Dai Esselunga, facci lo spot sulla famiglia queer di Capracotta

Di Caterina Giojelli
28 Settembre 2023
Cosa vogliono quelli che dopo la pubblicità della pesca lanciano l’allarme “coppie etero unite, benestanti che piacciono a Meloni e fanno male a diritti, bambini e igiene”? Vivere felici, contenti con le brugole Ikea mentre l’asteroide incenerisce il patriarcato?
Lo spot Esselunga
Lo spot Esselunga "La pesca"

Premesso che la famiglia tradizionale è supercacca, che come dice Saviano non esiste e se esiste è solo sinonimo di “danni”, “orrore”, “ipocrisia”, “traumi”, e come scrive Salamida è un «modello in decomposizione» rappresentato da un «assassino bianco» come Impagnatiello a cui è mancata quella «educazione sentimentale che i trogloditi chiamano “ideologia gender”».

Premesso che se davvero gli spot veicolassero modelli di comportamento, Nuvenia avrebbe riempito i cieli di donne che “in quei giorni” si fiondano giù dagli elicotteri, Chicco risolto il problema denatalità, e la carbonara vegana di Barilla conquistato il Nobel per la pace. Premesso che love is love, black lives matter, gpa über alles, e che se snoccioliamo assurdità è solo perché quando parte la brocca ai progressisti mica vogliamo farli a sentire a disagio, premesso ciò: ma che ci volevate nello spot Esselunga, Tiziano Ferro?

Tutti divorzisti davanti allo spot sulla pesca di Esselunga

Ieri abbiamo avuto una di quelle giornate in cui stampa, politici, social non parlavano che della “pesca” di Emma, figlia di due separati che si perde all’Esselunga per cercare una pesca da regalare al papà fingendo sia un dono della mamma. E in poche ore abbiamo capito che: lo spot – perché di uno spot molto Muccino style si tratta – su una bimba che cerca di rimettere insieme mamma e papà divorziati «ci ricorda che la famiglia non è mai stata quella del “Mulino Bianco”», ma lancia anche il «messaggio rischioso della famiglia unita per forza», «è un passo indietro su famiglia, donne e diritti». «Sono passati 53 anni […] dal giorno in cui, in Italia, la legge che permette il divorzio è diventata realtà, liberando uomini e donne da rapporti che non riuscivano più ad alimentarsi d’amore […]. Ma tutto questo Esselunga non lo sa e il cliché del bimbo “ovviamente” infelice perché mamma e papà non vivono più insieme è più vivo che mai», «quella bambina bisogna aiutarla a metabolizzare quel che è accaduto, per non fare che il trauma abbia il sopravvento».

«La prima, immediata reazione: ma così sembra che è colpa della madre se i suoi si sono separati. E potrebbe anche essere una forma di colpevolizzazione, di vittimizzazione secondaria, perché chi dice che quella coppia non si sia sfasciata per colpa del padre? Ma è stata, appunto, solo la prima reazione. Perché per fortuna i social servono anche a riflettere». Avete capito? No? Perché non leggete Wired, Adnkronos, Cosmopolitan e Repubblica. Ma andiamo avanti.

«Trionfo della famiglia tradizionale che piace a Meloni»

Lo spot di Esselunga «è il trionfo della famiglia tradizionale che piace a Meloni», scrive Today accusando il “modello aspirazionale” proposto del nucleo milanese benestante in cui «anche la rappresentazione della figura materna risulta problematica: è lei a perdere la bambina, è lei a rimproverarla, è di lei che la bambina si fa “ambasciatrice” presso il padre ed è sempre lei, la madre, a guardare dall’alto in basso il padre che quindi viene ripreso in una condizione di subalternità rispetto alla figura materna», «c’è aria di restaurazione nell’access prime time e tutto questo ci spiega, meglio di qualsiasi sondaggio, che Giorgia Meloni ha già vinto».

All’affaire pesca il Fattoquotidiano.it dedica decine di commenti, in primis quello della docente di semiotica per la quale «anche se lo spot mette in scena due genitori separati, il modello in filigrana è sempre lo stesso […]: coppia eterosessuale unita. La famiglia del Mulino Bianco, come ripetono in tanti, e infatti sì, sempre quella. Qualcuno si chiede: ma perché “unita” se i genitori sono separati? Rispondo: e perché mai la bimba dovrebbe essere così triste, se non perché l’ideale è quello e lei se ne sente esclusa? […] Ci mancava pure questa, in un momento in cui anche la politica insiste sulle famiglie etero, unite e benestanti».

D’accordo l’Huffington Post, «arriva il padre e lo spot cambia registro: lui è sorridente, è positivo, e la stessa figlia si riempie di entusiasmo ed emette le sue prime parole. Oltre al tema del divorzio, dunque, oltre alla sofferenza dei figli, ciò che la pubblicità di Esselunga ripercorre è la colpevolizzazione della figura femminile». Bacchettate a Esselunga anche per non aver tenuto conto delle regioni in cui è presente il brand: «Sono territori economicamente avanzati, con livelli di istruzione più alti e una familiarità con le battaglie sociali contemporanee. Quindi sono aree dove i valori tradizionali sono ben sbiaditi, si lotta per la parità di genere, le famiglie separate sono numerose e i loro componenti, da tempo, hanno smesso di credere che bisogna stare insieme per i figli».

E vissero felici e contenti con le brugole di Ikea

Lezioni anche da Fanpage («Quello spot di Esselunga è sbagliato, non tocca ai bambini aggiustare le cose») e dalla psicoterapeuta Anna Oliverio Ferraris: «Queste situazioni vanno seguite, perché creare dei sensi di colpa nei genitori? […] I pubblicitari andrebbero educati ma forse sono ineducabili. Non credo che svolgano una funzione educativa». Il pensiero ovviamente andrebbe alla mamma uccisa dall’asteroide nello spot del Buondì Motta e invece da Repubblica al Corriere della Sera è tutto un contrapporre Emma al bambino di uno spot Ikea del 2016: anche lui è figlio di separati ma non cerca la riappacificazione tra i due; pace è per lui scoprire che la nuova cameretta nella casa del padre è arredata come quella a casa della mamma, e vissero tutti felici e contenti con le brugole.

Ma qui c’è una pesca, e agli articoli sulla famiglia che «torna a essere eteronormata e tradizionale, con una mamma e un papà, bianchi, borghesi, italiani» e a decine di titoli che citano utenti social («lo spot strumentalizza le sofferenze di una bambina », «risveglia sofferenze in chi ha provato l’esperienza della separazione») o che citano “Pillon” assolutamente a caso, si affiancano quelli su «perché hanno usato proprio la pesca?» (c’entra la cultura orientale, Plinio il vecchio, la Trinità e alcune Madonne col bambino), «lo spot Esselunga trascura le regole igieniche» (la bimba non afferra la pesca con i guanti e la appoggia sul nastro della cassa senza sacchetto), ma anche «quanto costa la vita da single? La mamma di Emma dello spot “La pesca” di Esselunga spende 517 euro in più ogni mese» e «quelle pesche senza imballaggio di plastica sono pura finzione scenica, un espediente narrativo. Chiunque di noi ha esperienza di un supermercato sa benissimo quanta plastica venga venduta insieme alla frutta e alla verdura».

Aspettando i queer di Capracotta con Falce e carrello

Sul tema intervengono Meloni («spot molto bello e toccante»), Salvini, Bersani, Calenda, Padellaro, la Ghisleri osa dire «penso che non colpevolizzi i genitori, ma li responsabilizzi», Premio “mi è partita la brocca” a Fratoianni («Presidente Giorgia Meloni, vedo che commenta lo spot di una nota catena di supermercati. Ma che non dice nemmeno una parola sul carrello della spesa di milioni italiani, separati e non. Per loro anche una pesca rischia di diventare un lusso») e soprattutto a Bonelli («Nei supermercati ci sono anziani che comprano due fette di prosciutto perché tra pensioni basse e aumento dei beni di prima necessità la situazione è drammatica. Meloni, spegni la tv e occupati delle famiglie italiane del caro bollette. E, visto che ci sei, spiega perché hai sanato 8,3 miliardi di euro di extraprofitti alle società energetiche della tassa del governo Draghi che sono frutto della triplicazione dei costi delle bollette»). Mentre Domani tiene la barra dritta: «Esselunga ha puntato sui valori della famiglia tradizionale, dove anche il divorzio può essere facilmente superato».

Di nuovo: che ci dovevano mettere nello spot Esselunga? Come la fai sbagli: la famiglia tradizionale non può essere unita (alert stereotipo) ma nemmeno divisa (alert stereotipo), in via di riappacificazione (alert stereotipo Mulino Bianco), bianca (alert razzismo), benestante (alert suprematismo milanese), lei non deve sbrigare faccende o sclerare (alert sessimo), lui non deve essere ganzo (alert patriarcato), i bambini non devono soffrire le separazioni (alert pregiudizio), le pesche non possono girare senza sacchetto (alert Covid).

In attesa di uno spot in cui una famiglia queer, composta, in ossequio alle regole dell’Academy, da asiatici, ispanici, neri, nativi, abitanti dell’Alaska, delle isole del Pacifico e di Capracotta (Molise), faccia la spesa al Penny mentre un asteroide cade nel parcheggio dell’Esselunga di via Solari sul capofamigliatradizionale carico di pesche e surgelati e alla fine Fratoianni vince le elezioni, ci limitiamo a chiudere i giornali. E riaprire il sempre attuale Falce e carrello dell’indimenticabile Bernando Caprotti.

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