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Venezuela, nove milioni in fuga da Maduro, «i bambini muoiono di fame»

L'allarme delle Nazioni Unite: entro la fine del 2022 ci saranno 8,9 milioni di rifugiati. È il più grande esodo delle Americhe. Nel "paradiso socialista" «con uno stipendio mensile compri tre chili di cipolle»

Paolo Manzo
17/12/2021 - 6:27
Esteri
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Le Nazioni Unite hanno avvertito lo scorso 9 dicembre che entro la fine del 2022 ci saranno 8,9 milioni di rifugiati venezuelani che vivranno in 17 paesi dell’America Latina. Un esodo che supera di gran lunga quello siriano, pari a 6,8 milioni di profughi e dove però, a differenza di Caracas, la causa scatenante è stata una sanguinosa guerra civile scoppiata nel 2011.

1,6 miliardi di euro per sostenerli

Secondo le statistiche Onu i venezuelani che sono fuggiti dal loro paese dal 2013, quando l’attuale presidente “de facto” Nicolás Maduro ha assunto il potere ereditato dal defunto Hugo Chávez, sono già oltre sei milioni. A novembre di quest’anno circa 5 milioni di persone erano emigrate in altri paesi dell’America Latina, con la Colombia come destinazione principale (1,8 milioni), seguita dal Perù (900mila). La drammatica stima di quasi 9 milioni di venezuelani fuori dal loro paese entro fine 2022 è stata fatta da Eduardo Stein, il rappresentante speciale congiunto dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati e dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, al lancio del “Piano regionale di risposta per i rifugiati e i migranti”, giovedì scorso. A detta di Stein saranno necessari almeno 1,6 miliardi di euro per sostenere i venezuelani fuggiti da una crisi politica, economica e sociale oggi senza pari al mondo.

«Uno stipendio per tre chili di cipolle»

La causa principale dell’esodo è il disastro economico del Venezuela, paese oggi con gli stipendi più bassi al mondo e l’inflazione più alta del pianeta. «Con uno stipendio medio, l’equivalente di tre euro al mese, puoi comprare 3 chili di cipolle», racconta Vittorio Marcucci, uno dei tanti italiani che a Caracas aveva trovato il paradiso negli anni Sessanta e oggi è stato costretto alla fuga da un inferno di miseria.

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«No, non è uno scherzo visto che il prezzo è salito del 2.500 per cento negli ultimi 12 mesi, in linea con l’inflazione di qui». Lui se n’è andato nel 2018 da Caracas, dove aveva gestito al meglio il ristorante del Club italo venezuelano locale, il più grande al mondo visto che in Venezuela sono oltre un milione i nostri oriundi, quasi tutti di prima generazione perché emigrati durante il boom della Venezuela saudita, quando la nazione Sudamericana negli anni Sessanta, Settanta ed Ottanta era la più ricca del continente. Oggi, invece, è più povera persino di Haiti. Alla fine Vittorio, già premiato dall’ex presidente Oscar Luigi Scalfaro come miglior chef italiano all’estero, ha dovuto mollare l’”Italo”, così tutti chiamano il Club dei nostri oriundi di Caracas, e da allora vive felicemente con la sua famiglia a Panama, dove ha aperto l’ennesimo ristorante di successo.

«In Venezuela muore di fame un bimbo al giorno»

Tre chili di cipolle con uno stipendio mensile, questa la situazione reale del “paradiso socialista” venezuelano da cui «chi può è già scappato e dove chi è rimasto sopravvive solo grazie alle rimesse dall’estero di chi se n’è andato», spiega Manuel, uno dei migliori fotoreporter della capitale che al precipitare della situazione si è trasferito in Colombia. «Siamo scappati perché in Venezuela muore di fame un bambino ogni giorno e anche i trapiantati stanno trapassando a ritmo crescente per la mancanza dei farmaci che devono assumere anche dopo 10-15 anni dall’operazione per evitare il rigetto – una fine atroce al pari di quella dei bimbi scheletrici con pancioni che ricordano le foto del Sahel anni 70», spiega Giancarlo, emigrante di ritorno in Italia per motivi di salute. «Impossibile farmi curare a Caracas», spiega a Tempi. 

Molti venezuelani in fuga tentano l’avventura statunitense, attratti dall'”American Dream”. È il caso, ad esempio, della 27enne Lis B. che dopo essersi laureata in ingegneria petrolifera e non essere riuscita a trovare un lavoro nella sua Maracaibo perché si era rifiutata di prendere la tessera del partito di Maduro, prima è andata in Cile, nel 2017, e poi quest’anno ha venduto tutto e con i 4mila dollari che ha racimolato ha preso un volo per il Messico, da dove ha raggiunto in bus il confine di El Paso, in Texas.

Lis e gli altri, accolti negli States

Lis ce l’ha fatta ad entrare perché, da marzo, Washington ha concesso lo status di protezione temporanea a 320mila venezuelani, cosa che consente loro di lavorare legalmente negli Stati Uniti. Inoltre chi fugge da Maduro chiede asilo e quasi sempre ce la fa. Nel 2021 gli Usa hanno infatti negato solo il 26 per cento delle richieste di asilo di venezuelani, contro l’80 per cento di “no” dato ai migranti centroamericani. «Il boom dei venezuelani ricorda l’esodo di mezzo secolo fa dei cubani in fuga dalla dittatura di Fidel Castro», sottolinea l’Associated Press, con la differenza che «molti dei quasi 40mila venezuelani che hanno già attraversato illegalmente il confine tra Usa e Messico nel 2021» fanno parte di un «esodo di oltre 6 milioni di venezuelani iniziato nel 2013».

Una tragedia, quella del più grande esodo di sempre delle Americhe, che non accenna a diminuire, con un Occidente che sembra essersi oramai dimenticato del Venezuela. A gennaio la Conferenza episcopale venezuelana (Cev) aveva pubblicato un’esortazione pastorale chiedendo al governo di Maduro un «cambiamento radicale» per fermare «questo mare di sofferenza del popolo». Questa diaspora senza precedenti. «Data la gravissima situazione nel Paese», hanno scritto i vescovi, c’è la necessità di una svolta «che richiede da parte del Governo sufficiente integrità, razionalità e sentimento di amore per il Paese». Naturalmente Maduro si è ben guardato dall’ascoltare i vescovi.

Foto Ansa

Tags: nicolas madurovenezuela
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