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La Cina “premia” chi risulta positivo al Covid: 1.500 euro a testa

È la nuova politica della città di Harbin per scovare chi si ammala ma non si fa testare. I cinesi rifuggono i tamponi perché prendere il Covid è considerato poco "patriottico", può rovinare la carriera politica dei funzionari e soprattutto far chiudere in lockdown milioni di persone

Leone Grotti
09/12/2021 - 6:25
Esteri
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I cinesi di Manzhouli, al confine con la Russia, fanno la coda per il tampone
I cinesi di Manzhouli, al confine con la Russia, fanno la coda per il tampone

La città di Harbin, in Cina, pagherà 10 mila yuan, circa 1.500 euro, a tutti coloro che si presenteranno con i sintomi del Covid a fare un test e risulteranno positivi. Lo ha annunciato giovedì il governo locale della capitale provinciale del Heilongjiang. Da una settimana nella città di 10 milioni di abitanti vengono registrati circa 7-8 nuovi casi al giorno. Un’inezia, in un paese normale, un’enormità in Cina, dove il regime comunista persegue ossessivamente la strategia “zero Covid”. Il premio pecuniario può sembrare assurdo, ma ci sono diverse ragioni per cui non lo è e nessuna di queste è legata alla salute dei cittadini.

Il Covid rovina le carriere politiche

Il Partito comunista ha ormai stabilmente inserito la gestione del Covid tra gli elementi che determinano la promozione o la retrocessione di un funzionario locale. Anche una manciata di casi su milioni di abitanti può rovinare un curriculum, un focolaio invece è una vera e propria condanna politica. Nella città di Manzhouli, al confine con la Russia, dove in un mese sono stati scoperti oltre 300 casi, quattro funzionari «sono stati puniti» per non essere riusciti a implementare la politica «zero Covid», riporta il South China Morning Post.

Pur di evitare la diffusione di un focolaio, dunque, i governi locali sono disposti a tutto: anche pagare i residenti per farsi testare. Harbin non è poi una città qualunque: da qui parte un treno ad alta velocità che in circa sei ore percorre oltre 1.200 chilometri, collegando la capitale provinciale a quella nazionale, Pechino. Se dovesse diffondersi un focolaio nel cuore della Cina per colpa di qualche disattenzione ad Harbin, il destino del governo locale sarebbe segnato.

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Ammalarsi non è patriottico

C’è poi un altro elemento da considerare, oltre a quello politico: il fattore patriottico. Per quanto tutti cerchino di farlo dimenticare, la pandemia è scoppiata a Wuhan, in Cina, e se il governo con i suoi consueti metodi dittatoriali non avesse minacciato o fatto arrestare tutti coloro che si erano accorti della circolazione di un nuovo virus, forse gli ultimi due anni sarebbero stati molto diversi per il mondo intero.

Ecco perché Pechino fa di tutto per apparire agli occhi del mondo come l’unico paese del pianeta “Covid-free”. Prendersi il nuovo coronavirus non fa innanzitutto male al malato, ma alla nazione: essere sani è una questione di patriottismo. Questa mentalità, per cui chi si ammala deve vergognarsi e potrebbe essere esposto al pubblico ludibrio, fa sì che in tanti, al primo comparire dei sintomi, si rintanino in casa, senza chiamare il medico né recarsi in farmacia. Chiunque cerca di acquistare medicinali per curare febbre, raffreddore, tosse e mal di gola, infatti, viene automaticamente schedato.

Ecco perché, al di là delle campagne di test di massa, che spesso avvengono nelle città più grandi della Cina, sempre meno cinesi si sottopongono a un tampone. Da qui l’idea del governo di Harbin di incentivare i cittadini con un premio in denaro.

Zero Covid, infiniti lockdown

C’è infine un’ultima motivazione che fomenta la ritrosia dei cinesi. La strategia “zero Covid” ha portato alcune città a prendere misure drastiche per contenere la diffusione del virus. Basta un positivo nelle grandi città perché venga imposto un lockdown a un intero quartiere di milioni di abitanti. Per entrare a Shenyang bisogna sottoporsi a una quarantena all’ingresso di 56, ripetiamo cinquantasei, giorni.

La città di Ruili, al confine con il Myanmar, ha varato quattro lockdown nell’ultimo anno, sfiancando i cittadini. In un video diventato virale, un padre ha raccontato che il figlio di un anno di età ha già dovuto sottoporsi a 74 tamponi. Per sfuggire a questo inferno, ben 200 mila persone hanno abbandonato la città e per correre ai ripari il governo locale ha imposto una quarantena preventiva di 21 giorni per chiunque voglia lasciare Ruili.

Anche per sfuggire a queste misure draconiane i cinesi tendono a non sottoporsi volontariamente al tampone. Essere positivi, infatti, porta a molte settimane di isolamento in casa e costringe centinaia di migliaia o anche milioni di persone che vivono nelle vicinanze allo stesso destino. Prendere il Covid è peggio che essere appestati ed è improbabile che basteranno 10 mila yuan a convincere i cinesi di Harbin a rischiare il passaggio per le forche caudine del lockdown.

@LeoneGrotti

Tags: CinaCovid-19partito comunista cinesewuhan
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