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Chi vaneggia di Dat e fine vita non ha mai incontrato Gianni

Quest’anno Anna Micheli festeggia le nozze d’oro col marito che da 12 anni vive uno stato di "veglia non responsiva". Tra figli, amici e nipotini che giocano nell'Rsa lombarda, «ecco la storia della mia famiglia»

Anna Micheli
22/07/2019 - 2:00
Società
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Dopo la morte di Vincent Lambert abbiamo ricevuto questa testimonianza di Anna Anghileri, moglie di Gianni Micheli, ex consigliere del comune di Lecco che da più di 12 anni vive uno stato di veglia non responsiva (due dei quali trascorsi al secondo piano della casa di cura Beato Luigi Talamoni di Lecco, di fianco a Eluana Englaro). Quest’anno Anna e Gianni festeggiano le nozze d’oro. La sua testimonianza, lontanissima da quelle valorizzate dai giornali per introdurre il testamento biologico e invocare una legge sul fine vita ci riporta all’unica domanda possibile: chi giudica se una vita non merita di essere vissuta, soprattutto se è misteriosa quale quella delle persone come Gianni?

Sono più di 12 anni che mio marito Gianni si trova in stato di “veglia non responsiva”, per un arresto cardiaco. Un evento improvviso che ha sconvolto completamente la mia vita e la vita della nostra famiglia. Che dire di Gianni? Esponente della società civile lecchese, eletto consigliere comunale è stato per anni amministratore con varie deleghe. Nel 2007 era presidente della Compagnia delle Opere di Lecco e provincia e componente della giunta della Camera di Commercio della città. Quell’anno, in un attimo, tutto è cambiato.

Quando mi chiedono cosa sia accaduto in quell’attimo rispondo solo: mi ha come scorticata viva, messa in ginocchio, svuotato, spogliata di ogni sicurezza. Mi sono sentita mendicante. Abbiamo quattro figli e all’epoca tre di loro erano sposati, il più piccolo aveva 18 anni. Ma si è mai abbastanza grandi per stare di fronte a un padre a cui si ferma il cuore? La risposta è in una storia. La storia della nostra famiglia e dell’abbraccio, potentissimo, in cui i figli ci hanno stretti, sentendo forte il tutt’uno tra padre e madre. Nelle situazioni si fa esperienza che la vita non è “un sogno” e le sfide che si incontrano nel tempo fanno emergere il senso che hai dato al tuo esistere, che quello che capita non è una tragedia ma sono drammi da affrontare perché sono la tua storia. Ciascuno ha la sua storia, e questa è la nostra.

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LA NOSTRA SECONDA CASA

È incredibile come scopri che il compagno della tua vita sia dentro di te, e il tuo io è un “io” che comprende anche lui, è un tutt’uno:  un  “io” e un “tu” inscindibili che nella normalità non riesci a rilevare, perché lui è sempre davanti a te nella sua statura, fuori di te. Gianni oggi c’è, è presente, anzi è una presenza più forte di prima. È un richiamo costante che la vita non te la dai da te, ma appartieni a un Altro con la A maiuscola, che ti fa in ogni istante. È un esperienza fisica, laica: ti senti “custode” di tuo marito, custode di una vita che è anche la tua vita. L’unica cosa che puoi fare è fare compagnia, e il reparto in cui Gianni vive è diventato la nostra seconda casa, una stanza di casa.

Qui non ci sono “gli stati vegetativi” ma c’è Luca, Angelo, Maria: persone con famiglie alle spalle e ciascuno ha la sua peculiarità, la sua personalità, ciascuno è diverso. Ciascuno è se stesso. Occorre parlare di persone e non di categorie perché altrimenti scompare la persona per lasciare il posto alla categoria e viene tolto il vissuto della persona, di ogni singola persona, mentre ogni persona è unica.

VENITE A TROVARE MIO MARITO

Nel reparto di mio marito il personale dedicato riconosce ogni singola persona dal modo in cui tossisce o respira. E di fronte al letto, alla carrozzina di ciascuno,  non puoi non interrogarti sulla tua vita, sul senso della tua vita, perché è evidente il limite e la fragilità di ciascuno di noi. Io invito sempre quanti mi chiedono di Gianni, di venirlo a trovare, perché occorre veramente stare davanti a lui, al mistero di queste condizioni, per rendersi conto di cosa si parla, per vedere che la persona c’è ed è presente come non mai. Anzi non puoi proprio fare a meno di dire che c’è e che anche tu dipendi istante per istante da un altro che ti fa. Non vuol dire che la vita torna ad essere “normale” come tradizionalmente si considera la normalità, ma che sia una vita degna di essere vissuta, assolutamente sì.

GIANNI C’È, LO SANNO ANCHE I BAMBINI

Per pochissime persone che platealmente con forti campagne mediatiche conducono battaglie per il fine vita e vengono invitate in numerose trasmissioni televisive, ci sono nella realtà centinaia di persone invisibili che vivono il problema con animo opposto, che si scandalizzano di come viene presentata la situazione. Ci sono associazioni che, ancora con difficoltà, da anni si battono per una cultura delle differenze, per una normalità che tenga conto delle diverse abilità o più semplicemente dell’handicap. Ci sono decine di testimonianze di famiglie con una vita impegnativa ma comunque che ritengono speciale e preziosa, irrinunciabile, valida e ricca per ciascun membro. E questo lo capiscono anche i bambini: guardo i nostri nipoti che vengono a trovare Gianni e lo salutano, lo accarezzano. Lui c’è, è presente. È il loro nonno. E il loro nonno dorme. Nel reparto si crea una nuova famiglia, si beve insieme un caffè, una tazza di the, si festeggiano compleanni, ricorrenze, si condivide il dolore che non è mai sopito, si condividono le ansie, le aspettative, il quotidiano.

E benché non trovino spazio sui giornali esiste tutto un pullulare di associazioni di famigliari di persone in stato vegetativo che si danno da fare, promuovono nuovi modelli di assistenza, chiedono alle istituzioni un riconoscimento uguale in tutte le regioni, ci sono incontri, conferenze, seminari. Ogni anno a febbraio c’è la ”Giornata degli stati vegetativi” e ogni ottobre la “Giornata nazionale dei risvegli per la ricerca sul coma – Vale la pena”, giunta in Italia alla ventesima edizione e alla terza edizione da quando è diventata “Giornata europea dei risvegli”. Con azioni congiunte tra parecchi paesi aderenti si dibattono temi sociali uniti a quelli clinici della ricerca e dell’alleanza terapeutica tra professionisti della sanità, operatori non sanitari, familiari e volontari. Il tutto viene ignorato completamente  dai media.

LA NECESSITÀ DELL’AMICIZIA

Mio marito come le persone in questa situazione, a differenza di come vengono mostrate in tv, non sono attaccate ad alcuna macchina, non sono né ammalati né in fine vita, le loro funzioni vitali sono stabili, necessitano solo di cure base, mangiare e bere come tutti noi. Mangiare e bere: ci vuole una bella faccia tosta a chiamare questo “accanimento”. La verità è che qui non si è mai riscontrato nessun accanimento terapeutico: chi invoca una fine “dignitosa a situazioni drammatiche” è nemico della verità, non vuole riconoscere che il dramma consiste nella possibilità che i famigliari  abbiano il sostegno, la compagnia, la vicinanza di parenti e amici che aiutino ad affrontare ciascuna sfida quotidiana. Solo la compagnia degli amici aiuta ad affrontare con più serenità il quotidiano. L’amicizia è indispensabile. La relazione è indispensabile all’uomo per esistere ed avere consapevolezza di sé. Noi non siamo degli esseri solitari, ma degli esseri in relazione. Viviamo in relazione, nasciamo da una relazione, cresciamo in relazione, la nostra vita si fa più grande nell’incontro con gli altri. E quello che sta accadendo in Italia e non solo, è un attacco all’uomo, alla relazione.

Ci sono centinaia di persone, credenti e non, che nel silenzio accompagnano i loro cari e sono ben contente che ci siano, e sono esterrefatte, impaurite da come viene trattato il problema, sbalordite dal fatto che idratazione e nutrizione possano essere considerate alla stregua di farmaci, con la possibilità che ritenuti accanimento, vengano tolti.

LA GRATUITÀ IN LOMBARDIA

Diciamolo chiaramente: non in tutta Italia esiste la possibilità di assistenza e aiuto che c’è in Lombardia e poche altre regioni. In Lombardia, grazie a una legge dell’allora governatore Formigoni e sollecitata da chi da anni ne vedeva il bisogno, l’assistenza in reparti dedicati nelle RSA è gratuita. Ma nella maggior parte delle regioni italiane non è così: nonostante le sollecitazioni di medici, associazioni di famigliari, le persone si riducono allo stremo. Sembra che dare il dovuto riconoscimento all’assistenza non sia un dovere delle istituzioni: ma la civiltà di uno stato non si dovrebbe misurare sulla capacità di farsi carico dei più fragili, dei disabili? Sarebbe auspicabile la creazione di strutture di nuova accoglienza all’interno di un’alleanza terapeutica che invitasse i medici a farsi partecipi della “famiglia”.

Quante volte ho sentito dire: «Queste vite che senso hanno, chissà come soffrono». Senza entrare nel merito della ricerca scientifica, che sempre più sta acquisendo dati e risposte su queste situazioni, io che vivo accanto a mio marito posso assicurare che i momenti di sofferenza si colgono e riconoscono: perché cambia l’espressione del viso, Gianni si irrigidisce, ma di norma il suo viso trasmette pace, serenità, tranquillità, come il suo corpo. Chi siamo noi per dire che questa vita non è degna di essere vissuta?

CINQUANT’ANNI DI MATRIMONIO

Con la rivoluzione della neuroscienza è una evidenza ormai che il cervello è in continua trasformazione. Mio marito a distanza di anni dall’arresto cardiaco adesso percepisce il dolore fisico quando c’è, mentre prima non lo sentiva, e chi lo sa cos’altro? In questo reparto si patisce come i “sani”, ma il dolore  si supera, mentre non c’è anestetico alla vita. Quest’anno ricorre il 50esimo anniversario delle nostre nozze e con altre quattro coppie, amici di gioventù, che si sono sposate nel nostro stesso anno festeggeremo questa ricorrenza con una santa Messa celebrata da sua eminenza il cardinale Angelo Scola presso la Chiesa dell’Istituto dove adesso Gianni vive, così potrà essere presente anche lui in carrozzina. Molti parenti e amici festeggeranno con noi. Vogliamo celebrare la vita. Questa è la nostra storia.

Quanto alla legge sulle Dat, approvata in tutta fretta, questa privilegia il diritto personale di scegliere a che cure sottoporsi rispetto all’obbligo di tutelare comunque la vita. Pone il malato in una posizione centrale, mentre il medico retrocede in una posizione subalterna, avendo il solo obbligo di rispettare la scelta del paziente. Lo ribadirò fino allo stremo: il fatto che che nutrizione e idratazione, mangiare e bere sia considerato terapia in mancanza di cucchiaio e bicchiere, è una ipocrisia inverosimile. Considerarli farmaci e quindi rimuoverli, come è accaduto a Vincent Lambert in Francia, è eutanasia. La morte di stenti, con l’ipocrisia della sedazione. E perché una persona che trova tutto ciò auspicabile nel momento in cui è sana e nel pieno di ogni sua facoltà mentale fisica non potrebbe cambiare idea? Abbiamo tanti esempi di persone che trovandosi poi in situazioni di malattia si sono attaccati alla vita.

DIECI ANNI DOPO ELUANA

Sono passati dieci anni dalla morte di Eluana Englaro. Era nella stanza accanto a Gianni quando era alla Clinica Talamoni e ci ha lasciato addolorati e sgomenti come la sua vita sia stata sacrificata. Tutto era stato pianificato nei minimi dettagli dai sostenitori  dell’eutanasia, come ben dettagliatamente descrive Eugenia Roccella nel suo libro Eluana non deve morire. A nulla sono valsi gli appelli delle suore, i tanti ricorsi fatti in varie sedi anche da tante associazioni della società civile di diverso orientamento, alcune notoriamente vicine alla sinistra. Tutto è stato scientemente calcolato e pianificato per arrivare alla soluzione finale. Ma come dice bene una canzone di Claudio Chieffo: «Quando noi vedremo tutto, quando tutto sarà chiaro, pensa un po’ che risate, che paure sfatate…».

Tags: eluana englaroEutanasialeccoRoberto Formigonivincent lambert
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