“Qui la nostra – come dire? – il nostro ripercorrere le tappe ci porta invece in discesa. Io la chiamerei una discesa all’inferno. Però mi rendo conto che forse il tono così è un po’ enfatico, ma non cambio le parole. La signora va in questo centro, che si chiama CBM, che potrebbe essere Centro Benemeriti della Manovalanza oppure Centro del Bambino Maltrattato. Ma comunque va bene, sarebbe andata comunque, aveva un’indicazione così precisa. E chiede una psicologa. Perché di questo ha bisogno, lei ha bisogno di qualcuno che traduca delle espressioni per lei incomprensibili di una bambina, il cui quadro è di grande serenità e allegria. Insomma, inconcepibile con quel sospetto che alberga dentro di lei. […] Ora, io ho una difficoltà come Pubblico Ministero abituato a fare le indagini in un certo modo, proprio una difficoltà umana a trangugiare l’incontro fra la signora C e la signora Marchese. Forse dottoressa. Signora, comunque signora va bene per tutte le stagioni. E la signora Marchese prima la fa parlare, non le dice esattamente che qualifica ha. Poi la signora dice: ‘Ma io voglio una psicologa’. E questa sostanzialmente dice: ‘Ma vado bene io lo stesso’. La induce a parlare, la rassicura, le fa dire… la signora che cosa dice? Quello che ha riferito qua: la bambina diceva delle parolacce, io l’ho interrogata e la bambina mi ha detto: ‘Il papà mi tocca con il pisello’. I fatti sono gravi – la signora – sono gravi, i fatti sono gravi certamente, certo. E comincia a darle delle precise indicazioni comportamentali. ‘Adesso lei va a casa, tace, non dice una parola, non faccia cenno di questo incontro, non dica niente a suo marito, come se niente fosse, stia all’occhio’. Salvo poi ricontattare la signora in un successivo contatto e farle presente che a questo punto, al di là di ogni minima — minima — verifica, non soltanto sulla portata delle dichiarazioni della bambina ma nemmeno dell’esistenza delle dichiarazioni della bambina, la mette di fronte a quello che è un vero e proprio out out. ‘O denunci tu o denunciamo noi e ti portiamo via la bambina’.
Abuso di atti d’ufficio
Io lo potrei dire alla fine, ma lo dico adesso, io chiederò la trasmissione degli atti al mio Ufficio. Senza indicazione precisa perché questa sedicente signora Marchese in verità non è mai stata identificata da nessuno, quindi che sia un nome di fantasia o un nome d’arte non lo sappiamo, probabilmente c’è. Perché vorrei con maggior calma e maggior consapevolezza che l’Ufficio della Procura della Repubblica valutasse attentamente se nei comportamenti posti in essere dalla signora Marchese o da altri soggetti da lei indirizzati o a cui lei poteva fare riferimento da parte del CBM non vi siano, o per la qualità di pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio, episodi di abuso in atti d’ufficio, o addirittura, se questa qualifica non c’è, non vi siano episodi di violenza privata. […] Fra le varie domande ce n’è una che mi ha colpito particolarmente, laddove la Dottoressa De Bellis, più esperta dell’Ispettore Fraboni, instaura una sorta di drammatizzazione del fatto e dice: ‘Ma dimmi dove ti ha toccato con il pisello’. Già, voglio dire, se fosse una domanda fatta al processo mi si dice di non farla perché è suggestiva. Ma, insomma, qui o qui, indicando con le mani la spalla, eccetera. E la bambina risponde, qui e qui. […] Quattro volte viene sentita la bambina: la prima volta non dice niente, la seconda e la terza fa affermazioni a parere di questo Pubblico Ministero molto guidate. E la quarta volta si chiude come una noce e non dice più una parola. Parola che non pronuncerà mai più. Mai più intervistata, psicanalizzata, sottoposta a terapie, internata, sentita da un G.i.p.. Mai più. Non pronuncerà più nessun riferimento che abbia un carattere sessuale. Allora l’impianto accusatorio si regge su queste invece due dichiarazioni, di cui abbiamo verbale, sono negli atti processuali. E’ tutto lì. Carta straccia. Carta straccia, con dolore e con sgomento. Così come sono non sono utilizzabili. Il sistema in cui sono state raccolte è talmente privo di caratteristiche che deve avere l’intervista a un bambino da non potere essere utilizzata. […] Così non è stata registrata la conversazione della bambina, non è stata videoregistrata, non c’è stata nessuna forma di protezione. Abbiamo, da quello che ci riferisce l’Ispettore Fraboni, un ispettore di fresca nomina e una vecchia lenza degli abusi sui minori — quindi che ne ha visti tantissimi, per carità! —che in una stanza della Questura — quindi il setting già… — in quindici minuti la prima volta, venti minuti la seconda volta, hanno acquisito dichiarazioni fondamentali.
La solita ineffabile consulente
Ora io, non so… Non ho parole. Nessuno può avere parole. […] Gli atti finiscono in Procura della Repubblica, e il collega che fa le indagini fa quello che si fa normalmente in questi casi, cioè […] dando la consulenza alla Dottoressa Maggioni. — Io non le darò mai una consulenza. — Ma, voglio dire, diciamo che non ha dato la sensazione di essere particolarmente ferrata sull’argomento, possiamo così dire. E non perché l’impressione è stata veramente di una persona che si arrampicava sui vetri stamattina, e quello voglio dire l’emozione. Certo, una che fa 358 consulenze in nove anni magari, insomma, un po’ meno emozionata poteva essere. […] Ma, voglio dire, perché ha detto delle cose palesemente inesatte. Ma non perché lo dico io. Io non so neanche come è fatto un imene, il mio non l’ho mai visto, quello degli altri… Non faccio questi processi. Ma perché vi è una amplisisma documentazione, fotografica questa volta, quindi qualche cosa che reggerà fino in Cassazione, che contraddice in una maniera così totale le dichiarazioni della dottoressa Maggioni, che ci viene da chiederci se sia una totale incompetente o se sia una persona in malafede. Se io dovessi pensare che è una persona in malafede dovrei chiedere la trasmissione degli atti per falsa perizia. Io non ho elementi per farlo. Mi sgomenta la superficialità: non c’è una fotografia, non c’è una documentazione… Ma io non lo so, il concetto di atto irripetibile non è un concetto solo fisico di irripetibilità dell’atto, è anche un concetto soggettivo. Ma quando mai può essere considerata ripetibile un’indagine ginecologica su una bambina di 3 anni? Cos’è, gliene facciamo venti finché siamo tutti soddisfatti? […] Perché qui, insomma, voglio dire, questo è un processo penale, non è mica l’Asilo Mariuccia! Perché a un certo punto le consulenze le facciamo senza macchina fotografica perché non c’è la macchina fotografica, e sentiamo i minori senza registratore perché… Sono tutti bravi, tutti buoni, tutti animati dalla volontà di difendere i minori, non creano però nessuna minima struttura perché questa difesa sia poi efficacemente attuata; ad esempio punendo veramente i colpevoli di atti di abuso. Per cui la signora Maggioni crede evidentemente di esser in grado di sostenere con la sua semplice parola tutto quello che lei ha ritenuto di valutare, non fotografa, non documenta in maniera da permettere una valutazione ulteriore, e conseguentemente noi abbiamo la parola della signora Maggioni. Parola così smentita, ma non dal consulente di Parte, persona sicuramente che ha dimostrato competenza e lucidità ineffabile, ma dai periti del Giudice. Che, se vogliamo sfrondare di una certa cortesia fra colleghi che manifestano nello scrivere le loro valutazioni, trattano la Dottoressa Maggioni e in secondo luogo il Dottor Bruni da incompetenti, negligenti, superficiali. […] Comunque sia, la Dottoressa Maggioni, in questo suo altalenante fra colpevolismo e innocentismo, dice sostanzialmente ‘non posso dire niente’. È compatibile con l’abuso tutto, ce l’ha detto stamattina, non c’è niente che sia incompatibile con l’abuso. E conseguentemente noi prendiamo la perizia della signora Maggioni – mi spiace per l’Erario che le ha pagato la consulenza, Erario che paghiamo tutti noi con le nostre tasse quindi – e le buttiamo via perché non ci ha detto niente. Quindi non ne parlo più perché non dice niente e quindi è inutile sprecare parole. […]
“Internamento della bambina”
Scusate, il termine è sgradevole, richiama i campi di concentramento, ma continuerò pervicacemente a usarlo. […] Finalmente [la bambina -ndr] viene riportata a casa e sottoposta a cure psicologiche, quelle che avrebbero dovuto farsi prima e che non si sono potute fare perché distrutta com’era la bambina non dava nessuna… E la signora — Dottoressa, immagino — Di Guglielmo, psicologa, redige alla fine una sua valutazione, che conclude per una compati… ma io non lo so. È sempre una compatibilità. Poi vai a chiedere: perché è compatibile? Dice: perché non ci sono segni. Anche qua: ‘Psicologicamente non ci sono segni e quindi è sicuramente compatibile’. La bambina sicuramente è una bambina intelligente, bla, bla, bla… — Questo lo dicono tutti quanti. Beh, certo, forse un po’ disorientata adesso lo è. — … ha sviluppato uno straordinario modo difensivo nei confronti dell’adulto”. Ma no! Eh beh, ci voleva una laurea in psicologia però, eh! Perché, voglio dire, prendi una bambina, la porti via dalla famiglia, non le fai più vedere il padre, la cacci in un istituto, e lei sviluppa un modo difensivo nei confronti dell’adulto. Va be’, insomma, certo, c’era anche la lobotomia posisbile; però a questo non siamo ancora arrivati. […] Ma io, ripeto, di fronte a una così totale mancanza di professionalità non riesco neanche a dire trasmettetemi gli atti perché secondo me son perizie false. Cioè cosa devo dire? Cioè sono perizie fatte da gente che dovrebbe cambiar mestiere. Comunque, questo invece lo auspico e alzo il tono della voce, sicuramente da persone che non hanno nessun motivo di godere della fiducia che fino a oggi l’Autorità Giudiziaria gli ha conferito; e che auspico nella maniera più assoluta non vengano mai più investiti di incarichi di tale delicatezza, perché non sono all’altezza di farlo. […]”.
Di Tiziana Siciliano