 maggio e durante il quale verrà eletto il nuovo pontefice.

L’atmosfera è di sospensione. Tutto, in un certo senso, si è fermato, compresa la canonizzazione del beato Carlo Acutis. Il nuovo papa effettuerà nuove nomine. Le gerarchie ecclesiastiche cambieranno. Nessuno vuole prendere decisioni prima di sapere chi siederà sul soglio di Pietro dopo Bergoglio. Nessuno, dicevamo, tranne la Cina.

Il papa non c’è, alla Cina non importa

A Shanghai, come riferisce AsiaNews, padre Wu Jianlin, direttore della Commissione per gli affari educativi, è stato eletto nuovo vescovo ausiliare della diocesi. La medesima cosa è avvenuta a Xinxiang, provincia dell’Henan, dove per il ruolo di vescovo è stato scelto padre Li Jianlin.

L’accordo tra Cina e Santa Sede sulla nomina dei vescovi, per quanto segreto, prevede che il candidato della Chiesa cinese, scelto “democraticamente” da assemblee controllate dal Partito comunista, venga approvato dal papa. Non si sa tuttora, però, se il pontefice possa rifiutare un candidato.

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Pechino invia un segnale a Roma

Forse era già stato concordato tutto in precedenza, ma perché scegliere per l’elezione di un vescovo, per di più in una diocesi chiave come Shanghai per il cattolicesimo cinese, le uniche tre settimane negli ultimi 12 anni in cui a Roma non c’è un papa regnante?

Mancanza di rispetto a parte, Pechino ha voluto inviare un segnale chiaro. Anche dopo la firma dell’accordo con il Vaticano, la Cina non ha mai smesso di predicare una Chiesa autonoma, autogestita e indipendente dalla Santa Sede. Le ultime due nomine sono la diretta conseguenza di questo principio: possono essere fatte anche se non c’è il papa.

La Cina ignora la morte di Francesco

Che gli organismi ecclesiastici ufficiali, legati al regime comunista, fossero disinteressati alla morte di papa Francesco lo si era intuito anche nei giorni scorsi. Bergoglio è scomparso il 21 aprile, ma il sito ufficiale della Chiesa cattolica cinese ha impiegato ben quattro giorni per pubblicare queste due stringatissime righe: «Papa Francesco è stato chiamato dal Signore alle 7:35 del mattino del 21 aprile 2025 (13:35 ora di Pechino) presso la Casa Santa Marta all’età di 88 anni. Preghiamo insieme perché Dio nella sua misericordia accolga papa Francesco nella beatitudine eterna in Paradiso».

La notizia non è stata considerata degna di far parte delle cinque in evidenza, corredate di foto. Una di queste pubblicizzava le modalità con cui i neolaureati potevano accedere ai colloqui per lavorare presso l’Associazione patriottica.

Tre giorni dopo la pubblicazione della nota sulla morte di papa Francesco, la notizia è scomparsa dall’home page, occupata perlopiù dai “pellegrinaggi” delle diverse diocesi ai principali monumenti comunisti del paese e dal resoconto delle riunioni svolte dappertutto in Cina per «sinicizzare la Chiesa cattolica», come ordinato da Xi Jinping.

Il vescovo ausiliare di Shanghai, Taddeo Ma Daqin, dopo l'ordinazione nel 2012 prima dell'arresto
Il vescovo ausiliare di Shanghai, Taddeo Ma Daqin, dopo l’ordinazione nel 2012 e prima dell’arresto

I due vescovi fatti sparire dal regime

Questi non sono gli unici segnali preoccupanti. Le ultime nomine episcopali sono discutibili anche nel merito e non solo nella forma. La diocesi di Shanghai, infatti, ha già due vescovi ausiliari. Il primo, Joseph Xing Wenzhi, è stato nominato da Giovanni Paolo II e poi confermato da Benedetto XVI. Aveva ottenuto anche il riconoscimento del governo ma dopo aver dimostrato di obbedire più a Roma che a Pechino, è stato fatto sparire.

Al suo posto venne nominato Taddeo Ma Daqin, il quale, il giorno dell’ordinazione episcopale nel 2012, annunciò clamorosamente di abbandonare l’Associazione patriottica perché inconciliabile con il suo ruolo di vescovo. Fu subito arrestato e rinchiuso nel seminario di Sheshan, dove si trova tuttora nonostante nel 2016 si sia scusato pubblicamente.

Bisogna notare infine che l’attuale vescovo di Shanghai, monsignor Shen Bin, è stato trasferito nel 2023 dalla diocesi di Haimen senza neanche consultare il Vaticano. Papa Francesco ha acconsentito allo “spostamento” solo dopo tre mesi per preservare l’unità della Chiesa.

Il vescovo contrario ai giovani a Messa

Anche la nomina di padre Li Jianlin a Xinxiang è difficile da digerire per la Santa Sede. Per Pechino la sede è vacante, mentre per Roma il vescovo c’è già: è monsignor Joseph Zhang Weizhu, ordinato clandestinamente nel 1991 e più volte arrestato perché non allineato al Partito comunista cinese.

Padre Li, pluricitato sugli organi di stampa ufficiali del regime, è un vescovo decisamente anomalo: è infatti uno dei firmatari della circolare del 2018 con cui l’Associazione patriottica dell’Henan ha proibito a tutti i minori di 18 anni di entrare in chiesa per partecipare alla Messa.

Nella circolare si leggeva in particolare:

«[Nell’Henan] è vietato organizzare attività di qualsiasi forma per l’educazione o la formazione religiosa dei minori. Si invitano i fedeli che vanno a Messa a lasciare i propri bambini in custodia ad altri per non portare i bambini con sé in chiesa. Si tratta di una “linea rossa”».

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Cosa farà con la Cina il prossimo papa?

Come scritto su Tempi da padre Bernardo Cervellera, da quando è stato firmato (per quanto provvisoriamente) l’accordo sulla nomina dei vescovi, «la Chiesa cinese ha molta meno libertà ed è sottoposta a un maggiore controllo».

Nel 2020 un importante diplomatico vaticano disse al Corriere che si trattava di un «cattivo accordo», ma che era comunque meglio del diluvio di ordinazioni episcopali illecite – forse più di 40 – che il Partito comunista minacciava di fare e che avrebbe portato a uno scisma.

Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e papa Francesco le hanno provate tutte – se pur usando metodi diversi – per stare vicini ai cattolici cinesi perseguitati dal regime. Il prossimo pontefice dovrà decidere se seguire la strada tracciata da Francesco o intraprenderne un’altra. Si tratterà, in entrambi i casi, di scelte dolorose: sia per la Chiesa universale che per quella cinese.

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