
Buondì e Carpisa. I rischi della pubblicità liquida

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La polemica intorno al Buondì Motta dimostra quanto sia diventato scivoloso per le aziende muoversi in un ambiente in cui basta un commento virale o un video parodistico per mettere alla berlina chiunque. «Oggi le pubblicità non possono più essere ristrette entro lo spot per cui nascono (i trenta secondi in televisione, i moduli pubblicitari su un giornale, lo spazio di un banner su un sito). La realtà mediatica è decisamente più fluida e tutto può diventare oggetto sociale di conversazione passando da un media all’altro nel giro di pochissimo tempo» spiega a tempi.it Michele Boroni, giornalista ed esperto in comunicazione e marketing. Ed è così che l’ironico (e un po’ grottesco) spot televisivo della merendina in cui un meteorite cade sulla testa di una madre è rimbalzato su tutti i social con l’accusa di essere troppo violento e contro la famiglia. «Un tempo, l’ufficio marketing di un’azienda studiava un preciso piano di comunicazione che sapeva dove andare a parare. Oggi invece è molto più facile che un messaggio sfugga di mano e si trasformi in qualcos’altro. È un discorso che con le nuove tecnologie vale per tutto e a maggior ragione per i messaggi commerciali forti».
[pubblicita_articolo allineam=”destra”]EFFETTO BOOMERANG. Alla fluidità dei mezzi di comunicazione si aggiunge un’ulteriore difficoltà per pubblicitari e comunicatori: l’imprecisione del target. «Fino a qualche anno fa la definizione del pubblico a cui rivolgersi costituiva il primo passo in una campagna di comunicazione. Oggi invece, proprio perché i media non hanno più confini definiti, il target è pressoché infinito». Da un lato, questo quadro così dinamico, molto complesso da gestire, può comunque rivelarsi fruttuoso per un’azienda perché offre un’ampissima gamma di possibilità e soluzioni creative e attinge a un bacino di possibili clienti molto largo. «Il rovescio della medaglia è che basta una minima svista per finire affondati da quegli stessi mezzi così promettenti» avverte Boroni. «Oggi la reputazione di un’azienda è costantemente messa a repentaglio perché ogni iniziativa può avere un effetto boomerang».
JUICERO E CARPISA. In certi casi, come in quello del Buondì Motta, le polemiche sembrano essere vuote e infondate, ma in altri casi questo meccanismo si rivela utile per mettere in guardia il consumatore da eventuali truffe. Ci sono due esempi molto recenti. Il primo è quello dello spremifrutta della start up americana Juicero, una macchina estremamente costosa che permette di preparare succhi di frutta in casa pressando a freddo appositi sacchetti che contengono frutta e verdura già spremuti. Bloomberg ha creato un video in cui mostra che in realtà la costosa macchina è totalmente inutile perché i sacchetti si possono comodamente spremere a mano. Risultato: Juicero è stata costretta a chiudere. L’altro esempio molto discusso è avvenuto qui in Italia e riguarda il concorso lanciato da Carpisa: la casa di pelletteria propone a chi acquista una sua borsa di partecipare ad un concorso realizzando un piano di marketing per il lancio di un nuovo prodotto e promette al vincitore uno stage in azienda (cioè in pratica, dicono i critici, il candidato deve lavorare gratis, dopo aver pagato una borsa, per ottenere un contratto di lavoro temporaneo e sottopagato).
CIASCUNO È UN MEDIA. «Va notato che, in ogni caso, la protesta non parte più da un critico o da un esperto, ma da una persona molto influente sui social o da gruppi di persone comuni che creano un effetto domino nella trasmissione di un messaggio» dice Boroni. Non è dunque strano che la protesta montata dagli utenti di Internet e approdata anche sui giornali produca effetti simili al servizio lanciato da Bloomberg. In questo contesto, «ciascuno di noi è un media, e anzi, alcuni soggetti molto seguiti sul web possono rivelarsi persino più preparati su certi argomenti di un media tradizionale perché hanno un contatto più diretto con la realtà di cui si parla». Questo è il motivo per cui molte aziende oggi ricorrono maggiormente all’influencer che al testimonial.
SPOT OCCULTI. Ma anche il ricorso agli influencer presenta dei punti controversi. Secondo Boroni, la decisione di rendere obbligatoria la segnalazione di accordi commerciali tra un personaggio del web e un brand non è una difesa del consumatore, ma un vantaggio per le aziende. «Si è creato un grandissimo scarto generazionale: i più giovani, cosiddetti “nativi digitali”, hanno già gli anticorpi per questo tipo di comunicazione. Lo sanno già, in fondo, come funziona il meccanismo, ma la segnalazione di una pubblicità non cambia il loro sguardo su un post o una foto». Ai ragazzi quindi non cambia niente se verrà citato il nome del marchio con eventuale link, mentre per le aziende questa ricchezza di informazioni messa a disposizione del consumatore suona allettante. «È giusto segnalare la presenza di “pubblicità occulta”, ma non tanto per la difesa di un consumatore che è molto più smaliziato di quello che noi pensiamo, bensì perché è giusto fare ordine dal punto di vista contrattuale, fiscale. Comunque bisogna essere consapevoli del fatto che queste misure non risolvono il problema in maniera definitiva: ci troverà sempre il modo di aggirare i paletti, a maggior ragione se gli utenti finali non si pongono il problema».
DOPPIO ERRORE. Il punto di debolezza o di forza (a secondo del punto di vista) di queste nuove forme fluide di comunicazione è la loro dinamicità. «È un continuo divenire in cui bisogna stare sempre attenti a ogni mossa. Soprattutto, bisogna essere pronti a trovare delle strategie di risposta in caso di crisi. Carpisa per esempio ha commesso un duplice errore: il primo è stato quella campagna marketing (che se fosse stata lanciata dieci anni fa non avrebbe avuto lo stesso “effetto eco”), e il secondo è il fatto che l’azienda non ha reagito. Lo scandalo è scoppiato a fine agosto, ma ancora oggi Carpisa non ha né porto le sue scuse né corretto la sua linea di tiro. In questo nuovo mondo della comunicazione chi si ferma è perduto».
Foto Youtube e Instagram
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