Tutto l’oro nascosto sotto la terra, tutto l’oro serbato sopraterra, tutto l’avere del mondo non è da comparare con la virtù”. Non è il quinto evangelo. È il motto di Transparency international, l’“Associazione contro la corruzione” sorta nel 1993 a Berlino per opera di Peter Eigen, ex responsabile della Banca Mondiale per il Kenya e da lì diffusasi in oltre 70 paesi.
Il problema (culturale) Eigen racconta così gli inizi di Transparency International: “La maggior parte della gente è contro la corruzione; perché, quindi, non canalizzare questa opposizione nella costruzione di un’efficace coalizione che promuove la trasparenza? I tempi erano maturi. Si convenne che la Banca Mondiale avrebbe dovuto sviluppare un’iniziativa anti-corruzione per se stessa e per i suoi partner. Io accettai di guidare l’iniziativa”. Ma quella contro la corruzione è una battaglia dura e, come spiega il pm milanese Gherardo Colombo, uno dei primi italiani ad aderire all’associazione iscrivendosi direttamente alla casa madre di Berlino quando ancora Transparency in Italia non c’era, “è un problema culturale”: “In Italia – spiegava il pm di Mani pulite a un corso di aggiornamento per docenti organizzato da TI – il fenomeno non è così grave, ma ci sono paesi in cui la sperequazione è tale che un dipendente pubblico non si potrebbe mantenere se non ricorrendo a entrate illecite. In Brasile ciò non porta solo alla corruzione ma anche al fatto che poliziotti sottopagati, per far pressione sul governo durante trattative contrattuali, abbiano ucciso di notte bambini che disturbavano gli affari dei commercianti. La radice del problema della corruzione è quindi culturale”. Già, come a dire che tu prendi un poliziotto brasiliano, lo mandi a un corso di Colombo e quello invece di sparare ai bambini si converte all’Esercito della Salvezza.
In ogni caso, un problema culturale si affronta culturalmente. Non a caso le prime righe della presentazione del capitolo italiano di TI ricordano che “accettare il sistema corruzione significa barattare la cultura del giusto, del rispetto, della solidarietà partecipe, dei diritti e dei doveri con la cultura del privilegio e dell’arbitrio”. Ben detto.
La cura di Mani pulite Per vincere (culturalmente) questa battaglia contro la corruzione – peste che l’umanità si trascina da una mezza dozzina di millenni e che un po’ confidando nella coscienza degli individui, un po’ nei dieci comandamenti, un po’ nelle leggi, l’umanità non è mai riuscita a debellare definitivamente – ecco la cura definitiva che vorrebbero implementare in tutto il pianeta i gesucristi di TI, facendo seguito al loro manifesto programmatico ufficiale: anzitutto, “trasparenza dell’informazione”; in secondo luogo “analisi scientifica del fenomeno corruzione e conseguente pubblicizzazione dei risultati” con l’elaborazione di “modelli matematici della dinamica della corruzione”. In effetti, il sociologo Johan Galtung, docente all’università di Harvard, si sta appoggiando proprio alla sede milanese di Transparency international per condurre uno studio sul costo sociale della corruzione. Chissà perché poi Milano, e non Roma, Palermo, Napoli, chissà. Perché? “Ha scelto Milano – ci spiega il presidente di TI Italia Maria Teresa Brassiolo – perché questo è il singolare caso di una città che è passata recentemente da un’epoca di corruzione a un’epoca di lotta alla corruzione e dispone, perciò, dei dati relativi a entrambi le fasi”. Già, i “dati” del pool di Mani Pulite, cioé i “dati” forniti agli studiosi da quegli stessi iscritti al TI che hanno di fatto impedito che su quegli stessi “dati”, in Italia si aprisse una commissione pubblica di inchiesta parlamentare. E comunque, il terzo punto del programma di sradicamento universale della corruzione, prevede il “coinvolgimento di operatori economici per la sostituzione della logica distorta che la corruzione è male necessario con quella che l’apporto di ciascuno è necessario e utile alla lotta”, la pubblicizzazione di casi concreti che dimostrino che “la corruzione non paga”, l’organizzazione di conferenze e un “progetto scuola” per la formazione di una sensibilità “anti-corruzione”.
E per insegnare ci vorrà l’“abilitazione morale”
Alla formazione e all’educazione TI è particolare attenta. Negli ultimi anni, in collaborazione con i provveditorati e il patronato delle regioni, l’associazione ha organizzato numerosi corsi di aggiornamento per insegnanti a Milano, Como, Pavia, Genova, Varese e per quest’anno ne sono previsti anche a Vercelli, Novara, Lecco, Lodi, Mantova, Cremona, Savona oltre che in qualche carcere, come, per esempio, quello di Vercelli. “Abbiamo ottenuto anche un certo successo – spiega la direttrice del progetto educazione Lina Esposito Marafon, ex insegnante di fisica in pensione – e ora puntiamo a coinvolgere anche gli studenti. Il punto non è organizzare dei corsi specifici di educazione civica, bensì permeare la scuola di una nuova cultura di lotta alla corruzione, trasversalmente, attraverso tutte le materie di studio. Vede, questo è un manuale realizzato da un’insegnante che partecipa ai nostri corsi” e con orgoglio ci mostra una grammatica di inglese in cui, tra le letture di esercizio alla lingua, ne compare anche una dedicata al fenomeno della corruzione: “corruption” recita il titolo e sotto campeggia l’immagine di una mano rapacemente stretta intorno a una mazzetta di danaro. La professoressa Marafon ha perfino inviato una lunga lettera al ministro della Pubblica Istruzione Luigi Berlinguer a proposito degli esami di abilitazione. Come essere sicuri che i 25mila precari che da anni attendono di passare di ruolo siano autentici “Educatori con la E maiuscola”?, vi si legge. Come garantire che gli insegnanti siano reali strumenti di “educazione alla democrazia e alla legalità” e realizzino “isole di integrità”? “Caro ministro, lo lasci dire ad una vecchia insegnante: forse il 60% degli insegnanti non sa o fa mostra di non sapere cosa significhi la pratica della democrazia e della legalità”. Per questo (60%?) la presidente Brassiolo propone al ministro che “non sia possibile accedere all’insegnamento senza aver preventivamente ottenuto una abilitazione non solo scientifica ma anche morale”. Il successo dei corsi pare siano dovuti anche alla partecipazione di oratori di grido: “Noi – continua la Brassiolo – chiediamo sempre la presenza di un magistrato, un docente di Etica dell’economia e un rappresentante della società civile. E tanto il sostituto procuratore generale di Milano Edmondo Bruti Liberati, quanto le istituzioni sono sempre molto disponibili”. Tra i più assidui frequentatori dei corsi di aggiornamento di TI, oltre a Gherardo Colombo, c’è un altro illustre esponente di Mani pulite Piercamillo Davigo, anch’egli iscritto a Transparency international direttamente alla casa madre di Berlino. Una volta, durante una lezione intitolata “Dalla cultura del privilegio alla cultura dei diritti e doveri” ebbe a riepilogare così il grande e fascinoso ideale maturato in tanti anni di esperienza di magistrato offerti ai giovani: “È importante radicare l’idea che sia necessario comportarsi bene ed avere una buona reputazione” .
Molti amici, il nemico di Giulio, molto onore Sarebbe però un errore credere che Transparency international sia una banda di idealisti. L’associazione annovera infatti nel proprio consiglio consultivo manager di grandi multinazionali statunitensi, inglesi e tedesche, una dozzina tra ex capi di stato, ex ministri e dirigenti di stati africani o sudamericani (il presidente del consiglio consultivo è l’attuale capo di stato nigeriano Olusegun Obasanjo protagonista di una campagna elettorale multimiliardaria dopo aver dichiarato al fisco la sola proprietà di un allevamento di polli), l’ex ministro delle Finanze tedesco Gerhard Kienbaum, ex ambasciatori all’Onu, membri del Congresso americano e del parlamento francese. TI è indubbiamente un’organizzazione di potere. Anche in Italia. Tant’è che pur essendo la sua facciata rappresentata da volontari, gli associati si coordinano molto bene, oltre che con il mondo della magistratura, con giornalisti (con TI collaborano Marco Travaglio dell’Espresso, Vittorio Malagutti del Corriere della Sera, Gianni Barbacetto del Diario e direttore di Omicron), politici (tra gli altri il leader di Italia democratica Nando Dalla Chiesa che ha appena dichiarato “inaccettabile “ il verdetto di assoluzione del senatore Giulio Andreotti, l’eurodeputato diessino Rinaldo Bontempi e il deputato dei Democratici Elio Veltri), professori universitari (tra gli altri Ernesto Savona dell’università di Trento, responsabile di Transcrime e Ettore Albertoni docente alla Statale di Milano) ed esponenti dell’impresa (nel consiglio consultivo italiano figura, tra gli altri, il presidente della Camere di commercio internazionali Piero Bassetti).