Cina. «Il lockdown di Xi’an è disumano»

Di Leone Grotti
12 Gennaio 2022
Mentre il regime estende le chiusure a Tianjin, Yuzhou e Anyang, spuntano i racconti agghiaccianti delle donne non ammesse negli ospedali a Xi'an perché senza green pass, costrette ad abortire. Intanto Pechino vieta di «criticare il lockdown» sui social e arresta una ventina di persone
Abitanti di Tianjin in coda in Cina per effettuare il tampone obbligatorio imposto a tutta la città

La strategia “zero Covid” della Cina continua a mietere vittime e non solo nel senso dei reclusi per i lockdown. Dopo i 13 milioni di abitanti di Xi’an, confinati in casa per la terza settimana consecutiva, Pechino ha ordinato la chiusura di Yuzhou (1,1 milioni di abitanti) e quella di Anyang (5,5 milioni). Ma a preoccupare il regime è soprattutto la città portuale di Tianjin, ad appena un’ora da Pechino, dove sono stati identificati alcuni casi positivi alla variante Omicron. Per il momento il lockdown è limitato a circa 100 mila persone, ma con le Olimpiadi alle porte, la cerimonia di apertura si terrà il 4 febbraio, le limitazioni potrebbero essere ulteriormente estese.

Il regime è nervoso in Cina

La città di Anyang, nella provincia dell’Henan, è stata sigillata lunedì sera, dopo che sono stati registrati 58 casi, tra i quali due positivi alla variante Omicron. Entrambi erano stati nei giorni precedenti a Tianjin. La nuova variante spaventa le autorità cinesi perché i vaccini Sinovac e Sinopharm, con i quali è stata vaccinata l’86% della popolazione cinese, sembrano non offrire alcuna protezione contro la sua diffusione.

I lockdown riguardano ormai 20 milioni di persone in Cina e sono la dimostrazione sia del fallimento della strategia “zero Covid” sia del nervosismo che circola tra i papaveri del regime, che da mesi gonfiano il petto promettendo un’Olimpiade invernale “Covid free”.

«Vietato criticare il lockdown»

Ma se Pechino teme il danno di immagine derivante dalla risalita dei contagi, a preoccupare i cinesi sono soprattutto le misure draconiane approvate dal regime per imporre un controllo totale sulla popolazione con la scusa del Covid, più che per prevenire il contagio.

Dopo che gli abitanti di Xi’an hanno disseminato la piattaforma Wechat di lamentele sulla pessima gestione del lockdown, che ha lasciato migliaia di famiglie senza viveri e mezzi di sostentamento, le autorità hanno inviato a tutti i residenti un messaggio il 4 gennaio, vietando di postare sui social media «ogni tipo di notizia negativa» sulla gestione del lockdown.

Almeno venti persone arrestate

Avendo la nuova disposizione valore retroattivo, come riporta Radio Free Asia, una ventina di persone sono state arrestate e detenute per una o due settimane per essersi lamentate del governo sui social media. Tra questi c’è anche Song Wentao, funzionario del Partito comunista licenziato per aver scritto che il lockdown imposto a Xi’an era «disumano» e metteva più a rischio di morte e malattia gli abitanti rispetto al Covid.

Yu, 32 anni, è stato detenuto per sette giorni per essersi lamentato sui social della gestione degli approvvigionamenti alimentari «creando un clima sociale negativo». Qin e Sun, 33 anni, sono finiti in carcere per aver criticato l’aumento del prezzo dei baozi a causa del confinamento. Ji, 30 anni, è stato detenuto cinque giorni dopo aver rivelato che aveva dovuto pagare gli alimenti “donati” dal governo.

Bai è stato punito per aver insultato i funzionari di Partito che gli avevano impedito di uscire di casa, Wang e Guo per aver spintonato lo staff di sicurezza mentre era in coda per effettuare l’ennesimo tampone, Ke per aver cercato di sfondare con la propria auto i cordoni di sicurezza che chiudevano la propria unità abitativa, Luo per aver affermato che molte persone «erano morte per la strada» a Xi’an a causa della pandemia e Zhang per aver parlato di una lite tra un poliziotto e un abitante.

Senza il green pass, niente ospedale

Ma la censura non è il corollario peggiore delle misure anti Covid del regime. In un post datato 1 gennaio, condiviso centinaia di milioni di volte su Weibo, una giovane ha raccontato il dramma della zia, incinta all’ottavo mese, alla quale è stato proibito l’accesso all’ospedale nonostante fosse in condizioni critiche, causandole la perdita del figlio. Una foto ritrae la donna su uno sgabello di plastica fuori dal Gaoxin Hospital: sotto di lei una pozza di sangue (video sotto).

La donna, ai primi segnali di malessere, era corsa in ospedale ma il personale le ha proibito di entrare perché non era in possesso di un tampone negativo effettuato nelle ultime 48 ore. Il “green pass” ottenuto proprio grazie a un test le era scaduto da poche ore. Quando finalmente l’ospedale ha deciso di “violare le regole” e farla entrare, dopo averla lasciata fuori al gelo per ore, era già troppo tardi.

«Il vero virus è il Partito comunista»

Una seconda donna incinta ha raccontato la sua storia su internet spiegando di aver perso il bambino per lo stesso motivo. Mentre una giovane ha rivelato che il padre di 61 anni è morto dopo che diversi ospedali si sono rifiutati di trattare i suoi improvvisi problemi cardiaci perché non riguardavano il Covid. Dopo otto ore di ricerche vane, finalmente una clinica ha aperto le porte ma il dottore ha constatato che «ormai è troppo tardi».

Le autorità si sono pubblicamente scusate per le «disfunzioni» nella gestione del lockdown e alcuni dirigenti di ospedale sono stati sospesi dal Partito comunista. Ma come disse a Tempi Jennifer Zeng, dissidente rinchiusa nel 2000 in un campo di rieducazione attraverso il lavoro, torturata ripetutamente e poi scappata negli Stati Uniti, il problema non sono gli eccessi di zelo di alcuni funzionari per prevenire la diffusione del Covid, perché «il vero virus è il Partito comunista cinese. È così abituato a reprimere ogni forma di libertà pur di mantenere il potere che quando è scoppiata l’epidemia non ha pensato innanzitutto a come controllarla, per salvare la vita dei cinesi, ma a come nascondere le informazioni e mettere a tacere i medici».

«Il lockdown di Xi’an è disumano»

Sono passati due anni dalla serrata di Wuhan, ma niente è cambiato in Cina. Non a caso, chi si lamenta sui social viene arrestato e chi ha il coraggio di denunciare, dall’interno del Partito, il «disumano lockdown di Xi’an» viene licenziato. Il vero volto del “modello cinese” che molti commentatori hanno esaltato durante le prime fasi della pandemia, senza conoscerlo e comprenderlo davvero, continua a mostrare il suo lato più violento.

@LeoneGrotti

Foto Ansa

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