
La preghiera del mattino
Domanda numero uno: l’obiettivo dell’Occidente è affondare la Russia?

Su Huffington Post Italia Alberto Flores D’Arcais scrive: «Non tutti forse lo sanno ma anche la guerra ha delle regole. Le notizie, le immagini, i video che arrivano in questi giorni dall’Ucraina ci dicono che i soldati russi queste regole – siano di guerra o anche semplicemente umanitarie – le stanno sistematicamente violando. Da Kyiv a Mauripol, da Chernigiv a Kharkiv, bombardamenti indiscriminati sui civili, deportazioni, stupri, razzie, saccheggi, rapimenti di sindaci e funzionari pubblici sono da settimane diventati parte della vita quotidiana».
La guerra è orrenda come ci ricorda Francesco I. Leggetevi l’elogio della tecnologia americana fatto da Harry Truman il giorno dell’esplosione di una bomba atomica a Hiroshima, per capire quali abissi possa raggiungere il conflitto armato tra gli uomini. Sono convinto, poi, che un esercito russo mal messo insieme tra ragazzini e veterani di guerre feroci, non pensato per un’occupazione di lungo periodo, abbia commesso diverse atrocità, anche se, poi, va provato che siano state scelte programmate. Condivido comunque senza riserve lo sforzo per far rispettare “le regole della guerra” richiamate da Flores D’Arcais e, in questo senso, ritengo che i crimini perpetrati, coi tempi necessari e con indagini puntuali, vadano puniti. Però tutte queste imprescindibili scelte di principio vanno coniugate con i problemi “politici” posti dall’aggressione russa all’Ucraina, senza la soluzione dei quali, l’orrore non potrà che continuare.
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Sul sito di Tgcom Paolo Liguori dice: «Il partito della non trattativa, il partito della guerra, se il conflitto continua, deve essere pronto a dire che anche noi siamo in guerra. Bisognerebbe che il governo chiedesse con chiarezza agli italiani cosa ne pensano di un’eventuale entrata in guerra».
Liguori forse esagererà un po’, ma se l’obiettivo non è cercare una soluzione politica alla crisi ucraina, ma puntare a disgregare una Russia che viene considerata una sorta di riedizione del Terzo Reich hitleriano, allora l’idea che si debba dichiarare esplicitamente una sorta di stato di guerra non è del tutto bizzarra.
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Su Fanpage Aldo Ferrari, responsabile della sezione Russia all’Ispi, l’Istituto per gli studi di politica internazionale, dice: «“La Russia verrà ancor più colpevolizzata e non le verrà riconosciuta alcuna ragione e alcun diritto. Il che ostacola non solo i negoziati presenti, ma anche i rapporti futuri. Quando la guerra finirà la Russia dovrà tornare a far parte dello scenario internazionale. Pensare di isolare per sempre la Russia o mettere la distruzione dell’economia russa come obiettivo della politica occidentale è problematico”. Ferrari quindi conclude: “La storia insegna che i paesi che al termine di una guerra vengono condannati e umiliati normalmente provocano grandi problemi negli anni e problemi successivi. Credo che anche dalla parte occidentale ci vorrebbe maggiore equilibrio”».
Con altre parole da quelle di Liguori, Ferrari spiega quali sono alcune delle conseguenze di una guerra alla Russia sia pur combattuta dall’Occidente con mezzi diversi da quelli direttamente militari.
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Su Dagospia si riporta un articolo di Domenico Agasso per la Stampa nel quale si scrive: «In una celebrazione con le forze armate Kirill definisce la Russia “un paese che ama la pace”. E assicura che “non abbiamo alcun desiderio di guerra o di fare qualcosa che potrebbe danneggiare gli altri. Ma amiamo la nostra patria e saremo pronti a difenderla nel modo in cui solo i russi possono difendere il loro paese”».
Il sito di Roberto D’Agostino commenta l’articolo di Agasso con questo titolo: “Se il Papa vuole davvero mediare con questo sciroccato, auguri”. Sono convinto che collegare religione e guerra sia una scelta che nel mondo moderno debba essere evitata. Però avere coscienza di quali siano i sentimenti del popolo russo (il senso di essere umiliati e “assediati”, di essere sottoposti a un tentativo di disgregazione) e di come, sia pur sbagliando, le autorità religiose interpretino questi sentimenti, credo sia necessario per chi vuol capire che cosa sta succedendo nel nostro mondo, e anche per trattare con quella che resta, nonostante tutto, la seconda potenza nucleare del pianeta.
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Su Affaritaliani Luciano Violante dice: «La Russia è troppo grande, anche se perderà non sarà sconfitta. Di certo l’Ucraina cercherà di mettere in chiaro tutto quello che è accaduto, non so se ci sarà un processo o meno, ma la verità prima o poi dovremmo saperla. Ma non possiamo giudicare noi che parliamo stando seduti in poltrona nel nostro studio, mentre queste persone non sanno se tra un quarto d’ora saranno vive o morte. I nostri parametri di giudizio nascono in un contesto completamente estraneo a quello che sta accadendo lì e non sono adeguati alla drammaticità di quegli eventi».
Dopo un passato di giacobinismo ultramilitante, Violante è diventato un testimone di quanto sia utile una riflessione seria come base delle scelte politiche da intraprendere.
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Sulla Zuppa di Porro si scrive: «Ecco perché non sorprende il rifiuto, rivelato dal The Wall Street Journal, che Zelensky avrebbe presentato a Scholz cinque giorni prima dell’invasione russa in Ucraina. L’operazione militare speciale in quei giorni era solo nei resoconti della Cia e dell’intelligence britannica, ma i leader dei paesi forti dell’Ue, ovvero Francia e Germania, facevano già avanti e indietro con la Russia per convincere Putin a evitare lo scontro aperto. Stando al quotidiano britannico, dopo un primo viaggio negli Usa e un secondo in Russia, Scholz avrebbe proposto a Zelensky di dichiarare pubblicamente la rinuncia ucraina all’ingresso nella Nato e di accettare la richiesta di neutralità avanzata da Mosca».
È evidente come in Ucraina ci sia un aggressore e un aggredito, e che la solidarietà anche materiale sia dovuta al secondo. Meno evidente è se c’è chi ha ostacolato soluzioni politiche che avrebbero potuto fermare l’invasione russa perché era necessario arrivare a un redde rationem con Mosca.
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Su Atlantico quotidiano Michele Marsonet scrive: «Il mondo, insomma, sta cambiando, e pure parecchio. Sembra esserci una sorta di alleanza – strategica e culturale – contro l’Occidente, e una ribellione al soft power americano che per decenni ha dominato sul piano globale, col puntuale appoggio di molti paesi africani e dell’America latina. Le precedenti alleanze non contano più e molte nazioni tendono a riposizionarsi. Conta ovviamente la grande debolezza dell’attuale amministrazione Usa, da tutti percepita nettamente, e la permanente irrilevanza dell’Unione Europea dove, tra l’altro, i sovranisti hanno vinto le elezioni in Ungheria con Viktor Orbán e in Serbia con Alexandar Vucic, entrambi su posizioni filorusse. Stati Uniti e Ue possono anche fare blocco, ma si trovano di fronte nuovi avversari che un tempo erano, se non alleati, almeno amici».
Anche un sito supermilitante nella lotta per la libertà si pone qualche domanda sulla strategia dell’amministrazione Biden.
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Sulla Strisciarossa Paolo Soldini scrive: «Quale che sia il peso unificante di questo aspetto ideologico nel giudizio degli alleati occidentali sull’operato della dirigenza russa, pare comunque abbastanza evidente che siamo di fronte a due strategie diverse: puntare alla sconfitta militare di Putin, o quanto meno a un impantanamento che gli costi un insostenibile prezzo politico in patria (come fu la guerra in Afghanistan per l’Unione Sovietica o il Vietnam per gli Stati Uniti), oppure costringerlo a un tavolo delle trattative sul quale si possano vedere le carte con cui vuole giocare. Una, innanzitutto: la neutralità e almeno un certo grado di disarmo dell’Ucraina. Quanto al futuro assetto territoriale, tutto dipenderà da quel che succederà sul campo. Due strategie diverse, dunque, Ma la linea di faglia non passa in mezzo all’Atlantico, bensì nel cuore dell’Europa. L’incontro che si è tenuto all’inizio della settimana a Varsavia tra i ministri degli Esteri polacco, britannico e ucraino, con i discorsi e i toni che lo hanno caratterizzato, mostra chiaramente che c’è un esplicito proposito di forzare l’atteggiamento del campo europeo in direzione della strategia dell’amministrazione Biden. Per quanto riguarda l’Ucraina e la Polonia non è una novità e può in un certo senso essere anche comprensibile. Ma che del gruppo di pressione faccia parte la Gran Bretagna, che non solo ha un grande peso politico nella Nato ma anche un arsenale nucleare proprio, dovrebbe indurre a qualche attenta considerazione delle possibili conseguenze».
Su un sito di ex comunisti legati ancora al loro passato, molto duri nella critica alla Russia putiniana, si considera quali contraddizioni stiano emergendo nello schieramento occidentale sulle politiche da intraprendere verso Mosca.
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Sul Sussidiario Augusto Lodolini scrive: «Forse gli ungheresi non identificano l’attuale Russia con l’Unione Sovietica e, magari, non la considerano più lontana da loro di quanto non considerino l’attuale Unione Europea. E questo sarebbe realmente un grave problema».
La riflessione sul voto ungherese meriterebbe qualche argomentazione un po’ meno propagandistica di quelle che si leggono sulla stampa mainstream.
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Su Formiche Giovanni Orsina dice: «Per partiti come Lega e Fratelli d’Italia, che per anni hanno giocato sulla contrapposizione tra popolo ed Europa, la conferma alla presidenza del leader ungherese non poteva che essere salutata con favore. Certo, date le circostanze si poteva manifestare la propria approvazione in maniera più sobria. Anche molto più sobria».
Sobrietà: ecco un atteggiamento sulle cose di cui sento molto la mancanza.
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