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Così l’America latina è diventata il giardino di casa di Pechino

Via della Seta, prestiti miliardari, diplomazia dei vaccini, droga. La Cina controlla sempre più paesi a sud degli Stati Uniti. E Washington può farci poco

Paolo Manzo
21/02/2022 - 6:23
Esteri
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Cubani festeggiano il capodanno cinese del 2020 a l’Avana (foto Ansa)

Sino a qualche decennio fa l’America latina era considerata il backyard, il “giardino dietro casa” degli Stati Uniti. Oggi, quello stesso termine calza a pennello per il nuovo dominus della regione, ovvero la Cina. Da quasi un decennio a questa parte, infatti, Pechino ha superato Washington come principale importatore dell’America latina, come leader nella bilancia commerciale e, soprattutto, come finanziatore di progetti nell’ambito della Via della Seta e come erogatore di prestiti miliardari.

Chi dipende dagli interessi di Pechino

Se si escludono tre paesi nella regione importanti come Brasile, Colombia e Messico, con i primi due che potrebbero finire nella sfera d’influenza del Dragone quest’anno dopo le presidenziali che vedono favoriti i candidati della sinistra filocinese, ovvero Lula a Brasilia e Gustavo Petro a Bogotá, il resto del continente dipende ormai dai desiderata geopolitici ed economici di Pechino.

Per l’autorevole giornalista brasiliano José Roberto Guzzo, «Lula in persona ha già detto che il Brasile avrà bisogno di una dittatura e il modello che promette di imporre, se vince, è quello della Cina. Questo, secondo lui, ci manca: uno “Stato forte”, con un “partito forte”, che dia gli ordini, governi la vita del popolo e decida cosa è bene e cosa è male per tutti. La Cina, pensa Lula, è ciò che c’è ed è quello di cui ha bisogno oggi il Brasile».

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Il re della droga in America è cinese

Discorso analogo vale per Petro in Colombia. Il Messico, restio ad entrare nel progetto della Via della Seta e a prendere in prestito da Pechino nonostante un presidente di sinistra come López Obrador, sta però inondando gli Stati Uniti con milioni di pastiglie di fentanil tramite i suoi cartelli narcos che lavorano da tempo in joint venture proprio con aziende cinesi.

Il “Re della droga” che oggi sta di fatto distruggendo una generazione statunitense (nel 2021 i morti da fentanil negli Usa sono stati quasi 100mila) è infatti il cinese Chuen Fat Yip: è lui a rifornire dei precursori chimici necessari per la produzione del fentanil i cartelli messicani. E lo fa soprattutto da Wuhan, la metropoli al centro delle polemiche sulle origini del Covid-19, con una rete ad hoc dedicata al narcotraffico di cui fa parte una società che risponde a lui, la Wuhan Yuancheng Gongchuang Technology, che vende i precursori sia al cartello di Sinaloa che a quello di Jalisco.

Gli affari di Venezuela e Argentina

Altro esempio lampate della crescente rilevanza del Dragone in America Latina è rappresentato dal Venezuela. Se oggi l’economia disastrata di questo paese sudamericano regge ancora – nonostante un’inflazione ben oltre il 200 per cento annuo e il bolivar, la moneta locale, che non vale quasi più nulla – il merito è tutto dei 16 prestiti da 60 miliardi di dollari concessi negli ultimi anni dalla Cina a Caracas.

Ma c’è un altro paese sull’orlo del default in America Latina che, ormai, dipende in quasi tutto da Pechino, ovvero l’Argentina. Approfittando delle Olimpiadi invernali di Pechino, il presidente kirchnerista Alberto Fernández è volato in Cina per incontrare il suo omologo Xi Jinping e firmare un accordo da 8 miliardi di dollari per costruire la centrale nucleare di Atucha III nel paese del tango e, soprattutto, per “salvare” Buenos Aires dal default con l’FMI con un megaprestito da ben 23 miliardi di dollari di Pechino, che estende così la sua Via della Seta anche sulle sponde del Rio de la Plata.

Cuba, pilastro dell’espansione cinese

Anche l’Ecuador, pur governato dal centrodestra, è finito tra le braccia di Pechino visto che la scorsa settimana i due paesi hanno siglato un accordo di libero scambio e stanno rinegoziando il debito di Quito. Strozzato dai prestiti cinesi contratti dall’ex presidente latitante in Belgio, il sinistrorso Rafael Correa, l’Ecuador chiede disperatamente al Dragone una proroga dei termini di pagamento delle sue passività esterne di 5,2 miliardi di dollari su un totale di 47 miliardi di dollari dovuti al governo di Xi Jinping.

Altro pilastro dell’espansione cinese in America Latina è poi Cuba, con cui Pechino Il 24 dicembre scorso ha stretto un “patto comunista globale” nel silenzio dei media statunitensi, un dettagliato – e segreto nelle cifre – accordo di cooperazione bilaterale. Obiettivo promuovere naturalmente anche qui la Nuova Via della Seta a un passo dagli Usa. Settori chiave del patto le infrastrutture, la tecnologia, la cultura, l’educazione, il turismo, l’energia, le comunicazioni e la biotecnologia. Per l’Avana, alle prese con la peggiore crisi economica e sociale dai tempi della Revolución (il 2021 si è chiuso con un crollo del PIL dell’11 per cento e un record di oltre 1.000 prigionieri politici) si tratta di una vera boccata d’ossigeno, anche perché nessuno meglio di Pechino sa reprimere la dissidenza.

L’interesse della Cina sui porti

Oggi la conquista dell’Avana è oramai sotto gli occhi di tutti, con ben 10.665 mezzi pubblici della casa automobilistica cinese che circolano per le strade cubane. Ma l’interesse di Pechino è soprattutto sui porti e dopo l’accordo del 24 dicembre scorso, la Cina potrà commercializzare nei Caraibi tutti i suoi prodotti proprio partendo dal porto di Mariel, a nord-ovest dell’Avana e ad appena 130 chilometri dal suo principale nemico economico, gli Stati Uniti. O in alternativa dal porto di Santiago de Cuba che, rammodernato proprio dal Dragone, presto potrebbe essere ceduto per 99 anni a Pechino.

Inoltre con il “patto comunista globale”, l’Avana «manda un avvertimento a Washington, facendo una grossa pressione sul problema delle sanzioni economiche e dell’embargo statunitensi», analizza il quotidiano spagnolo ABC.

La diplomazia dei vaccini

Una presenza sempre più pesante, accresciuta negli ultimi due anni anche grazie alla “diplomazia dei vaccini” cinesi, che hanno inondato la regione, a cominciare dal Nicaragua che, sul finire dello scorso anno, non a caso ha disconosciuto Taiwan, sequestrando la sua sede diplomatica, che era già stata donata al Vaticano, per cederla gratuitamente a Pechino.

Infine, in un mondo sempre più globalizzato dal punto di vista finanziario, la Cina ha un peso sempre maggiore come erogatore di crediti ai paesi latinoamericani mentre l’importanza del dollaro in America Latina si sta progressivamente riducendo. Con la presenza della “opzione cinese” – sempre vincolata all’ingresso nella Via della Seta del paese recettore dei prestiti – i paesi dell’America Latina hanno infatti oggi una percentuale di debito denominato in dollari USA, a livello aggregato, di appena il 17 per cento del debito pubblico totale, quasi nulla rispetto al 70 per cento di tre decenni fa. Insomma, l’ex “giardino dietro casa” di Washington ha sempre più gli occhi a mandorla.

Tags: brasileCinasud americavenezuela
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