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Elezioni Anm. Dopo Palamara, il Csm rischia un altro brutto colpo

Se i voti dei magistrati confermeranno gli orientamenti dimostrati fin qui, l'autogoverno delle toghe avrà gli stessi problemi di consenso del governo M5s-Pd. Avrà senso insistere con l'accanimento terapeutico?

Alfredo Mantovano
17/10/2020 - 15:49
Interni
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Assemblea plenaria del Csm presieduta da Mattarella

1. Se l’attualità e la consistenza dei problemi fossero commisurabili al loro rilievo mediatico, il cosiddetto “caso Palamara” sarebbe da ritenere chiuso con la sanzione inflittagli dalla sezione disciplinare del Csm. E invece, benché quotidiani e tg non ne parlino più, la vicenda mantiene intatti i suoi profili critici, ben oltre la persona dell’ex presidente dell’Anm.

Sarebbe sufficiente considerare le seguenti circostanze, in larga parte già sottolineate dal Centro studi Livatino, durante l’ultimo convegno nazionale, tenuto il 29 novembre 2019:

  • allo stato il Csm, benché stia per completare il primo biennio, cioè la metà del suo mandato, ha visto in tempi diversi modificata la sua componente togata per circa 2/5, a seguito delle dimissioni di consiglieri eletti e del precedente procuratore generale della Cassazione (costui componente di diritto), con subentri derivanti – a parte il procuratore generale – dallo scorrimento dei primi dei non eletti, e da più elezioni suppletive, svolte in tempi diversi;
  • un ulteriore cambio in corso d’opera potrebbe aversi martedì prossimo, quando il plenum voterà sulla decadenza dalla carica di componente togato del Csm del dottor Piercamillo Davigo, eletto nel 2018 per la fascia della Cassazione: egli quel giorno compirà 70 anni, età di pensionamento per i magistrati, e il Consiglio dovrà decidere se alla pensione corrisponda o meno la permanenza in carica;
  • benché il 9 settembre di quest’anno si sia dimesso un altro togato, il dottor Marco Mancinetti, a distanza di oltre un mese non vi è stata la sostituzione col primo dei non eletti, il dottor Pasquale Grasso, e nessuno dice perché (e non si comprende perché), né si ipotizza in alternativa l’ennesima elezione suppletiva;
  • per via della legge elettorale dei togati e delle scelte operate dalle “correnti” nel 2018, al momento della presentazione dei propri candidati – non suddivisi per liste, sì che non sempre chi è subentrato ha avuto la medesima appartenenza di chi ha lasciato l’incarico –, dimissioni e subentri hanno notevolmente alterato la proporzione delle “correnti”, rispetto ai voti espressi dal corpo elettorale dei magistrati due anni fa;
  • il vicepresidente – “vice” perché il presidente è il capo dello Stato, dunque una posizione istituzionale rilevantissima – è anche presidente della sezione disciplinare, ma non ha potuto presiedere il più importante dei procedimenti disciplinari finora svolti da questo Csm – quello a carico del dottor Luca Palamara –, poiché ha presentato una dichiarazione di astensione, in quanto chiamato in causa dallo stesso Palamara;
  • pur dopo l’esplosione del caso Palamara, più d’un voto espresso dal Csm per incarichi apicali di importanti uffici giudiziari è passato da evidenti contrapposizioni fra “correnti”, con maggioranze formatesi talora con una sola preferenza di scarto e con contestuali astensioni, scendendo al di sotto della maggioranza assoluta (non che decisioni unanimi siano al riparo da condizionamenti correntizi, anzi in qualche caso sono indice di una ripartizione concordata).

2. Per sintetizzare, chiuso (si fa per dire) il caso Palamara, resta il “caso Csm”: un organo di rilievo costituzionale che in meno di due anni – come si è detto – ha visto la sua composizione così incisivamente mutata per i togati; e ancora “a formazione progressiva”, se il 20 il dottor Davigo fosse dichiarato decaduto, ça va sans dire a stretta maggioranza, e in assenza di lumi sulla sostituzione del dottor Mancinetti.

O, più in generale, resta il “caso magistratura italiana”, essendo rimasti inalterati i problemi che la affliggono: dall’accesso alla funzione alla progressione in carriera, dalle verifiche di professionalità ai criteri di nomina dei dirigenti, fino al modo di vivere la funzione nella prospettiva della “invenzione” del diritto, non già della sua applicazione. Inalterati perché né affrontati dall’interno, né oggetto di riforma da un governo e da un Parlamento che pensano ad altro.

3. In questo quadro, da domani a martedì 20 i magistrati italiani sono chiamati a rinnovare il vertice della loro Associazione: per lo meno, quelli iscritti all’Anm. Si vota online, dopo che i togati si sono registrati per prendervi parte: gli elettori saranno 7.100, su circa 9.500 magistrati in carica.

Si vota per liste di “correnti”. Sono cinque: Area (che riunisce Magistratura democratica e i Movimenti per la giustizia), Unità per la Costituzione, Magistratura indipendente e Autonomia e indipendenza; la quinta lista, finora non rappresentata né al Csm né all’ano, è Articolo 101. Benché vituperate e nonostante tutto, le “correnti” sono vive e lottano (fra loro); anzi, ogni tanto ne esce una nuova.

4. Una decina di giorni fa vi è stato un acconto. Nel disinteresse generale, i magistrati italiani hanno votato per il rinnovo delle componenti togate dei Consigli giudiziari, cioè di quegli organismi che in ciascuna Corte di appello svolgono funzioni ausiliarie del Csm, esprimendo pareri su quel che riguarda la funzionalità degli uffici giudiziari e la progressione in carriera.

Si è votato per liste di “correnti”: se si fosse costretti a sintetizzare, le elezioni hanno manifestato un deciso orientamento polarizzante. Assumendo come dati di confronto quelli delle elezioni del Csm del 2018, pur nella consapevolezza che lì non vi erano le liste (ma i candidati erano pochi e correntiziamente riconoscibili), le “correnti” che l’altra domenica hanno conseguito i consensi più significativi sono state Area e Magistratura indipendente, con un forte ridimensionamento di UniCost, e una riduzione dei voti di A&I.

Area mantiene una importante consistenza in Cassazione e in taluni distretti, come Milano o Firenze. MI avanza ovunque, giungendo a più che raddoppiare i voti in Cassazione. UniCost paga lo spostamento “a sinistra” manifestato di recente, e perde voti “moderati” in favore di MI. A&I sconta il disorientamento provocato nel proprio elettorato da talune scelte fatte nel Csm, insieme con Area, e pur essa perde in favore di MI: si tratta di consensi che “rientrano”, visto che A&I era stata costituita operando una scissione da MI. 

Le elezioni di domani per l’Anm potrebbero confermare la tendenza bipolare. Se così fosse, ciò delegittimerebbe ulteriormente l’attuale Csm, questa volta su un fronte tutto “politico”, pur se di politica giudiziaria. Le sue componenti di maggior peso condividerebbero con la maggioranza che sostiene l’attuale governo il destino di avere oggi un consenso nell’elettorato di riferimento molto più ridimensionato rispetto a due anni fa.

E, probabilmente più del governo in carica, l’attuale Csm manifesterebbe un profilo di accanimento terapeutico nel proprio mantenimento in vita, incoerente con la più recente giurisprudenza della Corte costituzionale. Eppure costituirebbe un singolare caso di accelerazione del fine vita privo di controindicazioni etiche.

Ne daremo conto a risultati acquisiti.

Tratto dal sito del Centro studi Livatino

Foto Ansa

Tags: Alfredo MantovanoanmAreacaso palamaracentro studi livatinocorrenti magistraturaCsmluca palamaramagistraturamagistratura indipendentePiercamillo Davigounicost
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