Il giornalista e amico Giancarlo Giojelli ha scritto a Tempi questa lettera, reagendo a un articolo del direttore Luigi Amicone.
La questione dell’Eucaristia per i divorziati risposati spalanca un orizzonte dove la domanda che poni nella tua Prima linea è certamente dirimente: la Grazia è un diritto? Chiari sono la dottrina e il magistero della Chiesa, espressi in numerosi documenti compresa l’Enciclica Familiaris consortio, che in particolare ricorda che i divorziati risposati non sono esclusi dalla Comunione ecclesiale, anche se non possono ricevere corporalmente l’Eucaristia, ma possono e debbono partecipare alla Comunione spirituale. Qui però si parla dell’aspetto pastorale, cioè la concreta applicazione: è tema delicatissimo e tocca il cuore ferito di molti per cui trovo davvero fuori luogo cedere alla tentazione di risolverlo, come viene fatto spesso, con uno scambio di battute tipo quello tra la D’Urso e Brosio. Non contesto il loro diritto ad avere un’opinione, ci mancherebbe, ma conosco il mezzo televisivo e so che prevale sempre chi è più rapido e più efficace, che non sono affatto criteri di verità. Piuttosto vorrei sottoporti alcuni punti, frutto di una esperienza e di una sofferenza personale ormai quasi decennale. Non quindi astratta discussione o scambio di battute ad usum audience, ma un po’ di vita concreta, questo ti offro esponendomi anche personalmente.
• Certamente porre la questione dell’Eucaristia come diritto assoluto è inaccettabile. Del resto vale per ogni sacramento, l’ammissione è sempre condizionata a uno stato personale di Grazia. E questa da cosa deriva, si chiedono in molti, non solo il jet set che citi? Lo ha detto bene Angelo Scola nel 2005 al Sinodo, peraltro rispondendo non a un conduttore di talk show ma al cardinal Herranz: l’Eucaristia e la Grazia sono un dono, di cui la Chiesa è ministro (cioè amministratrice in un servizio al Popolo, come ha ha chiarito il cardinal Ravasi negli ultimi esercizi spirituali a Benedetto XVI e a tutta la Curia). La domanda caso mai è: come amministrare questo dono e con quale larghezza? (La misericordia è infinita, e certo la verità e la giustizia si devono incontrare: ricordiamoci però che la giustizia di Dio – per fortuna! – non è esattamente quella del Codice penale e civile, è la Misericordia che ricrea, ricordi?). Benedetto XVI ha più volte detto che la questione va approfondita. L’invito credo coinvolga non solo i dottori della Chiesa ma tutti noi, visto che per definizione ogni battezzato partecipa della natura di Re, Sacerdote e Profeta, nella misura voluta dallo Spirito, il quale peraltro fa profetare anche gli asini e rivela cose grandissime ai più piccoli. Citando i Dottori ricordo comunque la dottrina tomistica del Votum Sacramenti per la quale «la realtà di un sacramento può essere ottenuta prima della ricezione rituale di questo sacramento, per il solo fatto che si aspira a riceverlo» (Summa theologica, III, q. 80, a. 4). Quindi attenzione anche a quando si parla di desiderio, che certo di per sé non può essere automaticamente soddisfatto ma non può essere nemmeno cosa cattiva se ti spinge a capire che ogni desiderio è al fondo Desiderio di Cristo, come ci insegna padre Aldo.
• Una cosa sembra essere il dogma, una cosa la dottrina, una cosa il magistero, una cosa ancora la pastorale. In realtà sono un’unica cosa se si considera la Chiesa come il corpo vivo di Cristo, ma proprio per questo – in particolare nella comunicazione (e soprattutto in quella televisiva che arriva in modo così im-mediato) – bisogna stare attenti a non privilegiare un aspetto a discapito dell’altro. L’attuale disciplina prevista dal codice canonico è frutto di una lunga evoluzione storica-culturale e pastorale. Sta nel potere del Magistero che detiene le Chiavi stabilirne i confini e anche le eccezioni. E dare il giusto significato pedagogico a una pratica sostanzialmente penitenziale che non può avere lo scopo di punire ma al contrario di portare tutti quelli che la mendicano alla salvezza. Non lo dico io, è quello che dicono tutti i documenti della Chiesa e ha ribadito Benedetto XVI a Milano. Recentemente il presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, monsignor Paglia, ha sottolineato che per la Chiesa non esistono famiglie di serie A e famiglie di serie B. Al contrario, ha detto, la Chiesa è ancor più vicina con amore e affetto a chi vive situazioni “irregolari”, la loro sofferenza e il sacrificio contribuiscono all’economia della Grazia e, ha aggiunto, ci dà una “marcia in più”.
• In ogni caso anche il codice canonico non dà una regola assoluta ma prevede e codifica una serie di casistiche. In questo ambito sta al ministro del Sacramento della Riconciliazione valutare caso per caso, questo sì, la situazione. Tu sai che esistono per questo i penitenzieri e c’è una penitenzieria apostolica. Questo non vuole dire pura arbitrarietà (come sembri suggerire in un passaggio forse un po’ troppo riassuntivo) dell’economo, ma esercizio della pastorale, e il pastore conosce le sue pecore ad una ad una. Non parla al gregge indistinto. La stessa grazia non è dispensata a tutti nello stesso modo (non dico quantità) e c’è chi ha la Grazia di vivere una condizione con più santità e coerenza e altri meno. Però alla fine siamo tutti mendicanti di Cristo (come Cristo è medicante del cuore dell’uomo) e invidiare la Grazia altrui è proprio un brutto peccato. Il complesso del fratello maggiore del figliol prodigo ha rovinato tante persone, e dato lavoro e notorietà a tanti magistrati!
• Attenzione a quando si parla delle Chiese Orientali. Olivier Clement lo ha chiarito bene. Non distribuiscono l’Eucaristia né elargiscono benedizioni e seconde nozze, o anche terze, come gettoniere automatiche. L’Epicheia e l’Oikonomia sono discernimenti pastorali (almeno in dottrina, poi tutti possono sbagliare) che hanno comunque come obiettivo la salvezza della persona, vista sempre nella sua concretezza unica e irriducibile, che prevale sempre sulla norma giuridica (noi in Occidente siamo un po’ più – forse troppo – sensibili alla legge e alla casistica, retaggio forse della trazione giudaica e romana). Don Jonah Lynch, nel tuo articolo, dice bene: «Non accettare l’ordine della cose è la migliore ricetta per essere infelici, e tutti sono chiamati alla santità, divorziati e risposati compresi». Clement ne fa un caposaldo dell’Ortodossia: «Il Santo è un penitente, un peccatore consapevole e per ciò stesso aperto alla Grazia. La parola greca metanoia ingloba e supera la concezione comune del pentimento: designa il rovesciamento del nous, cioè della mente come centro cosciente dell’esistenza personale» e «il pentimento è il ritorno di ciò che è contrario alla natura verso ciò che le è proprio» (cfr O. Clement, La Chiesa ortodossa).
• Ti ricordo, infine, badando bene a non cadere nella soggettività protestante, che per i cristiani la coscienza personale (cristianamente formata) è sempre stato il punto ultimo di confronto, sempre, anche di fronte alle indicazioni del prete (che in fatto di pastorale può sbagliare pure lui, ovviamente non parlo della dottrina ma dei comportamenti concreti, vedi la strigliata che ha dato Bergoglio ai parroci che non vogliono battezzare i figli delle ragazze madri!). Nessuno può giudicare cosa avviene tra un’anima e Dio. È il grande e misterioso incontro di due libertà, quella dell’uomo e quella di Dio. Il vero mistero della Storia, diceva don Giussani. Del resto a buon diritto anche tu sei libero di non essere d’accordo con il cardinal Martini, che proprio sprovveduto non era. E magari anche con Scola (ti potrà capitare qualche volta…).
• In conclusione, se ci saranno cambiamenti nel codice canonico o nelle indicazioni pastorali erga omnes lo stabilirà il Papa, penso proprio in Comunione con tutti i vescovi. È in suo potere. Non facciamo come i lefebvriani che contestano alla Chiesa cattolica di non essere abbastanza cattolica e in nome dell’obbedienza al Papa vogliono scomunicare il Papa. Questo vale in linea generale, erga omnes. Le questioni personali è doveroso che ognuno le risolva nel confessionale ponendo la coscienza propria di fronte al ministro del Sacramento e il penitenziere saprà cosa dirgli perché c’è anche lo Spirito Santo che opera. Papa Francesco parlando ai confessori in Santa Maria Maggiore ha già fissato un unico e triplice confine: «Misericordia, misericordia, misericordia». Ti ricordo che “misericordioso” è il nome che Dio si dà nel Nuovo e nel Vecchio Testamento e anche nel Corano. E il Papa ha citato un cardinale, Kasper, fino a ieri ritenuto qui da noi un bel po’ modernista. E invece il suo libro è magnifico! Questo ci insegni un po’ di umiltà nel giudicare.
Giancarlo Giojelli
Ps. Io ho preso un sacco di botte, ma proprio tante tante tante, nel ’74 facendo campagna contro il divorzio, e ora mi ritrovo a inginocchiarmi mendicando la Grazia del Sacramento. Mi picchiavano in testa e ora è meglio che mi batta il petto da solo. Ovviamente questo vale per tutto e per tutti. I peccati gravi non riguardano solo il sesto e il nono comandamento! Pensa al Discorso della montagna: di fronte a quei vertici indicati da Gesù chi lancia la prima pietra? Credo che il Papa direbbe, come ha detto nella predica in Sant’Anna prima del suo insediamento, «hai peccato? Bene, così Gesù può essere felice nel perdonarti». Il che – lo dico perché vedo già Berlicche che si agita – non vuole affatto dire che il peccato è bello in sé, ma che la Misericordia fa gioire Dio (lui questa cosa temo che non la capirà mai). Del resto noi che siamo padri non siamo forse felici quando possiamo perdonare e abbracciare i nostri figli (magari prima ancora che loro possano chiedere perdono)? Il Padre va incontro al figliol prodigo prima che questo possa dire una parola! Mi dirai: bisogna pentirsi. Giusto, ma attenzione a non ridurre a regole e norme lo stupore per la Presenza viva di Cristo. È quello che fanno tanti, da una parte come dall’altra, rigoristi come lassisti, quando parlano di questi argomenti. Magari pretendendo di rubare con il permesso dei carabinieri e di peccare con il permesso del parroco. Invece stai giù in ginocchio, riconosci che sei un pirla, e goditi l’amore di Dio!