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«È passata “l’ondata” populista che fece la fortuna di Lega e 5 Stelle»

Gli errori del “situazionista” Salvini e il crollo del M5s, «diventato un partito “di un altro momento storico”». Intervista al politologo Giovanni Orsina

Emanuele Boffi
15/06/2022 - 7:00
Politica
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Matteo Salvini e Giuseppe Conte
Matteo Salvini e Giuseppe Conte (foto Ansa)

Fatta la dovuta premessa sul fatto che le ultime elezioni amministrative possono darci solo indicazioni parziali sullo stato di salute dei partiti, Giovanni Orsina, professore di Storia contemporanea e direttore della School of Government alla Luiss Guido Carli, ha scritto sulla Stampa che qualche segnale dal voto la possiamo trarre. Il primo, e più semplice, è che «in un panorama molto frastagliato, c’è un blocco elettorale di destra-centro che vale quasi la metà dei votanti. Se i partiti riescono a mobilitarlo in solido, per gli altri concorrenti la gara si fa difficile».

Detto questo, però, anche da quelle parti, non ci si può cullare negli allori, anzi. Le questioni che «rimangono aperte» per il centrodestra riguardano la sua «identità» e «la sua capacità di sostenere una proposta credibile di governo nel paese». Qui, scrive Orsina, le sfide per Giorgia Meloni e Matteo Salvini sono diverse. Per la prima si tratta di «dimostrare di saper gestire la tradizione nazionale, con le sue luci e le sue ombre ingombranti, e di saperci costruire intorno un progetto di governo adatto ai tempi non facili che ci attendono». Per la Lega, invece, si tratta di capire se presentarsi come forza nazionale nel tentativo di occupare il vuoto politico lasciato da Forza Italia abbia ancora senso.

È su quest’ultimo aspetto che chiediamo a Orsina un approfondimento.

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Professore, lei scrive che la Lega «deve capire se c’è uno spazio per continuare a lavorare su un progetto nazionale, magari in alleanza con Forza Italia, o se non le convenga invece tornare all’originaria vocazione padana». Le pongo una domanda secca: Matteo Salvini è la persona adatta a guidare questa alleanza Lega-Fi?

Se vuole una risposta breve e secca le devo dire per forza di “no”. Quella sarebbe una fusione che, inevitabilmente, dovrebbe essere “liberale radicale”. E non mi sembra essere questa la caratteristica principale della leadership di Salvini che, invece, se mi passa il termine, tende più al “populismo”. Ogni tanto, anche lui – lo abbiamo visto ad esempio sulla raccolta delle firme per i referendum sulla giustizia – sposa le cause liberali, ma poi le abbandona. Si capisce, insomma, che non sono nelle sue corde. C’è poi un altro fatto che non possiamo tacere e cioè che, negli ultimi anni, il leader leghista è incorso in una serie di errori di valutazione che ne hanno minato la leadership e la credibilità.

D’altro canto, se non Salvini, chi?

Esatto, questo è il punto. Esistono sia in Forza Italia sia nella Lega persone che potrebbero essere adatte a portare a termine la fusione che abbiamo ipotizzato, ma nessuna di loro ha la forza “mediatica” di Salvini.

Parliamo dell’altro partito che ha “perso” queste elezioni: il Movimento 5 stelle. Come si sa, i grillini non hanno mai brillato nel voto amministrativo, ma, data loro questa attenuante, il loro tracollo è piuttosto clamoroso. Secondo Youtrend il M5s, a livello nazionale, si è ridotto alla percentuale del 2,3 per cento nei comuni sopra i 15 mila abitanti. In molti posti non si sono presentati; al Nord hanno percentuali da prefisso telefonico; anche al Sud, dove di solito raccoglievano consensi, sono crollati. È azzardato dire che sono spariti?

No, non si può dire che sono spariti. Però sono diventati un partito residuale. Sta accadendo loro quello che capitò a Forza Italia dopo il 2011-2012. Sono diventati un partito “di un altro momento storico”, che ha fatto fortuna in un’altra stagione della politica italiana e che ora, in questa nuova fase, non sono stati in grado di riadattarsi. Loro erano il partito del “vaffa” e oggi non hanno più ragion d’essere. Però – azzardo una percentuale – c’è un 10 per cento di elettori che resterà con loro perché non sa dove altro andare, non sa chi altro votare.

Il populismo è finito?

No, non penso questo. Ritengo che sia passata “l’ondata” che fece la fortuna di Lega e 5 Stelle, ma che essa si riproporrà sotto nuove forme. Certe tematiche populiste – per usare un termine generale e un po’ generico – si sono semplicemente “congelate”, ma torneranno di nuovo. Al momento un certo voto di protesta… non si esprime con un voto, diventa astensione. In qualche caso la rabbia e la frustrazione si indirizza ancora verso il M5s, per una gran parte diventa rifiuto di partecipare alle consultazioni.

Cosa pensa dell’esito dei referendum sulla giustizia? Come è stata giocata la partita da Lega e Radicali?

Male, molto male. In particolare da Salvini che, dopo aver sposati i referendum, li ha abbandonati al loro destino. D’altronde, se pochi giorni prima del voto concentri l’attenzione degli elettori non sul voto referendario, ma sul tuo viaggio a Mosca, poi l’esito è quasi scontato. Lo spazio mediatico al referendum l’ha tolto lui stesso. Una strategia così “situazionista” è perdente.

L’esito del referendum è l’affossamento definitivo delle istanze garantiste?

È certamente un indebolimento. La verità è che questo referendum sarebbe stato meglio non farlo. Poi, certo, una volta che c’era andava sostenuto, ma non così, non in questo modo altalenante e poco incisivo.

Tags: elezioni amministrativeforza italiaGiorgia MeloniGiovanni OrsinaMatteo SalviniMovimento 5 Stellereferendum giustizia
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