C’è del buono nella riforma dei programmi voluta da Valditara

Di Pino Suriano
25 Gennaio 2025
Nell’idea del ministro c’è qualcosa di più della conservazione identitaria. Chi è Loredana Perla, la coordinatrice della Commissione, che concepisce l’istruzione come «luogo dell’incanto»
Il ministro dell’istruzione Giuseppe Valditara (foto Ansa)
Il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara (foto Ansa)

Si discute da giorni, e con una certa intensità, delle nuove “Indicazioni nazionali per la scuola primaria e secondaria di primo grado”. Il testo non è ancora noto, ma sono bastate alcune anticipazioni del ministro Valditara per stimolare un vasto dibattito pubblico, nel quale, come spesso accade in Italia, hanno conquistato la scena proprio gli aspetti meno rilevanti.

Il latino alle medie, per esempio – che diviene curriculare ma pur sempre facoltativo, come già accade in tante scuole – è una sostanziale “falsa novità”, della quale si è parlato fin troppo.

Si è parlato troppo poco, invece, di altre più concrete novità, come l’introduzione della letteratura dell’infanzia sin dalla Primaria; la separazione di quest’ultima dallo studio della lingua e della grammatica (che viene così valorizzata, a sua volta, come introduzione al senso delle regole); l’incremento di arte e musica, come occasioni di sviluppo culturale e spirituale della persona; l’esplicitazione più chiara, rispetto alle precedenti indicazioni, dei contenuti rispetto alle competenze; una maggiore centralità della storia italiana ed europea.

Questi elementi lasciano cogliere un’idea di fondo, che si può certo definire conservatrice (non è una brutta parola!), perché intende riconoscere valore e trasmissione stabile a un patrimonio umanistico che alla scuola (e a chi se no?) si chiede di non disperdere, proprio a fronte delle continue trasformazioni imposte dallo sviluppo tecnologico.

Leggi anche

Troppe semplificazioni

Naturalmente, le opposizioni politiche e intellettuali non hanno perso occasione per denunciare con veemenza il ritorno al passato, alla bacchetta sulle dita e a un certo entusiasmo nostalgico che vorrebbe sacrificare anni di sforzi inclusivi sull’altare della qualità e del merito. D’altra parte, anche nella maggioranza, la spinta a cavalcare l’onda c’è tutta: il richiamo a serietà, rigore e sostanza, contro una supposta inconsistente liquidità insegnata fino a oggi, è un format che funziona parecchio nel marketing politico di oggi, e non solo in Italia.

E così, da una parte e dall’altra, si stanno moltiplicando le più banali semplificazioni, come il brutto meme diffuso nei giorni scorsi dai social di Fratelli d’Italia, che contrappone lo studio del latino allo schwa con lo slogan “la scuola come la vogliamo noi e come la vorrebbero loro”. Tutto buono per le tifoserie politiche, perlomeno inutile per chi, insegnanti e dirigenti, avrà il compito di dare attuazione concreta a queste indicazioni.

(Ansa)
(Ansa)

Chi è Loredana Perla

E del resto sarebbe un peccato fermarsi alle semplificazioni, anche perché, dietro alla proposta complessiva, c’è una visione. Condivisibile o meno, ma c’è. È un dettaglio non irrilevante, per provare a coglierla, il background della professoressa Loredana Perla, la studiosa che Valditara ha scelto l’anno scorso per coordinare la Commissione di revisione delle Indicazioni e armonizzare gli obiettivi dei diversi gruppi di lavoro coordinati, tra gli altri, da figure del calibro di Ernesto Galli della Loggia, Claudio Giunta, Uto Ughi, Andrea Balbo e Claudio Marazzini.

Ordinario di Didattica e Pedagogia speciale all’Università di Bari, Perla è una pedagogista di formazione cattolica, con una visione legata al personalismo di Emmanuel Mounier. Non servirebbero, e anzi distrarrebbero, queste “etichette”, se non si cogliesse una certa loro coerenza con le prime anticipazioni emerse. Ho potuto conoscere la sua visione in diverse conversazioni e interviste, una delle quali in pubblico.

La scuola ha perso la propria identità – è il suo pensiero – perché ha inseguito troppo ciò che è fuori da sé. Sopraffatta dal paradigma della continuità tra scuola e società, si è ritrovata a inseguire i modelli di progresso sociale, non a orientarli.

«Per salvarsi – si legge in una sua intervista dei mesi scorsi – la scuola dovrebbe isolarsi dalla società, creare un costante altro rispetto a ciò che succede fuori da sé. L’esperienza scolastica, perciò, non può essere funzionale a ciò che chiede il mercato, la scuola è il luogo dell’otium, il luogo dell’incanto, come scrive Maria Zambrano».

C’è dietro l’idea, nobile, dell’educazione come esposizione alle cose belle, che non devono essere per forza anche “utili”. In questa cornice si leggono con maggior chiarezza gli stimoli all’arte e alla musica sin da bambini, ma anche alla Bibbia e alle poesie a memoria.

Leggi anche

Intellettuali “gramsciani”?

C’è però da dire che il bello non basta. È necessario che le cose belle siano anche significative, per educare, e cioè si possa coglierne il nesso con l’esistenza di chi apprende e di chi insegna. «Imparare le poesie a memoria può far bene – ha scritto Davide Rondoni su Avvenire – imparare le poesie a memoria può far male». Possono aprire alla scoperta di sé, o ridursi a un’insensata imposizione: a seconda di chi le propone, e soprattutto del perché.

Qui si pone la questione fondamentale. A chi è affidato questo grande compito? Chi sono, oggi, gli insegnanti? E come si percepiscono? Come gli “intellettuali” a cui Gramsci delegava un compito immane di trasformazione sociale e culturale? O come un immenso stuolo di impiegati pubblici malpagati, non riconosciuti e spesso sovraccarichi?

“Archiviare”, “verbalizzare”, “sistemare le carte”, “assicurarsi le valutazioni”, come fossero proprie, sono i verbi che si trovano più spesso sulla loro bocca. L’otium di cui parla la Perla, si può starne certi, non è in cima, né in coda, alla lista dei loro pensieri.

Il coraggio di perdere tempo

Non è, ovviamente, questione di qualità e preparazione dei singoli (anche chi scrive è insegnante) ma di sistema. L’attività dei docenti è soggetta a controllo, non a valutazione, né valorizzazione.

Il rischio che le nuove indicazioni non siano altro che una spunta in più da aggiungere, è molto alto. E già immaginiamo che la maggior chiarezza sugli argomenti si potrà tradurre in una maggiore ansia nella corsa a “finire il programma”.

Eppure, questa estate, in un incontro pubblico, Loredana Perla ha detto una cosa bellissima a un gruppo di docenti in ascolto: «Non abbiate paura di perdere tempo». Non era un invito allo spreco, ma a offrire il giusto tempo affinché le proposte culturali a scuola si possano conoscere, gustare, depositare lentamente. Ci vuole coraggio per perdere tempo, donarlo agli altri e donarlo a sé.

Articoli correlati

1 commento

  1. Fernanda Dubini

    Programma ottimo, il problema è la formazione degli insegnanti come rilevato anche nell’ articolo