“La più bella del mondo”? Sarà, ma se in Italia è impossibile fare riforme è colpa della Costituzione

Di Redazione
26 Luglio 2013
Con il nuovo contratto collettivo la Fiat avrebbe violato la libertà sindacale. E «per fare un favore alla Fiom, la Corte costituzionale» si lancia in un'azione «anti-riformista»

Il nuovo contratto collettivo siglato dalla Fiat con i sindacati, eccezione fatta per la Fiom-Cgil, viola la libertà dei sindacati. Oltre che gli articoli 2 e 3 della Costituzione. L’ha deciso la Corte costituzionale con la sentenza numero 231 depositata il 23 luglio scorso. Motivo per cui la Fiat ha fatto sapere che «si riserva di valutare se e in che misura il nuovo criterio di rappresentatività, nell’interpretazione che ne daranno i giudici di merito, potrà modificare l’attuale assetto delle proprie relazioni sindacali e, in prospettiva, le sue strategie industriali in Italia».

«CONSULTA DELLA CONSERVAZIONE». È l’appellativo con cui oggi il Foglio in un’editoriale descrive la Corte costituzionale relativamente alla sentenza numero 231 che dichiara l’«illegittimità costituzionale» dell’articolo 19, primo comma, lettera b) dello Statuto dei lavoratori nella sua «parte in cui non prevede che la rappresentanza sindacale aziendale possa essere costituita anche nell’ambito di associazioni sindacali che, pur non firmatarie dei contratti collettivi applicati nell’unità produttiva, abbiano comunque partecipato alla negoziazione relativa agli stessi contratti quali rappresentanti dei lavoratori dell’azienda». La questione della legittimità era stata sollevata dai tribunali di Modena, Vercelli e Torino nelle cause che vedono contrapposte Fiat e Fiom.

GIÙ LE MANI DALLA FIOM. In particolare, il contratto collettivo firmato da Fiat e dai sindacati con l’eccezione della Fiom-Cigl, per i giudici della Consulta, rappresenta un «vulnus» all’articolo 39 della Costituzione italiana «per il contrasto che, sul piano negoziale, ne deriva ai valori del pluralismo e della libertà di azione della organizzazione sindacale». E la norma “bocciata”, per la Suprema Corte, viola anche gli articoli 2, che garantisce «i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali», e 3 della Costituzione «sotto il duplice profilo della irragionevolezza intrinseca di quel criterio e della disparità di trattamento che è suscettibile di ingenerare tra sindacati». La violazione del principio di uguaglianza rilevata dalla Consulta sta, infatti, nel fatto che i sindacati, «nell’esercizio della loro funzione di autotutela dell’interesse collettivo, sarebbero privilegiati o discriminati sulla base non già del loro rapporto con i lavoratori, che rimanda al dato oggettivo (e valoriale) della loro rappresentatività e, quindi, giustifica la stessa partecipazione alla trattativa, bensì del rapporto con l’azienda, per il rilievo condizionante attribuito al dato contingente di avere prestato il proprio consenso alla conclusione di un contratto con la stessa».

FORZE RESTAURATICI ANTI RIFORMISTE. L’editoriale del Foglio descrive questa sentenza come caratterizzata da una «spiccata caratteristica restauratrice e anti riformista», «adatta a mantenere lo status quo e a prevenire possibili “smottamenti” giurisprudenziali verso riforma di sostanza nel nostro paese». E spiega perché: «L’esempio più evidente viene dalla questione della rappresentanza sindacale, che la Costituzione lega a una legge di riconoscimento delle sigle che non è mai stata emanata, il che rende estranea alla Costituzione tutta la struttura della rappresentanza, che aveva la sua base nel riconoscimento tra le parti contraenti». Ebbene, «per fare un favore ai super conservatori della Fiom, la Consulta ha dichiarato illegittimo l’articolo dello Statuto che riconosce il carattere pattizio della rappresentanza, senza esigere che si applicasse la procedura di riconoscimento, il che lascia il diritto di rappresentanza sindacale, ma senza il corrispondente dovere».

LA CARTA PIÙ BELLA DEL MONDO. L’altro esempio portato dal quotidiano diretto da Giuliano Ferrara è quello della riforma e il riordino delle province, previste dal decreto Salva-Italia varato dal governo Monti, anch’esse «cassate con l’argomento un po’ pretestuoso, che l’apposito decreto mancava dei requisiti di necessità e urgenza, nonostante fosse stato emanato per corrispondere alla richiesta di interventi urgenti di riduzione della spesa proveniente dalle autorità europee». «Se la Consulta non cambierà atteggiamento mentale – conclude l’editoriale – non si potrà riformare nulla attraverso le leggi ordinarie, che presenteranno sempre qualche fianco scoperto a una volontà conservatrice e cavillosa». Forse, però, «non tutto il male viene per nuocere, se questo blocco delle riforme convincerà tutti del fatto che la vera cosa da riformare è la Costituzione: rendendola, se non la più bella del mondo, almeno univoca e moderna».

Articoli correlati

0 commenti

Non ci sono ancora commenti.