Intervenendo in aula, Silvio Berlusconi ha detto che il Pdl voterà la fiducia. Il Cavaliere ha dichiarato che il suo partito aveva votato il governo Letta per la pacificazione, «e la speranza la conserviamo ancora». Dopo aver ascoltato il discorso del presidente del Consiglio Enrico Letta, il leader del centrodestra ha detto che l’Italia ha bisogno di un governo per le riforme. Per questo, seppur «con travaglio, votiamo la fiducia». Nel suo discorso al Senato, Letta aveva esordito così: «Cari senatori, coraggio e fiducia è quello che torno a chiedervi. Una fiducia che non è contro qualcuno ma per l’Italia e gli italiani». Il voto ha dato questo risultato: sì 235, no 70, astenuti 0 (presenti 307, votanti 305, maggioranza 153). Sei senatori del Pdl non hanno partecipato al voto: Sandro Bondi, Manuela Repetti, Remigio Ceroni, Augusto Minzolini, Alessandra Mussolini, Nitto Palma.
Intanto si rincorrono voci di creazioni di nuovi gruppi a Camera e Senato. Fabrizio Cicchitto, ieri sera al centro di uno scontro con il direttore del Giornale Alessandro Sallusti alla trasmissione Ballarò, ha depositato alla Camera la richiesta di costituzione di un nuovo gruppo parlamentare. Ipotesi che, a quanto pare, rimane per ora congelata. Il voto dei deputati era scontato: l’esecutivo ha incassato la fiducia con 435 sì, 162 no.
CONTINUI CAMBIAMENTI. Nel Pdl si sono vissute ore molto concitate. Fino a stanotte, il partito pareva spaccato in due: da un lato i filogovernativi, dall’altro chi voleva mandare a casa il governo. Ma questa mattina, arrivando in Senato, il Cavaliere si era mostrato possibilista su un ripensamento: «Vediamo che succede. Sentiamo e poi decidiamo». Successivamente si è riunito con i suoi senatori, a cui, secondo indiscrezioni, avrebbe detto: «Prendiamo una decisione comune per non tradire il nostro popolo». Secondo certi rumors, alcuni senatori del Pdl avevano già raccolto 25 firme (più 10 di Scelta Civica) per una risoluzione di sostegno all’esecutivo: tra questi, Formigoni, Quagliariello e Sacconi. Poi, l’intervento a sorpresa del Cavaliere che ha concesso la fiducia all’esecutivo.
In un’intervista a Panorama resa nota oggi, Berlusconi ha usato le parole di Guareschi per esprimere la sua tenace convinzione a non mollare: «Non muoio neanche se mi ammazzano».
Ieri Silvio Berlusconi, con una lettera a Tempi, anticipata sul nostro sito, ha ribadito di non fidarsi più di Letta e del Capo dello Stato, Giorgio Napolitano (qui, invece, l’editoriale di Luigi Amicone).
IL DISCORSO DI LETTA. Nel suo discorso, Letta ha ricordato il discorso di Napolitano e detto che il suo esecutivo, pur tra le differenze di vedute tra due partiti Pd e Pdl, è riuscito a fare qualcosa. Ma – non si è nascosto Letta – il problema che è precipitato sul suo agire è stata la vicenda giudiziaria di Berlusconi. Ma le due questioni, ha detto Letta, vanno tenute separate: «Le sentenze si rispettano». «Si deve tracciare la separazione tra le questione giudiziarie di Berlusconi e le attività dell’esecutivo, i due piani non possono essere sovrapposti, in uno Stato democratico le sentenze si rispettano e si applicano, senza dimenticare il diritto intangibile ad una difesa efficace senza trattamenti ad personam o contro personam». Per questo occorre un «nuovo patto» per garantire «la stabilità». «Il governo – ha specificato – può fare bene se c’è un nuovo patto che metta da parte polemiche e liti».
«Gli italiani ci urlano che non ne possono più di “sangue e arena”, di politici che si scannano e poi non cambia niente», ha detto il premier. «Solo chi non ha le spalle larghe finisce ostaggio della paura del dialogo». «Il governo che guido – ha proseguito – è nato in Parlamento e se deve morire lo deve fare qui, in Parlamento, alla luce del sole». Una crisi («un rischio mortale») significherebbe «posticipare le riforme a favore di imprese e disoccupati, mandare nel panico i mercati, rimandare le riforme istituzionali». «Le elezioni rischierebbero di dare al paese una nuova instabilità e una non chiara maggioranza», che porterebbe a un altro governo di «larghe intese». Invece, «ce la possiamo fare, esistono dei segnali».
Il premier ha garantito che l’Italia rispetterà i patti con l’Europa sull’indebitamento («rispetteremo gli impegni con l’Europa per il 2014, il peso del debito deve ridursi e si ridurrà entro il 3 per cento») e sul pagamento dei debiti con le imprese («che un governo debole non potrebbe garantire»).
NON SIAMO GOVERNO DEL RINVIO. «Non siamo stati il governo del rinvio», ha detto Letta. «Non vogliamo nuove tasse. Gli italiani hanno pagato meno tasse per 3 miliardi di euro in questi cinque mesi. Non esistono tagli di spesa facili, va fatta una revisione con accortezza. Crediamo si possa fare una nuova spending review, con fatti, non annunci».
«Grazie al nostro governo, gli italiani hanno pagato meno tasse». Letta ha parlato dei provvedimenti del suo esecutivo su imprese, investimenti e lavoro, ribadendo che ogni azione messa in campo necessita di stabilità e di tempo. «Oggi non siamo nelle condizioni di sprecare risorse. Per noi italiani cultura ed educazione dovranno essere il cuore della nostra riscossa».
«Le parole crescita e lavoro saranno al centro della nostra presidenza in Europa nel 2014, così come l’attenzione – sulla scorta delle parole di papa Francesco a Lampedusa – al fenomeno dell’immigrazione». «Abbiamo il diritto di sognare gli Stati Uniti d’Europa, per noi e i nostri figli. Come si muore di austerità, si può morire di timidezza».
Letta ha concluso il suo intervento con le parole di Benedetto Croce: «Ciascuno di noi ora si ritiri nella sua profonda coscienza e procuri di non prepararsi, col suo voto poco meditato, un pungente e vergognoso rimorso».