C’è qualche differenza fra il codice penale e un tweet. Col secondo puoi cinguettare in tempo reale su una sentenza che non ti piace, ma non riesci a dare giustizia: quest’ultima dipende dal codice penale, da un equilibrio fra princìpi e interessi, dalla saggia applicazione concreta di norme con vita media superiore a quella che hanno 140 caratteri buttati in rete sull’impulso del momento.
È difficile prevedere come finirà la storia della prescrizione, la cui modifica due settimane fa pareva la priorità nazionale, all’indomani della sentenza della Cassazione che dichiarava prescritte le condanne per la sentenza Eternit: al Consiglio dei ministri di lunedì scorso è stata accantonata, e non appare remoto il rischio che per i familiari delle numerose vittime della strage di Casale Monferrato il bilancio conclusivo sia tante belle assicurazioni seguite da nulla.
Pochi ricordano che, secondo la giurisprudenza prevalente, il reato contestato dalla procura della Repubblica di Torino era estinto per prescrizione già nel 2001, prima che venisse avviata l’azione penale; i giudici di merito, in Piemonte, hanno aderito a un orientamento minoritario, che collega la permanenza del delitto al perdurare degli effetti più che alla commissione dei fatti, ma la Cassazione si era sempre pronunciata diversamente. Pochi ricordano che, quand’anche mutasse il termine della prescrizione, tutto ciò sarebbe irrilevante per la vicenda Eternit: le regole della prescrizione costituiscono norma penale sostanziale, e obbediscono alla logica della legge più favorevole nel tempo.
Rende perplessi, in generale, immaginare che il rimedio per una scelta processuale rischiosa – quella di indagare su un delitto già prescritto confidando in una esegesi marginale – o, al di fuori del caso specifico, per misure organizzative non idonee a concludere un giudizio nei tempi stabiliti consista nell’allungare a dismisura i tempi della prescrizione. Come se accertare un fatto, per quanto grave, a distanza di un quarto di secolo tranquillizzi sulla precisione dei ricordi dei testimoni, sulla attendibilità dei dati tecnici, o sulla facilità per gli accusati di articolare una adeguata difesa.
Illogico confidare sui tempi lunghi
La lezione che viene dalla giustizia negata a Casale Monferrato è duplice. La prima riguarda il futuro, e fa interrogare su come evitare il riproporsi dell’impunità; perché il ragionamento sia serio è però necessario che avvenga al netto della prescrizione: poiché una delle componenti della efficacia della risposta punitiva è anche la celerità, confidare su tempi lunghi è illogico. È necessaria una rivisitazione dei delitti contro l’ambiente? Si rifletta su questo, senza frenesie. Certamente vanno affinate le capacità investigative su questo fronte, sia a livello di polizia giudiziaria che di magistratura requirente: è un lavoro già avviato, che può essere intensificato; la (falsa) scorciatoia del tempo di prescrizione più lungo rappresenta un diversivo.
La seconda è più immediata, e risponde alla esigenza di riconoscere giustizia in tempi celeri, se pure in parte, per gli interessi civili. Il processo Eternit si è concluso con una condanna nei gradi di merito; la Cassazione l’ha travolta prendendo atto del lungo tempo decorso, ma non negando il conclamato carattere illecito dei fatti commessi. L’avvio di un’azione di risarcimento dei danni in sede civile a opera di quelle che sono state le parti civili nel processo penale porterebbe a ottenere quanto meno il risarcimento medesimo, sul presupposto della condanna di appello, non smentita dalla Cassazione.
Se il governo intende veramente andare incontro alle vittime bruci i tempi, non faccia attendere le lungaggini del processo civile, istituisca un fondo di rotazione, al quale le vittime stesse siano abilitate a rivolgersi per ottenere i danni fondati sulla responsabilità penale riconosciuta nel merito: il governo potrà poi rivalersi nei confronti di Eternit e di chi è stato condannato in appello. Un meccanismo del genere esiste per le vittime di mafia, quando a loro favore vi è una sentenza di condanna in un processo penale nel quale vi siano parti civili costituite: poiché in genere i mafiosi risultano impossidenti, questa partita di giro evita che la condanna al risarcimento si risolva in un pugno di mosche.
Presidente Renzi, non è difficile: lasci i tecnici discutere di prescrizione – ci metteranno decenni – e ottenga le risorse necessarie dal ministero dell’Economia. Non sarebbe giustizia completa, ma è meglio di un tweet con scritto “che vergogna!”.