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«Attenti, il vero virus è il partito comunista»

Parla la dissidente cinese Jennifer Zeng: «Non fidatevi di Pechino, sapeva tutto e ha taciuto. E ora cercano di corrompervi con le mascherine»

Leone Grotti
13/04/2020 - 12:30
Esteri
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Bandiera del partito comunista esposta a Wuhan, Cina, durante l'emergenza coronavirus

Articolo tratto dal numero di aprile 2020 di Tempi. Questo contenuto è riservato agli abbonati: grazie al tuo abbonamento puoi scegliere se sfogliare la versione digitale del mensile o accedere online ai singoli contenuti del numero.

Jennifer Zeng ha smesso di credere al Partito comunista nel 1999, la prima volta che è stata arrestata. Ma fino ad allora anche lei credeva che «il Partito fosse il salvatore della Cina» e aderiva ad alcune delle principali dottrine propagandate dal regime, «come l’ateismo».

Nata nel Sichuan nel 1966, l’anno in cui scoppiò la Rivoluzione culturale, poiché il padre era un intellettuale fu inviata con la famiglia a vivere in un villaggio remoto, «dove ho passato un’infanzia solitaria». Nonostante «le sofferenze patite dalla mia famiglia, i miei genitori non mi hanno mai parlato male del regime, era troppo pericoloso, e così quando sono stata ammessa in uno dei più prestigiosi atenei del paese, l’Università di Pechino, dove mi sono laureata in geochimica, mi sono iscritta di slancio al Partito. Ero molto orgogliosa perché ero la prima della mia classe a farlo».

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L’idillio finì presto: nel 1997 su invito della sorella cominciò a praticare il Falun Gong, una disciplina nata cinque anni prima che prevede la meditazione, esercizi fisici e medicazioni legati alla tradizione cinese e basati sui princìpi di verità, compassione e tolleranza. Inizialmente il Partito incoraggiava la partecipazione dei suoi membri ma quando il movimento crebbe a dismisura, arrivando a circa 70-100 milioni di aderenti in pochi anni, il regime considerò il Falun Gong come un pericolo, lo mise al bando e perseguitò i suoi seguaci.

A partire dal 1999 anche Zeng finì nel mirino delle autorità, fu arrestata quattro volte e infine rinchiusa nel 2000 nel Campo di rieducazione attraverso il lavoro femminile di Pechino. A Tempi descrive quell’esperienza solo brevemente: «Era l’inferno, ho subito torture inimmaginabili, ho visto violenze tali che non credevo potessero esistere nel XXI secolo. Pensavo che certe cose avvenissero solo nei campi di concentramento dei nazisti».

Soprattutto ha scoperto solo una volta scappata in Australia e poi negli Stati Uniti a che cosa servivano tutti quegli esami medici cui lei e le altre seguaci del Falun Gong erano sottoposte: «Allora non sapevo che molte di coloro che sparivano improvvisamente non venivano liberate, ma uccise per l’espianto di organi». Nel giugno dell’anno scorso un tribunale indipendente di Londra ha stimato in 90 mila i trapianti di organi effettuati ogni anno in Cina, con tempi di attesa incredibilmente breve di appena due settimane, e ha appurato che la maggior parte degli organi ancora oggi vengono espiantati dai detenuti senza il loro consenso, spesso appartenenti al Falun Gong.

«Sono riuscita a non diventare pazza durante le torture perché avevo giurato a me stessa che sarei uscita e avrei raccontato al mondo quello che succede in quelle carceri». Per farlo, però, Zeng ha dovuto scrivere interi saggi contro il Falun Gong ed è stata pure costretta a torturare altri prigionieri: «Il lavaggio del cervello era la parte più difficile da sopportare, mi hanno disumanizzata, hanno violentato il mio cervello».

Nel 2001, uscita dal campo di lavoro, è scappata in Australia, dove ha ottenuto l’asilo politico e nel 2011 si è trasferita negli Stati Uniti a New York, dopo aver pubblicato nel 2005 la sua storia in un libro dal titolo Witnessing history. 

Jennifer Zeng

La famiglia di Zeng vive ancora in Cina ed è per questo che appena sono uscite le prime notizie sull’epidemia di coronavirus si è interessata alla vicenda, innanzitutto come madre. Ma più leggeva i resoconti e le testimonianze di chi viveva a Wuhan, più si rendeva conto che «il Partito comunista stava mentendo al mondo». Così ha trasformato il suo blog e i suoi account social in una vera enciclopedia, trovandosi tra i primi a diffondere in Occidente notizie come quella di Li Wenliang, uno dei primi medici che denunciò l’epidemia in Cina e per questo fu zittito e perseguitato dal regime.

Quando la informiamo che in Italia molti giornali hanno elogiato il modello cinese risponde amara: «Voi non avete idea di che cosa sia il “modello cinese”. Se il governo non avesse censurato medici e stampa, tanti italiani non sarebbero morti per questo virus».

Perché dice così?

Il Partito comunista è così abituato a reprimere ogni forma di libertà pur di mantenere il potere che quando è scoppiata l’epidemia non ha pensato innanzitutto a come controllarla, per salvare la vita dei cinesi, ma a come nascondere le informazioni e mettere a tacere i medici. Una delle loro prime azioni è infatti stata l’arresto di otto dottori che avrebbero potuto mettere in cattiva luce il regime. Può sembrare assurdo, perché il virus non c’entra con la politica, ma questa è la natura del Partito: si è comportato allo stesso modo nel 2003, durante l’epidemia di Sars, e anche nel 2008, dopo il terribile terremoto del Sichuan. 

Se la reazione è stata “naturale” di che cosa si stupisce?

Questa volta sono andati oltre: di solito agiscono in modo progressivo, invece la repressione è stata durissima da subito. E il motivo è ovvio: a Wuhan c’è un laboratorio di biosicurezza di livello 4 dove sono stati creati molti virus simili e dove vengono studiati i coronavirus. La gente a Wuhan ha subito cominciato a domandarsi se non fosse stato compiuto qualche errore in quel laboratorio. E dopo che il governo ha chiuso il 12 gennaio il laboratorio di Shanghai che per primo ha rivelato al mondo la sequenza genetica del virus, tutti si sono chiesti: non avranno qualcosa da nascondere?

Anche lei se lo è chiesta?

Certo e personalmente sono convinta che qualche tragico errore è stato compiuto in quel laboratorio, anche perché nel mercato del pesce di Wuhan non si vendevano né pipistrelli né tantomeno pangolini. Ma non voglio concentrarmi su questo perché la Cina non è un paese democratico e probabilmente non sapremo mai la verità. Lo scandalo non è la possibile copertura dell’origine del virus.

E qual è allora?

Lo scandalo è che il governo, sapendo dell’epidemia, ha deciso per salvare la faccia di nasconderla lasciando che si diffondesse per circa un mese tra la popolazione. Avranno pensato: “Qualcuno morirà, ma almeno il regime sopravviverà”.

Non sta esagerando?

Perché? Il regime si è forse comportato in modo diverso a Piazza Tiananmen nel 1989? In un documento declassificato dall’archivio nazionale britannico nel 2016 vengono riportate queste parole dell’allora leader Deng Xiaoping un mese prima del massacro: «Duecento morti possono portare 20 anni di pace alla Cina». Il ragionamento è lo stesso: le vite umane non hanno valore per il Partito comunista, ecco perché hanno ucciso gli studenti a Tienanmen, ecco perché hanno permesso al virus di circolare per un mese. Questa è la natura malvagia del regime. Mi dispiace solo che questa volta abbiate dovuto pagare un duro prezzo anche voi italiani. Il vostro popolo non merita la perdita di così tante vite.

I morti in Italia sono il triplo di quelli in Cina.

Se dobbiamo credere al governo, sì.

Lei non ci crede?

Ho smesso da tempo di credere a quello che dice il governo, perché mente sempre. Lo ha fatto anche nel 2003 con la Sars. Per la prima settimana ho riportato le cifre ufficiali, poi ho smesso perché ho capito che erano una presa in giro.

Da che cosa lo ha capito?

Verso la fine di gennaio, prima che Pechino ammettesse che il virus si era già propagato in tutta la Cina, paesi come Thailandia, Giappone, Corea del Sud, Taiwan, Hong Kong, Stati Uniti ed Europa denunciavano i primi casi. E la gente in Cina ha cominciato a prendere in giro il governo dicendo: “Ma guarda che virus patriottico! Infetta i paesi stranieri e non le province cinesi”. E poi per giorni il numero di morti non aumentava, restava fermo a 41. Insomma, nel mondo reale non accade così. Già una settimana dopo l’inizio ufficiale dell’epidemia hanno cominciato a riportare numeri falsi.

Quali potrebbero essere quelli veri?

La gente ha cercato in ogni modo di scoprirlo. C’è chi ha analizzato il numero delle schede telefoniche attive a Wuhan, chi la capacità degli ospedali, chi quella dei crematori. Io ricordo bene all’inizio dell’epidemia che un funzionario di un crematorio ha dichiarato in un’intervista: «Oggi abbiamo bruciato 200 corpi e solo 40 provenivano dall’ospedale». Potenzialmente, dunque, in un solo giorno in un solo crematorio (su sette, ndr) sono state bruciate 160 persone probabilmente morte per coronavirus e non conteggiate dal governo. Possiamo solo provare a immaginare quanto fosse terribile la situazione a Wuhan. Il governo ha parlato di 2.500 morti, un numero ridicolo. Ma i giornalisti che hanno provato a indagare sono stati fatti sparire. 

Quali sono stati gli errori principali del governo cinese?

In parte l’ho detto: hanno aspettato un mese a dare l’allarme, hanno arrestato i medici che si erano accorti dell’epidemia, hanno negato camici e mascherine ai dottori per non “allarmare la gente” facendoli ammalare, hanno permesso agli abitanti di affollarsi negli ospedali minimizzando il virus e dicendo che non c’era trasmissione da uomo a uomo. La commissione di esperti che lo ha dichiarato, si è scoperto poi, non aveva neanche potuto parlare ai medici dell’ospedale di Wuhan. Il sindaco voleva parlare, ma non gli hanno dato il permesso. Poi, il 20 gennaio, non hanno più potuto nascondere la situazione e hanno “chiuso” Wuhan. Peccato che cinque milioni di persone avevano già lasciato la città per infettare tutto il paese.

Un vero disastro.

Sì, ma il disastro peggiore non è quello medico, bensì umanitario. Le persone provenienti da Wuhan o dall’Hubei appena arrivate in altre città sono state segregate in casa, in tanti hanno rischiato di morire di fame. Per la mancanza di posto in ospedale, molti si sono suicidati pur di non tornare a casa a infettare le proprie famiglie. Ci sono storie terribili, come quella di Yan Xiaowen. Questo ulteriore disastro non dipende dal virus, ma dal regime.

La Cina però è riuscita a rallentare l’epidemia.

Io non sono un medico o una scienziata, non so quindi se la strategia utilizzata dalla Cina sia la migliore o meno. Credo però che il modo migliore per gestire un’epidemia è dire la verità e lasciare che la gente sappia la verità. Se l’Italia avesse saputo quante persone sono davvero morte a Wuhan non avrebbe agito più prontamente? I governi europei hanno sottovalutato l’epidemia perché hanno creduto al Partito comunista. Ora anche voi, come me, avete imparato la lezione: mai credere al regime, perché non fanno niente per il bene della popolazione, ma solo per restare al potere.

Però Pechino ha inviato in Italia medici e mascherine.

Non lo fanno per aiutarvi, ma per corrompervi, perché dimentichiate di chi è la vera colpa di questa epidemia.

La propaganda di regime ha anche affermato che il virus era italiano. Perché?

Non certo perché qualche italiano o europeo ci creda. Loro diffondono queste notizie per intorpidire le acque e ingannare i cinesi, che non hanno libero accesso alle informazioni. Per lo stesso motivo hanno anche accusato gli Stati Uniti. Il regime è in seria difficoltà in questo momento: nessuno crede più al comunismo e per giustificare la propria permanenza al potere il Partito deve enumerare successi economici sempre più grandi. Ora però a causa dell’epidemia la crisi economica è fortissima e il governo, per autoassolversi, accusa i paesi stranieri. Ma la gente non si fida più ormai.

Però il virus è almeno stato eliminato in Cina.

Se si riferisce al Covid-19, forse. Ma è ora che anche voi capiate che il vero virus è il Partito comunista.

@LeoneGrotti

Foto Ansa

Tags: CinacomunismoCoronavirusfalun gongtempi aprile 2020wuhanxi jinping
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