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Caso Tramontano. «Il voyeurismo esasperato è il contrario della buona informazione»

Il terribile caso della ragazza incinta uccisa dal fidanzato ci viene raccontato in tutti i suoi dettagli, anche quelli morbosi e futili. Intervista al professore Ruben Razzante, esperto di privacy

Peppe Rinaldi
07/06/2023 - 6:00
Interni
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Alessandro Impagnatiello e Giulia Tramontano (Ansa)
Alessandro Impagnatiello e Giulia Tramontano (Ansa)

Mancano radiografie, Tac e analisi del sangue dei protagonisti, vivi o morti che siano. Sul caso dell’omicidio di Giulia Tramontano, la stampa non si sta risparmiando nulla sul caso della giovane donna incinta di sette mesi uccisa brutalmente dal fidanzato. Un esempio, su tutti, sono le chat delle conversazioni WhatsApp della ragazza mandate in onda sulla rete cosiddetta ammiraglia della televisione pubblica. Insomma, anche il meno attento e sensibile a certe situazione si accorge che qualcosa non va, nel merito e nel metodo.

Tempi ne ha parlato con il professor Ruben Razzante, docente di Diritto dell’informazione all’Università cattolica di Milano, uno dei maggiori esperti in materia di privacy e di rapporto tra diritto, diritti e sistema mediatico.

Professor Razzante, avrà notato come i media generalisti stanno trattando la vicenda di Giulia Tramontano…

Impossibile non notarlo.

Appunto, da dove cominciamo?

Ci troviamo dinanzi all’ennesima brutta pagina del giornalismo di cronaca nera, un sistema che sfrutta la curiosità morbosa della stragrande maggioranza degli italiani per finalità di audience, violando la privacy delle persone anche quando queste non ci sono più, o anche la privacy di un detenuto, venendo meno al requisito essenziale dell’informazione.

A cosa si riferisce?

All’essenzialità dell’informazione. Vengono pubblicati da giorni tutti i particolari di questa storia senza che essi aggiungano o riducano nulla, tantomeno il dolore dei familiari di Giulia o di altri coinvolti da questa brutta faccenda. Si tratta di un accanimento stucchevole che ha poco a che fare col giornalismo.

Lei pensa che questa piega presa dai media sia reversibile o no?

Io sono sempre ottimista, credo che sia possibile un cambio di passo, ma solo nella misura in cui ci sia la volontà di editori e giornalisti di cominciare a rispettare i criteri di base del mestiere. Penso ai giornalisti, ma anche agli altri attori del settore, gli editori e i broadcaster, che devono darsi delle regole anche quando ci sono programmi non condotti da giornalisti.

Che significa “non condotti dai giornalisti”?

Le spiego: le norme che disciplinano il settore, come la tutela della privacy e il rispetto della deontologia, con tutto ciò che questo significa, non sono state pensate soltanto per i giornalisti iscritti all’albo, ma sono state dettate per la programmazione televisiva. C’è un contratto Rai, ad esempio, che sta per essere rinnovato e che prevede il rispetto di tutti questi principi.

Ne vogliamo ricordare qualcuno?

Il rispetto della dignità umana, della riservatezza, dell’intimità, oltre ad altri sanciti da ulteriori leggi in materia. Ogni cinque anni questo contratto Rai si rinnova e va adeguato inderogabilmente ai principi accennati. Vale anche per le televisioni private, naturalmente. In realtà, credo che ci sia una tendenza ad ignorare questi documenti una volta emanati, ma, come le dicevo, sono ottimista e credo che si arriverà a fissare dei punti fermi. Ad esempio, nel caso osservato in queste ore, ci sarà un processo; questa persona dovrà difendersi dalle accuse, è già in carcere, non può danneggiare altre persone: non vedo cosa altro ci sia da aggiungere alla vicenda. Il voyeurismo esasperato è il contrario della buona informazione.

Noi italiani tendiamo spesso all’autocommiserazione o all’autoindulgenza: in base alla sua esperienza come giudica il nostro modo di rapportarci a questi problemi rispetto a quanto avviene in altri Paesi? 

Lo scandalismo e la spettacolarizzazione dell’informazione è un unicum del nostro paese. In altri Stati esistono testate scandalistiche che si occupano di vicende di un certo tipo, e vanno avanti a parlarne anche quando la notizia è venuta meno. Ma l’informazione generalista non è così malata, così morbosa come quella italiana. Non è pensabile, ad esempio, che una casalinga che trascorre dieci ore al giorno dinanzi al televisore, per otto ore senta parlare di un omicidio, per quanto efferato ed atroce, in ogni suo dettaglio e particolare. Casi dinanzi ai quali possiamo solo rimanere sbigottiti, esterrefatti, senza poter fare altro. Credo in buona sostanza che all’estero ci sia più rispetto della dignità delle persone coinvolte in fatti di cronaca nera.

È auspicabile un ulteriore intervento legislativo o sono sufficienti gli strumenti che abbiamo a disposizione?

Penso che qualche intervento in più da parte dell’Ordine nazionale dei giornalisti e dell’Agcom, che peraltro già fanno molto, sia auspicabile: ripeto, già fanno tanto ma facciano ancora di più in termini di moral suasion per richiamare giornalisti, non giornalisti e tutti gli operatori dell’intrattenimento. Il silenzio favorisce questi abusi.

Tags: cronacagiornalismoprivacyrai
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