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Ecco come si fa fuori un uomo potente in Italia. Lo “sfortunato” caso di Antonio Mastrapasqua

Così l'ormai ex presidente dell'Inps è stato sacrificato sull'altare dei "superiori" interessi di Letta-Renzi-Repubblica

Giorgio Lustri
13/02/2014 - 2:00
Politica
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Bulimico? Certamente. Esagerato? Forse. Eppure i molti incarichi e attività professionali che Antonio Mastrapasqua aveva accumulato prima di arrivare alla presidenza dell’Inps furono addirittura indicati come un vantaggio competitivo. L’affermazione pubblica, nella primavera del 2010, nella sala della Lupa a Montecitorio, non a un bar di Tor Bella Monaca, fu di Gianni Letta, allora sottosegretario plenipotenziario alla presidenza del Consiglio.

E aveva una certa logica: i presidenti dell’Inps del passato sono stati quasi sempre sindacalisti in pensione, politici trombati, professori universitari spompati. Un intraprendente commercialista mai. La cosa ha avuto i suoi “pro”, come argomentava qualche anno fa il “dottor Letta” (zio), compitando i numeri di una “case history” studiata alla Bocconi, e i suoi “contro”, come ha sentenziato un altro Letta (nipote) poche settimane fa, sillabando una parola tronca: e-sclu-si-vi-tà. Insomma: bisogna fare una cosa per volta.

Lui, l’interessato, Mastrapasqua, aveva rivendicato la molteplicità delle sue attività come garanzia di libertà. «Per non costringermi a passare il mio tempo sui divani di Montecitorio o su quelli di qualche segreteria sindacale»: diceva più o meno così. Intendeva: proprio perché ho altro (e non poco) da fare, posso considerare i 173 mila euro lordi (di tanto si tratta, non di un milione: questo è il reddito complessivo delle attività e delle rendite patrimoniali del signor Mastrapasqua Antonio) di remunerazione della presidenza Inps come una non irrinunciabile componente della vita personale e professionale.

Tempi a Caorle per il Premio Luigi Amicone 2023 - Chiamare le cose con il loro nome Tempi a Caorle per il Premio Luigi Amicone 2023 - Chiamare le cose con il loro nome Tempi a Caorle per il Premio Luigi Amicone 2023 - Chiamare le cose con il loro nome
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Insomma tante attività, tanto onore. E tanta libertà. Una tesi suggestiva. Di qualche buon senso.

Ma una tesi incompatibile con la demagogia pauperista e giacobina che ha preso il paese. «Si deve fare una cosa per volta». A dirlo è stato il premier Letta (che alle spalle ha però lo stipendio da parlamentare, un paracadute niente male). La regola proposta vale solo per il pubblico. L’esperienza dice spesso che più cose si fanno più si impara a farle meglio. Poco senso ha sostenere che dieci cose fatte da una persona possano essere fatte da dieci persone. I rapporti fiduciari non funzionano così. Ma nel pubblico così deve accadere. Almeno questa è la norma, ancora assente, ma in corso di scrittura. Il disegno di legge annunciato dal premier non è ancora noto. Di certo rimanderà a decreti ministeriali attuativi, come nella peggiore tradizione della legislazione italiana.

Un modo per assicurare al vertice della pubblica amministrazione italiana le seconde o le terze linee – in ordine di qualità – del paese.

Anche questa, comunque, è una scelta. Così come una scelta è quella che è stata innescata sabato 25 gennaio con la pubblicazione su Repubblica dell’articolo che ha portato alla defenestrazione di Antonio Mastrapasqua dall’Inps. In sé l’inchiesta pare poca cosa: un’indagine della Procura di Roma su alcune cartelle cliniche “gonfiate” all’Ospedale Israelitico di Roma, quando anche un bambino sa che qualora la cosa fosse provata riguarderebbe la direzione sanitaria del nosocomio, non la sua direzione generale. Ma il dubbio più pesante instillato dalla indagine riguardava la pratica della compensazione fra crediti e debiti della Pa. Senza entrare nel ginepraio della tecnicalità diffusa e regolata dalle leggi dello Stato e dalle convenzioni regionali, lo spettro ventilato è quello del conflitto di interessi. La stessa persona, Antonio Mastrapasqua, è direttore generale dell’ospedale che chiede le compensazioni e presidente dell’ente (Inps) che le ammette.

Conflitto di interessi? Si potrebbe evocare il “conflitto epidemico” documentato qualche anno fa dottamente da Guido Rossi, e in qualche modo anche da lui praticato. Si potrebbe una buona volta evitare di paragonare il nostro mondo al mondo anglosassone, che ad esempio non deve essere vittima della giustizia amministrativa e del suo scempio. Ma quando partono gli ayatollah politico-mediatici, per dirla con Giuliano Cazzola, non c’è scampo. Non c’è verità provata che tenga. Il giornalista collettivo – in questo caso la citazione à di un altro gran Giuliano, Ferrara – procede per assiomi rigorosamente sottratti alla verifica dei fatti.

Il partito Repubblica lavora così da anni. Con efficacia. Il 25 gennaio ha messo nel mirino il presidente dell’Inps. Mandanti e obiettivi?

Che il quotidiano di De Benedetti-Scalfari-Mauro sia al fianco di Matteo Renzi è cosa nota. Che il giovin segretario Pd voglia creare problemi alla nomenclatura esistente, per di più se sospetta di appoggi a casa Letta (per lui zio e nipote pari sono), è altrettanto noto. Che la partita delle nomine di aprile e maggio non potesse essere considerata dal sindaco di Firenze un capitolo da cui essere escluso, è altrettanto evidente. La parola rimpasto farà venire le bolle al buon Matteo, la parola nomine pare di no.

Lanciato il sasso sabato 25 gennaio, in meno di 24 ore le ambizioni legittime di Antonio Mastrapasqua di diventare un aspirante a poltrone di primo rango (la presidenza di Enel o di Eni, ma anche il vertice delle Poste) erano svanite. Renzianamente un successo. A gongolare molti rivali per quei posti golosi. Ma il premier Letta – che in quanto a cinismo non si fa bagnare il naso da nessuno – non vuole essere scavalcato. E si impossessa dell’affaire. Chiede al ministro Giovannini, che sa di essere in procinto di giubilazione, una relazione sul caso. Letta nipote vede profilarsi in un sol colpo tre occasioni: fare un dispetto allo zio, emnacipandosi dalla sua ombra impomatata e ingombrante, prendersi l’onore di una piccola grande rottamazione (Mastrapasqua ha superato tre governi diversi e tre diversi ministri del Lavoro che avrebbero visto volentieri cadere la sua testa, Sacconi compreso), fare un favore grande come una casa al sindacato: Cgil, Cisl e Uil avevano motivi diversi ma coincidenti per non vedere più il presidente al posto suo (sarebbe utile prima o poi capire anche perché Mastrapasqua è stato tanto odiato dai sindacati e dai sindacalisti in Inps).

Ed ecco che Mastrapasqua non viene solo azzoppato per il prossimo giro di nomine, ma si libera un’altra e ambita poltrona, da offrire al solito vecchio giro di politici trombati, sindacalisti affamati, professori in cerca di ruolo. E il primo di febbraio, una settimana dopo, da sabato a sabato, la poltrona del presidente dell’Inps (e quella del vicepresidente di Equitalia) è libera.

Quando il partito Repubblica opera con questo spolvero di alleati, altro che invincibile armada. Irresistibile. Che il bilancio di questi anni all’Inps sia più che positivo – il “buco” di bilancio, è arcinoto, dipende dall’incorporazione dell’Inpdap – che efficienza e razionalizzazione e innovazione abbiano fatto passi da gigante, inimmaginabili in qualunque altro pezzo della Pubblica Amministrazione italiana, è e sarà del tutto irrilevante.

Antonio Mastrapasqua è stato eliminato. La politica vince anche quando è debole e perdente. Perché la politica di questo paese non si preoccupa più degli obiettivi e dei risultati, ma solo di rappresentarsi. È il tempo degli ayatollah, non dei manager.

Tags: Antonio Mastrapasquacarlo de benedetticonflitto interessienrico giovanniniequitaliaeugenio scalfariezio maurogianni lettagiuliano cazzolagiuliano ferrarainpslettaMatteo RenziOspedale israeliticoPdrepubblicaRoma
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