Concessi i domiciliari a Formigoni
Il tribunale di sorveglianza di Milano ha concesso a Roberto Formigoni di scontare il resto della sua pena ai domiciliari. I giudici hanno dunque accolto la domanda presentata giovedì scorso dall’ex presidente della Regione Lombardia.
Formigoni si trova nel carcere di Bollate dal 22 febbraio, in seguito a una condanna a 5 anni e 10 mesi per corruzione che è stata criticata da più parti (compreso, fin da subito, questo giornale). La sentenza è stata criticata non solo perché appare discutibile nel merito, ma anche perché, in conseguenza dell’applicazione retroattiva della legge “spazza corrotti”, l’ex governatore è stato incarcerato nonostante avesse superato i 70 anni di età.
LA “SPAZZA CORROTTI”
Stando alla cronaca del Corriere della Sera, proprio su quest’ultimo tema hanno fatto leva i legali di Formigoni giovedì davanti ai giudici:
«L’ex governatore era assistito dai suoi legali, gli avvocati Luigi Stortoni e Mario Brusa che, al termine dell’udienza durata circa 3 ore, non hanno voluto rilasciare dichiarazioni ai giornalisti. I suoi difensori hanno sollevato la questione della irretroattività della “spazzacorrotti”, legge che ha imposto una stretta sulle misure alternative al carcere per i condannati per corruzione».
LA “COLLABORAZIONE IMPOSSIBILE”
Tuttavia, a quanto pare, non sarebbe questa la motivazione per cui il procuratore generale di Milano, Nicola Balice, già giovedì stesso ha dato parere favorevole al trasferimento di Formigoni ai domiciliari. La versione accreditata dai principali organi di stampa è che il pg Balice ha riconosciuto – come richiesto dagli avvocati dell’ex governatore – la cosiddetta “collaborazione impossibile”, che permette di concedere i benefici penitenziari anche ai condannati per reati di mafia o di terrorismo quando i giudici accertano che non possono più fornire elementi utili alla giustizia.
«MI CONFORMO ALLA SENTENZA»
Successivamente, in un altro articolo del Corriere (pubblicato prima della notizia dell’assegnazione di Formigoni ai domiciliari) si legge che l’ex presidente lombardo «lascerà il carcere per proseguire la detenzione in un’abitazione di Milano che ha già indicato», e che avrebbe richiesto di «fare volontariato in un convento di suore per il resto della pena, che scadrà a metà 2023, benefici compresi». Nello stesso articolo c’è anche qualche dettaglio in più sull’udienza di Formigoni davanti ai giudici del tribunale di sorveglianza di Milano:
«In aula Formigoni assicura di aver riflettuto molto in questi mesi. “Oggi comprendo che avrei fatto meglio a farmi interrogare”, ammette, giustificando le dichiarazioni spontanee con la volontà di evitare che le domande dell’accusa e delle difese frammentassero il suo ragionamento. Parla di Bollate, dei compagni di cella, degli operatori che lo stanno aiutando. “Mi conformo alla sentenza”, dice, porgendo ai giudici l’elemento dell’accettazione della condanna, indispensabile per ottenere i benefici penitenziari. Poi spiega che, anche volendo, non può contribuire a far rientrare altri soldi frutto dei reati anche perché, afferma, “sono povero” e ricorda che gli è stato sequestrato o confiscato tutto, compreso il vitalizio che gli versava la Regione Lombardia dopo 18 anni ininterrotti di presidenza. Non sa nulla di conti esteri e di società in paradisi fiscali».
LA VITA «IN GALERA»
Oltre a diverse prese di posizione pubbliche in sua difesa e contrarie alla sua condanna, anche da parte di personalità non sempre “simpatetiche” con il suo percorso politico (vedi Vittorio Feltri, Giuliano Ferrara, Piero Sansonetti), in questi mesi di detenzione Roberto Formigoni ha ricevuto a Bollate migliaia di lettere di amici, estimatori e sostenitori, molte delle quali gli sono state recapitate attraverso Tempi.
Al nostro giornale l’ex governatore ha inviato più lettere dal carcere. Nell’ultimo messaggio a Tempi scritto da Formigoni, l’ex presidente della Lombardia ha raccontato come ha vissuto questo periodo di detenzione:
«Mi è stato chiaro fin dal primo istante che questa situazione non poteva dominare né i miei giorni né i miei minuti. Hanno potuto condannarmi ma non hanno potuto decidere del mio modo di reagire e di vivere, non hanno potuto inquinare né il mio cuore né il mio cervello.
E dunque in galera, come ho imparato nella mia vita, vivo il presente istante per istante, e il presente è il luogo della presenza di un Altro, e ogni istante è un’occasione di sofferenza ma anche di incontro, di dialogo, di riflessione.
Tutto ciò ha destato qui una certa sorpresa, perché ci si aspetta che il detenuto, specie nei primi tempi, sia almeno un po’ provato, un po’ depresso, se non addirittura che mediti “intenti cattivi”, tant’è che per un certo periodo devi incontrare quotidianamente lo psicologo o lo psichiatra. E uno di questi un certo giorno mi ha fatto chiamare per domandarmi: “Ma lei si rende conto di dove è, di cosa le è successo, di come dovrà vivere?”. In realtà voleva chiedermi: “Ma lei è pazzo? Come fa a vivere così?”. Eppure anche qui si può vivere così».
Foto Ansa
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