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Donna accusa: «Abbandonata in bagno ad abortire». Ma l’ospedale: «Era seguita da medici non obiettori»

I radicali sollevano un caso di (presunta) mancata applicazione della legge 194. La struttura coinvolta lo smonta, ma ormai è polemica. Proprio adesso che il Consiglio d'Europa ci vuole imporre l'aborto come diritto…

Chiara Rizzo
12/03/2014 - 3:30
Interni
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aborto-bagno-pertini-roma-194L’ospedale Sandro Pertini di Roma accende una luce diversa sui fatti di cui secondo i giornali sarebbe stata protagonista Valentina Magnanti, la 28enne romana che lunedì, nel corso di una conferenza stampa dell’Associazione Luca Coscioni, ha denunciato una drammatica vicenda risalente al 27 ottobre 2010 e avvenuta appunto al Pertini: «Sono stata costretta ad abortire in un bagno, forse perché tutti i medici di turno erano obiettori», è la versione della donna. L’ospedale Pertini, però, con una nota pubblicata nella serata di ieri (martedì 11 marzo), ha fornito un’altra ricostruzione: «Dalla lettura dei documenti sanitari agli atti risulta che la signora è stata assistita da personale che ha l’obbligo di assistenza anche nel caso di obiezione di coscienza, trattandosi di un’interruzione di gravidanza terapeutica. In particolare, la signora è stata assistita, durante la degenza, da due medici non obiettori di coscienza che fanno parte dell’équipe istituzionalmente preposta alla Ivg».

«È STATA AVVIATA ALLA SALA PARTO». Rimane il dramma di una donna che si è trovata senza assistenza nel momento di massimo bisogno. La nota del Pertini prosegue: «Pur comprendendo il disagio dovuto al lungo periodo di travaglio, si fa presente che la rapidità della fase espulsiva del feto, avvenuta nella stanza di degenza alle ore 3 della notte, è un evento assai comune per il periodo gestazionale. La signora è stata prontamente assistita e avviata alla sala parto per il “secondamento” e per le successive procedure previste nel post parto».

LA VICENDA. Magnanti ha spiegato in un’intervista a Repubblica di avere una malattia genetica «rara e terribile», che tuttavia le lascerebbe la possibilità di avere dei figli, «quindi per me non è previsto l’accesso alla fecondazione assistita e alla diagnosi pre-impianto». Dopo un aborto spontaneo per una gravidanza extrauterina, la donna nel 2010 è rimasta di nuovo incinta ma al quinto mese ha scoperto che «la bambina che aspettavo era malata, condannata». La coppia ha deciso di ricorrere all’aborto e il 27 ottobre 2010 Valentina è quindi entrata al reparto ginecologia dell’ospedale Pertini di Roma, dove, secondo quanto ha raccontato, sarebbe avvenuto il dramma: «Incominciano a farmi la terapia per indurre il parto, a base di candelette, mi dicono che non sentirò nulla. Invece è stato un inferno. Dopo 15 ore di dolori lancinanti, tra conati di vomito e momenti in cui svengo, con mio marito sempre accanto che non sa che fare, che chiama aiuto, che va da medici e infermieri dicendogli di assistermi, senza risultato, partorisco dentro il bagno dell’ospedale».

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LE ACCUSE. La donna ha ribadito a Repubblica che medici e infermieri «venivano per le flebo, ma nessuno li ha visti arrivare quando chiamavo aiuto. Nessuno ci ha assistito nel momento peggiore». Poi ha ipotizzato: «Forse perché da quando sono entrata a quando ho partorito era cambiato il turno, c’erano solo medici obiettori». La donna ha anche riferito che «mentre ero lì in ospedale, stravolta dal dolore, entravano degli attivisti anti aborto con i vangeli in mano e voci minacciose».

PURE LA LEGGE 40. Ma perché, dal momento che i fatti risalgono a quattro anni fa, non risultavano denunce all’ospedale Pertini da parte della coppia sino al racconto rilasciato alla stampa? Nella conferenza stampa di lunedì (ripresa anche da Radio Radicale, qui il video), Magnanti ha spiegato che «non è stato denunciato l’ospedale perché non avevamo la forza di intraprendere un percorso difficile e doloroso». La donna e il marito, dopo l’aborto, si sono rivolti invece all’avvocato Filomena Gallo, segretario dell’Associazione Luca Coscioni. E l’intento iniziale a quanto pare non era di sollevare l’ennesima disputa sulla legge 194 e contro il diritto all’obiezione di coscienza dei medici, bensì di smontare un altro pezzo della legge 40 sulla fecondazione assistita: «Abbiamo fatto ricorso perché anche chi ha malattie genetiche possa accedere alla diagnosi pre-impianto perché non ci si debba ritrovare ad abortire al quinto mese. Il tribunale di Roma per la seconda volta in due mesi ha sollevato ora dubbi di incostituzionalità su questo punto della legge».

aborto-bagno-pertini-roma-194-repubblica«VERGOGNOSA STRUMENTALIZZAZIONE». «Se c’è stata realmente omissione di soccorso, questa va imputata nei confronti dei medici di turno, non tirando in ballo l’obiezione di coscienza, che tra l’altro, vorrei ricordare, oltre ad essere un diritto fondamentale, previsto dalla stessa legge 194, permette comunque al medico obiettore di intervenire qualora vi sia pericolo di vita». Così Olimpia Tarzia, consigliere regionale del Lazio da tempo impegnata nella difesa della vita e presidente del Movimento Per (Politica etica responsabilità), ha commentato il caso e i suoi strascichi polemici. Tutta la vicenda, secondo Tarzia, genera più di un dubbio: «È quanto mai singolare che una vicenda avvenuta al Pertini nel 2010 venga portata all’attenzione dei media dall’Associazione Luca Coscioni solo oggi, all’indomani della sanzione per l’Italia (motivata dall’assunto che ci sarebbero troppi obiettori di coscienza), annunciata dal Comitato Europeo dei Diritti Sociali del Consiglio d’Europa» ha spiegato.

«OPERAZIONE MEDIATICA». «L’operazione – ha aggiunto la consigliera laziale – appare tristemente mediatica (probabilmente l’inizio di un’orchestrata campagna ideologica) e, come sempre, sulla pelle dei più deboli attraverso la strumentalizzazione di un dramma, sul quale, certamente, si dovrà fare luce». E ancora: «A conferma della percezione di un’operazione ideologica vanno le parole che la donna avrebbe riferito riguardo all’arrivo di “due strani personaggi con il Vangelo”: se non fosse per la serietà della strumentalizzazione del caso, risulterebbe persino ridicolo immaginarsi una tale situazione nel bagno di un ospedale. Chi sarebbero? Chi li avrebbe fatti entrare? Di quale ricerca spasmodica attraverso i bagni dell’ospedale, agitando Vangelo e lanciando anatemi, si sarebbero fatti promotori?». Secondo Tarzia «la realtà è che l’iniziativa dell’Associazione Coscioni evidenzia una schizofrenia sociale di cui è affetto il nostro Paese: ci si riempie la bocca di sostegno alle persone disabili, ma a un bambino malato si vuole negare la pari opportunità di nascere che ha un bambino sano, si moltiplicano iniziative sulla disabilità, sbandierandole in ogni occasione, ma, attraverso l’aborto eugenetico, cioè la selezione tra bambini sani e bambini malati, si viola pesantemente la Dichiarazione Universale dei diritti umani, classificando gli esseri umani di serie A, degni di vivere e di serie B, indegni di vivere. È una “cultura dello scarto”».

Tags: Abortoassociazione luca coscionidiagnosi pre-impiantointerruzione gravidanzaivglegge 194legge 40malattie genetichemedici obiettoriobiezione di coscienzaolimpia tarziarepubblicaRoma
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