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«Così diamo la prima assistenza ai migranti»

«Molti ragazzi ci hanno raccontato di aver vissuto per mesi, in Libia, ammassati in capannoni prima di imbarcarsi». Intervista a don Sergio Mattaliano, direttore della Caritas diocesana di Palermo

Chiara Rizzo
10/06/2015 - 10:35
Interni
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«Tra sabato e domenica sono stati salvati 5.851 profughi, di cui 1.400 sono stati portati in Sicilia. Di questi, 865 profughi sono solo quelli arrivati al porto di Palermo. E nelle ultime 48 ore sono arrivati altri 2.500 migranti tra Palermo, Trapani, Catania – ben 1.400 persone lì – e Lampedusa». A parlare a tempi.it è don Sergio Mattaliano, direttore della Caritas diocesana di Palermo. «Mi appello a tutti quelli che possono, abbiamo bisogno di volontari» prosegue don Sergio, noncurante che nelle stesse ore al Nord i governatori di tre regioni (Lombardia, Veneto e Liguria) dicono basta all’accoglienza di altri profughi.

Don Sergio, qual è la situazione a Palermo per quanto riguarda gli sbarchi?
Un’emergenza continua, senza tregua. Ogni giorno siamo al porto ad accogliere questi fratelli. Un nostro sorriso è già una cosa essenziale per loro, ma non basta. Quando i migranti sbarcano, noi della Caritas li rivestiamo, perché molti di loro sono nudi, dopo essere stati costretti a lanciarsi in acqua senza scarpe e senza vestiti dai loro gommoni. Diamo loro acqua e pane, perché spesso non mangiano da moltissimi giorni. Li accogliamo nelle strutture pastorali di Palermo e Monreale, cioè saloni parrocchiali o uffici della diocesi. Lì consentiamo loro di fare delle docce, li facciamo riposare finalmente su dei letti, e cerchiamo di offrire una prima consulenza legale con alcuni avvocati, che spiegano loro cosa possono fare i profughi nel nostro paese. È solo dopo queste operazioni, che la prefettura preleva alcuni di loro per portarli altrove. Tra i profughi che sono sbarcati questo fine settimana, sono 400 quelli partiti alla volta di altri centri di accoglienza al nord, tra Liguria, provincia autonoma di Bolzano e Toscana. Prepariamo dei piccoli pranzi a sacco e li consegniamo loro, affinché possano consumarli durante il viaggio.

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Le istituzioni come affrontano quest’emergenza?
Rispetto all’anno scorso la situazione è migliorata. Adesso al ministero degli Interni c’è un dipartimento specifico per l’immigrazione. Non appena arriva la notizia dell’avvistamento di una nave, le prefetture in brevissimo tempo vengono contattate in base ai posti disponibili, in modo che si possano coordinare gli sbarchi prima ancora degli arrivi ai porti. Lavoriamo in perfetta sinergia con prefettura e questura, Croce rossa e Asl di Palermo. Ieri l’ultimo sbarco al porto è iniziato alle 12.45 e alle 17 era già tutto finito. Al porto insieme a noi c’è sempre una squadra di medici, compresi neonatologi e dermatologi per gli screening. Qui a Palermo è una macchina che lavora bene.

Perché allora lancia un appello ai volontari affinché vi aiutino?
La maggior parte del nostro lavoro è fatto da volontari. È vero che la prefettura ci rimborsa alcune spese. Ma chi cucina, chi prepara il guardaroba, chi si occupa di acquistare biancheria nuova o di raccogliere gli indumenti usati da donare ai migranti, chi li accoglie facendo loro da interprete, sono i volontari. Attualmente i volontari che con noi fanno tutto questo lavoro sono appena trenta persone. E rispetto ad altre diocesi siamo già fortunati; conosco molte parrocchie e ho chiesto aiuto a tantissime persone. Siamo davvero in una situazione di “prima linea”, e abbiamo bisogno di aiuti. Ma so bene che ci sono anche persone che non vogliono avvicinarsi al porto perché hanno paura.

Di che cosa?
Banalmente anche di contrarre la scabbia. Li capisco, è un timore umano, persino logico. Chi arriva sui barconi spesso non ha potuto nemmeno lavarsi per almeno due mesi. Molti ragazzi ci hanno raccontato di aver vissuto per qualche mese, in Libia, ammassati in capannoni prima di imbarcarsi. Non solo non potevano pulirsi, ma erano costretti a fare i bisogni l’uno accanto all’altro. E molti altri attraversando il deserto dall’Eritrea o dall’Etiopia, spesso hanno contratto la scabbia. Capisco che non è facile accogliere fisicamente queste persone, capisco la paura. Posso raccontarle una cosa?

Dica.
Alcuni nostri volontari mi hanno raccontato di aver avuto loro stessi quelle stesse paure, e di averle superate guardando negli occhi quelli che erano appena arrivati. Alcuni migranti hanno infatti detto in lacrime ai volontari: “Non abbiamo nulla da darvi, solo grazie dal più profondo del cuore”. Questo ha sgretolato qualsiasi diffidenza.

Foto Ansa

Tags: clandestinilampedusaMigrantiPalermosbarchi
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