
Eritrea. I vescovi denunciano il regime: «I giovani non fuggirebbero all’estero se vivessero in un paese decente»
In una lunga lettera pastorale scritta in occasione dell’indipendenza dell’Eritrea, celebrata poche settimane fa, i vescovi cattolici hanno denunciato la violenza del regime che obbliga centinaia di eritrei a scappare dal paese per intraprendere un viaggio difficilissimo fino in Libia, dove poi si imbarcano sui gommoni stracarichi di migranti per raggiungere l’Italia.
«SITUAZIONE AGGRAVATA». «Non ci sarebbe bisogno di emigrare se si vivesse in un paese decente», si legge in un passaggio della lettera citata da Fides. Ricordando la tragedia di Lampedusa del 3 ottobre 2013, in cui persero la vita circa 400 migranti, soprattutto eritrei, la Chiesa scrive: «Invece di trovare soluzioni per impedire che simili tragedie si ripetano, la situazione si è aggravata. Non c’è bisogno di cercare il paese del miele se si vive già in esso».
«PERCHÉ I GIOVANI FUGGONO?». I vescovi denunciano la disgregazione delle famiglie, i cui membri sono costretti a impegnarsi in un servizio militare lungo anche 20 anni, gli arresti arbitrari e la violenza dei centri di rieducazione. «È inutile chiedere perché la nostra gioventù fugge all’estero. Tutto questo crea un paese desolato. Anche le persone arrestate devono essere trattate umanamente e devono essere giudicate da una corte».
ARRESTI E TORTURE. Quello eritreo è uno dei regimi più oppressivi al mondo, che nega tutte le libertà fondamentali: non esiste infatti libertà di stampa, associazione, pensiero, religiosa. I cristiani vengono perseguitati e ai giovani le autorità rubano il futuro costringendoli a cercare una fuga disperata attraverso Sudan, Etiopia e Libia. Tra il 2007 e il 2012, secondo un recente rapporto, 30 mila eritrei sono stati rapiti e torturati con l’aiuto del regime mentre tentavano di scappare.
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