Che cosa c’entra salvare gli alberi con Cristo (e con la scuola di don Villa)

Di Andrea Maroè
09 Gennaio 2020
Oggi che il mio lavoro è “salvare le foreste e il nostro pianeta”, conservo la domanda nata in me 40 anni fa, quando, ancora ragazzino, mi alzavo presto e correvo alla scuola di don Villa a dire le lodi
Visita del cardinal Colombo alla scuola Mons Camillo Di Gaspero di Tarcento

Pubblichiamo la testimonianza scritta da Andrea Maroè, ex alunno della scuola paritaria “Mons. Camillo Di Gaspero” di Tarcento (Udine), in risposta a un biglietto di don Antonio Villa, fondatore e direttore dell’istituto, grande amico di Tempi, ben noto ai nostri lettori.

Qui la storia di don Villa, qui la storia della scuola da lui fondata e qui un altro bel racconto di Andrea Maroè, pubblicato in occasione del quarantennale della Camillo Di Gaspero.

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A volte mi chiedo cosa c’entri scalare gli alberi con Dio.

Già perché scalare gli alberi, misurarli, difenderli, curarli è il mio mestiere da oltre 30 anni. Ho girato il mondo per conoscere nuove specie di alberi, ho incontrato popoli e religioni diverse, sciamani, stregoni, religioni animiste ma soprattutto persone che amavano la vita e il posto in cui Dio le aveva immerse e la Natura che le circondava.

Ho sempre pensato che lassù, tra i rami più alti, ero un po’ più vicino a Dio e nel silenzio potevo quasi stringergli la mano. Ma questo era ancora facile.

Sono nato ciellino. Nella scuola di don Antonio Villa, che mi ha insegnato che Cristo si incontra nell’uomo. Ma io negli uomini incontravo il desiderio di Vita e la voglia di salvare la loro terra. Per anni, assieme ad altre famiglie (più o meno disastrate, tanto che ci chiamavamo bonariamente tra noi “associazione famiglie diversamente stabili”) abbiamo cercato di costruire per i nostri figli un futuro degno, lavorando assieme a loro per costruire un posto, quello che abbiamo chiamato “La Tana”, dove potessero incontrare un’umanità diversa, un affetto alla loro vita, attraverso il semplice stare assieme, imparando a costruire tavole, panchine, tettoie, a gestire animali, a fare recinti, dove fosse più facile incontrarsi e condividere fianco a fianco momenti di fatica, di gioia, di dolore, nei contorni della semplicità e libertà di ognuno.

La scuola paritaria Mons Camillo Di Gaspero a Tarcento (Udine)

Il mio lavoro mi ha pian piano portato a costruire una Fondazione che si occupa di alberi, la Giant Trees Foundation onlus, e in questo periodo, dove la sensibilità verso le foreste e gli alberi è aumentata a dismisura, sembra quasi che l’abbiamo fatta nascere apposta. Invece è nata dal cammino di una vita intera.

Abbiamo tantissimi progetti e idee, continuiamo a lavorare incessantemente per “salvare le foreste e il nostro pianeta”, ma la domanda sotto sotto rimane: cosa c’entra tutto questo mio “fare” con Gesù Cristo?

L’altro giorno mi arriva un messaggio dal don Villa che non vedevo da molto:

«Caro Andrea, mi arriva l’eco degli applausi che ti hanno tributato anche personalità di tutto il mondo. Non mi ha meravigliato perché ti ho sempre considerato il perfetto ex alunno. Ancora un po’ anticristo ma capace di cogliere e di vivere nel profondo il tormento di essere uomo. Ti aspetto ai piedi degli alberi!».

Sono rimasto assolutamente stupito. Di più di quando, immerso nella foresta amazzonica, mi è giunto il messaggio che l’Università di Udine mi aveva dato un premio alla carriera. “Ma come”, avevo pensato, “vent’anni fa ho abbandonato la carriera universitaria e loro mi premiano? Sarà uno scherzo”. Invece era vero.

Ora anche questo messaggio del Villa mi sembrava uno scherzo: “Ma come, non vado più a scuola di comunità da anni e lavoro sugli alberi senza riuscire a capire cosa c’entrino col cristianesimo e soprattutto cosa c’entri ora Cristo con la mia vita, e il don Villa mi scrive così?”.

Ricordo che ero seduto davanti al tavolone della Tana, dove ogni venerdì ci incontriamo, parliamo, mangiamo assieme, e a volte vengono degli amici a fare il “fervorino”, che vuol dire leggerci un messaggio del Papa o di Carrón per farci riflettere. Anche di loro non ho mai capito la fedeltà. Che cosa ci trovassero nel nostro gruppo sgangherato, in quell’accozzaglia spesso burrascosa e strana di persone che semplicemente si trovavano per vivere assieme alcuni momenti della vita insieme. E ho riguardato il lungo tavolone, con le sue panche, la semplicità della cucina, costruita da noi, con i suoi cassettoni storti, le sue pignatte ammaccate, un posto dove chi viene si sente sempre, stranamente, a suo agio. Mi son ricordato di quando, ancora ragazzino, mi alzavo presto e correvo alla scuola di don Villa a dire le lodi al mattino, nel salone della cucina dove si radunavano gli insegnanti per fare colazione e pregare. Allora era un momento di una importanza assoluta per me al quale non potevo mancare.

Ho riguardato il tavolone della Tana, la cucina. Era quasi la trasposizione, 40 anni dopo, di quell’evento. Di quel momento. Che di certo aveva segnato indelebilmente la mia vita.

Ho visto seduti ai tavoli tutti quelli che, nel tempo, erano passati, con cui per una sera, o per anni, avevamo incrociato lo sguardo, con sincerità, nella semplice accoglienza umana di un abbraccio e nello scambio di una minestra. Ho ricordato di quanto fosse stato per me importante condividere i pasti, le colazioni, le cene, con don Villa e i suoi insegnanti.

Forse non occorre parlare di Cristo. Forse a volte non serve. Attraverso lo sguardo buono di qualcuno che semplicemente ti accoglie Lui si infiltra nella tua vita. E colora da sempre per me i tavoli della Tana e gli alberi della foresta.

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