Che fine ha fatto tutta quella bella gente lombarda che s’è goduta 18 anni di Formigoni?
Pubblichiamo il commento di Giuliano Ferrara sulla condanna di Roberto Formigoni apparso sul Foglio di ieri, sabato 23 febbraio.
Chi è entrato ieri mattina nel carcere di Bollate, Milano? A leggere i giornali sembra che sia un tipo bizzarro nei colori delle giacche che indossa, e delle magliette, un vacanziero impenitente che si tuffava da uno yacht in Sardegna nell’acqua sempre più blu, un cattolico anche un po’ bigotto che predicava bene e razzolava male, un politico vattelappesca divenuto antipatico simbolo di scrocco dopo sette anni di processo per corruzione e molta gogna. E’ così?
Roberto Formigoni ha guidato per diciotto anni, dico diciotto, la Regione Lombardia, Baviera d’Italia. Dal 1995 al 2013. Non so molto delle carte del processo, come si dice in questi casi, mi sembra solo che il “baratto corruttivo”, benefit personali contro finanziamenti pubblici a strutture della Sanità lombarda, e un passaggio di denari a partiti e movimenti del suo blocco di sostegno, sia il reato perfetto per incastrare un politico pasticcione ma anche un concetto giuridico piuttosto lasco, a meno che non si dimostrino la responsabilità penale personale del condannato in traffici illeciti (atti d’ufficio in cambio di tangenti, che nel processo a Formigoni non si sono viste) e l’assenza di prestazioni erogate dalle strutture sanitarie in ragione dei finanziamenti ricevuti con regolari delibere di giunta. Se le prestazioni ci siano state e se le tangenti non siano dimostrate, cinque anni e dieci mesi per scrocco e pratiche combriccolari varie mi sembrano tantini.
Direi di più. In diciotto anni di governo immagino che Formigoni abbia conosciuto in loco, e che loco, parecchia bella gente, non solo Nicole Minetti che entrò nel suo listino elettorale ed ebbe una breve rabdomantica carrierina politico-amministrativa. Penso alla Milano del Bosco verticale, dell’Expo, delle banche, dei grandi giornali e dei grandissimi giornalisti, penso a un giro vasto di professionisti, di eletti e nominati, di costruttori, di assolombardisti dell’industria operosa, penso a grandi famiglie dei dané, a tanti virtuosi del pubblico e del privato che operano nel settore della salute, della ricerca, della farmaceutica, dell’assistenza, e magari nelle opere di carità della chiesa ambrosiana e circonvicini. In diciotto anni se ne fanno di incontri, una società così europea, una borghesia così vitale e audace, grattacielo dopo grattacielo, non solo il Formigone, e un esercito di finanzieri che ruota attorno alla Borsa, e potrei continuare, il catalogo è quello: insomma quell’uomo che è entrato a Bollate per scontare la pena inflittagli non mi sembra l’indossatore solitario di colori bizzarri, un politico uscito da chissà dove, un barattiere abituato a delinquere nell’impunità ai margini della società e delle istituzioni. Non mi sarei mai aspettato, o forse sì, che una borghesia facoltosa e ricca di intuito e di intelligenze, in una città-mondo e città-cultura così influente e giustamente ambiziosa, avrebbe reagito al caso Formigoni voltandosi così platealmente dall’altra parte, senza farsi nemmeno una domanda.
Io me le faccio, così, per sport, e penso sia normale che i cacciatori di onestà-tà-tà, quelli per cui governare è in sé un crimine, gestire finanziamenti pubblici anche nel settore privato è un chiaro indizio di reato, essere cattolico Memores domini ciellino e berlusconiano una patente da sfregio immediato, normale, per quelli il caso è chiuso, la gallery dei tuffi di Formigoni basta e avanza, si ha ovviamente fiducia nella magistratura, e non restano che pezzi di colore sulla giacca arancione che ora diventa una tuta a righe.
Ma per chi sa e riconosce che la Sanità lombarda non è proprio malaccio, per chi ha idea di quanto sia stato opportuno modernizzare un sistema di ricerca e di cura e assistenza, a partire dal privato in integrazione con il pubblico, per tutta quella bella gente che in diciotto anni di cose ne ha insegnate e ne ha imparate, a contatto con colui che fu chiamato il Celeste, per loro non è normale l’impasto di indifferenza e di riservato straniamento, di silenzio e di incapacità a pensare quello che è ovviamente anche un loro problema.
E’ possibile ed è giusto ridurre diciotto anni di governo lombardo, e di interazione quotidiana tra amministrazione e società in uno dei luoghi più ricchi e competenti della nazione, a un romanzo criminale fondato sul baratto? Io a Formigoni rimprovero di non aver mai saputo fare politica, il che è stato un errore, peggio che un crimine, e naturalmente un errore non comporta la pena della galera per cinque anni e dieci mesi, ma ai suoi amministrati nel senso largo e pervasivo che ho detto mi sento di rimproverare l’incapacità di domandarsi pubblicamente dove erano lungo questi diciotto anni e dove sono adesso, come classe dirigente e come borghesia moderna.
Foto Ansa
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