Tentar (un giudizio) non nuoce
Se non ci sono i Popolari l’Europa politica non ha futuro
Si avvicinano le elezioni europee, dunque diventa necessario per tutti avere le idee chiare su cosa votare e su quale è la posta in gioco. La mia visione è chiara: servono più popolari e più moderati in Europa! Perché? Proverò a spiegarlo in queste righe, per offrire uno spunto di riflessione non influenzato dalle contingenti dinamiche politiche italiane, a cui purtroppo sembra piegata tutta la campagna elettorale. In gioco, in verità, c’è una scelta decisiva per il futuro dell’Europa e il suo posto nel mondo.
Chi l’ha fatta l’Europa di oggi? Cosa c’è all’origine dell’Unione Europea come la conosciamo e per cui voteremo? Pochi giorni fa, il 9 maggio, abbiamo celebrato la Festa dell’Europa. Ossia i settantaquattro anni dalla “Dichiarazione di Schuman”, ministro francese, popolare e cattolico in processo di beatificazione, che nel 1950, sotto ispirazione di Jean Monnet, altro cattolico, intellettuale e politico francese, proponeva a sorpresa di collocare l’intera produzione franco-tedesca del carbone e dell’acciaio sotto un’unica alta autorità. L’idea alla base era che, se la produzione di tali risorse fosse stata condivisa dalle due nazioni più potenti del continente, si sarebbero evitate altre guerre future. La ragione ultima della Dichiarazione Schuman era la “costruzione” della pace e della giustizia internazionale; cominciava così: «La pace mondiale non potrà essere salvaguardata se non con sforzi creativi, proporzionali ai pericoli che la minacciano».
Visione e capacità politica
Dietro questo progetto, di cui non è difficile avvertire il valore straordinario, tanto quanto l’attualità, stava una cultura politica radicalmente nuova, non genericamente “pacifista”, ma mirante a fare della pace l’obiettivo supremo della lotta e dell’azione politica. La “ragione sociale” stessa del progetto di integrazione europea, verteva sul superamento della “cultura della guerra” che circoscriveva l’obiettivo supremo della politica al bene della propria nazione e del proprio Stato. Il primo Paese ad aderire dopo Francia e Germania è stata l’Italia del cattolico popolare De Gasperi, leader della Dc, insieme ai paesi del Benelux. Ebbene, questi uomini, tutti cattolici, tutti popolari e moderati hanno avuto la visione e anche la capacità politica, di costruire un progetto istituzionale, oltre che un fatto politico, che ha cambiato la storia del mondo. Sembrava impossibile, a neppure cinque anni da quando i loro popoli si ammazzavano nelle trincee, mettere insieme vincitori e sconfitti della guerra. Eppure, è accaduto! L’Europa, dunque, nasce dalla volontà di rendere possibile la pace grazie alla forza e alla visione politica dei cattolici e dei popolari.
Chi può rifare tutto questo oggi in Europa? Chi può dare nuovo slancio creativo a quel progetto se non coloro che rappresentano gli eredi di quella cultura generativa? Non certo chi grida “Meno Europa, più Italia”, alleato ai neonazisti; o i socialisti e i verdi che hanno imposto una visione ideologica della transizione ecologica, devastante per la nostra economia e per le sue ricadute sociali; o i conservatori da soli? O i seguaci di Macron che vogliono rinnovare l’Europa mettendo l’aborto in Costituzione e mandando truppe europee a combattere in Ucraina? Se non ci sono i Popolari l’Europa politica non ha futuro! E crescono i rischi per la pace nel mondo.
Il nome “Europa”
Andiamo ancora più a fondo. Torniamo all’origine dell’Europa. Che cosa la costituisce? Un contorno geografico ben identificabile, come per l’America o l’Oceania? La stessa lingua? No, quello che definisce l’Europa è una certa cultura, fondata sul primato della persona, sul suo valore sacro, e sulla idea di società che ne consegue (la libertà, la giustizia, i diritti, ecc.) che si trasforma in visione politica e quindi nella Rules of Law, lo stato di diritto di matrice democratica.
Quando nelle scorse settimane sono stato in Grecia, mi ha impressionato vedere nell’Agorà di Atene il Bouleuterion dove è nata la democrazia; sono stato a Micene, dove oltre mille anni prima di Cristo è nata la prima civiltà europea; ho visitato Corinto dove san Paolo ha diffuso il cristianesimo per un anno e mezzo. Lì si capisce qual è la radice dell’Europa, si vedono e si toccano le vestigia di questa visione, come a Gerusalemme o a Roma.
Sono dunque andato a rileggermi come è nata la parola Europa nella storia della nostra civiltà e della nostra cultura. Essa nasce 800 anni prima di Cristo nella mitologia greca. Il Mito di Europa, allora usato per spiegare le origini. Europa è una bellissima principessa; Zeus, il padre degli dèi, se ne innamora, e per rapirla si trasforma in un toro, bello e amabile. Dal ratto nascono dei figli, tra cui Minosse, il padre della civiltà cretese. Infatti, nel mito quando Zeus la lascia libera, Europa raggiunge e sposa il re di Creta Asterio, che ne adotta i figli. Europa porta con sé alcuni doni, ricevuti da Zeus. Tra questi ce ne sono tre significativi: l’aratro, cioè la tecnologia e il lavoro; la moneta quindi gli scambi commerciali; l’alfabeto pertanto le idee, il linguaggio e la politica. L’Europa nasce da questa suggestione, che evoca i popoli che l’hanno generata. Ma quale è stato il suo alfabeto da tremila anni a questa parte? La cultura! Quella greca, quelle ebraica con la Bibbia (la vera Costituzione dell’Europa è la Bibbia), e duemila anni di storia cristiana. Se l’Europa dimentica questa sua radice e abbandona la cultura e la visione politica da cui è nata non conterà più nulla. Perché l’aratro oggi non c’è più!
La situazione attuale
Tecnologicamente l’Europa è obsoleta, superata da Stati Uniti, Cina, tra poco dall’India. Nel 2020 gli investimenti sull’AI sono stati 58 miliardi di dollari in America, 30 in Asia e 6 in Europa. I brevetti sull’intelligenza artificiale sono per il 70 per cento in Asia, per il 28 per cento in America, e solo per il 2 per cento in Europa. È evidente che non siamo più i leader della tecnologia e dell’innovazione. Cento anni fa, in un mondo di due miliardi di abitanti, gli europei erano cinquecento milioni, 1 su 4, e l’Europa produceva ancora un terzo del Pil globale.
Oggi il mondo è abitato da sette miliardi e mezzo di abitanti, l’Unione Europea ne conta quattrocentocinquanta e l’Europa geografica settecentocinquanta, 1 su 10 e rappresenta solo un sesto del Pil mondiale. L’Africa, che noi guardiamo come un Paese povero e senza pretese, da qui al 2050 avrà un miliardo di abitanti in più, due miliardi e mezzo in totale, e già oggi ha un’età media di 19 anni. Noi rimarremo quelli che siamo, con un’età media oggi di 40 anni in Europa e 46 in Italia, che nel 2050 crescerà di altri 10 anni.
Con questi numeri si capisce che o l’Europa recupera la sua visione e la porta nel mondo, o non conterà più nulla. Quella che si radica e che ha costruito la sua tradizione greco-giudaica-cristiana. E chi oggi è portatore di quella visione nel mondo se non i cattolici e i popolari?
Indicazioni di voto
La partita dunque è tutta politica. Dobbiamo avere la forza di fare una proposta all’altezza della sfida che questo continente ha di fronte, altrimenti siamo destinati alla marginalizzazione e temo anche a perdere la pace e la prosperità che l’Unione Europea ha saputo garantire per quasi 80 anni. Questa forza a mio parere può giungere solo dagli eredi della storia e della cultura politica che nel 1950 giocò quell’azzardo e propose quella visione.
Oggi, siamo noi, moderati e popolari, a doverci assumere il compito di far risplendere quell’eredità, ma abbiamo bisogno del sostegno e della forza che deriva dal consenso e dal voto popolare. Per queste ragioni io voterò la lista Forza Italia – Noi Moderati, che fa parte del Partito popolare europeo, e darò la mia preferenza nel Collegio Nord Ovest ad Andrea Costa, Massimiliano Salini e Laura D’Incalci che incarnano meglio di altri questa eredità e vogliono contribuire a darle nuova vita.
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