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Bruti Liberati vs Robledo. Anche in procura le guerre fanno vittime. Vedi Formigoni e l’indagine Sea

Così lo scontro fra toghe a Milano potrebbe aver già causato gravi danni collaterali. Quello strano ritardo nell'iscrizione degli indagati per il crac San Raffaele

Luigi Amicone
27/10/2014 - 10:47
Interni
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«Siamo seduti lungo il fiume e aspettiamo. Prima della fine dell’anno passerà un cadavere. O il Csm pensiona il capo. Oppure spedisce a Santa Maria Capua Vetere l’aggiunto». Questa è la vox populi che circola in procura a Milano, dopo che alla massima sanzione e al trasferimento d’imperio decisi dal capo procuratore Edmondo Bruti Liberati, il procuratore aggiunto Alfredo Robledo ha risposto con un nuovo esposto di 17 pagine al Csm. Ennesima escalation di un conflitto istituzionale esploso negli uffici giudiziari, sui giornali, davanti all’organo di autogoverno? È così.

Dunque? À la guerre comme à la guerre? «No, non è una questione personale», dicono in procura. «Qui nessuno contesta il capo come titolare dell’organizzazione del lavoro. D’altra parte, se ci sono delle regole, tutti le devono rispettare. Compreso lui. Il problema è che in questo caso stanno esplodendo contraddizioni che rinviano a due modi diversi di concepire la funzione, l’autonomia e l’indipendenza del magistrato. Certo, il pubblico ministero è sottoposto al suo vertice nell’organizzazione del lavoro. Ma non è alle sue dipendenze nelle attività d’indagine. Bruti Liberati è un procuratore della Repubblica, non un monarca assoluto».

Nel suo nuovo memoriale pare che Robledo abbia risposto punto per punto ai rilievi contenuti nella circolare con cui il capo lo ha trasferito all’esecuzione penale (un po’ come trasferire un professore universitario al liceo). L’accusa che brucia di più è naturalmente quella che mette di mezzo i soldi. Tanti, 100 e passa milioni. Fatti sequestrare alle banche da Robledo nell’ambito dell’inchiesta (2009) sui derivati finanziari utilizzati dal Comune di Milano e depositati al Credito cooperativo di Carate Brianza – sostiene Bruti Liberati – invece che al Fug (Fondo unico giustizia) presso il ministero del Tesoro. Di questa storia in procura sorridono. E ci vedono un pizzico di malevolenza. «Il Fug non ha depositi. Come faceva Robledo a depositare al Fug i soldi sequestrati quando la legge prescrive che il deposito deve avvenire presso poste, banche o intermediari finanziari? Sono questi che comunicano al Fug e si relazionano con l’ente del Tesoro per la gestione delle somme sotto sequestro». Insomma, questo del Fug sarebbe un rilievo specioso ma inconsistente.

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D’altra parte, nel nuovo memoriale inviato al Csm, Robledo avrebbe replicato in dettaglio. Chiarendo le proprie scelte con richiami documentali minuziosi. Si capisce anche dall’informata cronaca che di questi atti ha proposto Luigi Ferrarella sul Corriere della Sera di sabato 18 ottobre. È la legge che attribuisce al pm la nomina del custode e le modalità di gestione dei beni; spetta alla banca, non al pm, coordinarsi col Fug; e poi sono vicende che risalgono a quasi sei anni fa, perché emergono solo adesso? Perché questi rilievi non sono stati posti a tempo debito? Interrogativi legittimi.

Così, dopo l’esposto del marzo scorso, il cahier de doléances con destinazione Palazzo dei Marescialli, Roma, sede dell’organo di autogoverno della magistratura, si arricchisce – annota Ferrarella – della contestazione di aver tenuto l’aggiunto Robledo all’oscuro delle periodiche «segnalazioni di operazioni sospette» provenienti da Bankitalia. Notizie importanti per il dipartimento reati contro la pubblica amministrazione.

Secondo quanto appreso da Tempi, ci sarebbe però anche altro nel memoriale di Robledo. Ci sarebbe ad esempio la notizia non del “ritardo nelle indagini” sul caso San Raffaele. Ma riscontri precisi sul presunto ritardo nella iscrizione dell’indagine nel modello 21 (notizie di reato a carico di persone note). Atto fondamentale per il rispetto dei diritti della difesa e per il calcolo della decorrenza dei termini di durata massima delle indagini.

Cosa vuol dire “immediatamente”
L’articolo 335 del codice di procedura penale prescrive infatti che il pm «iscrive immediatamente, nell’apposito registro custodito presso l’ufficio, ogni notizia di reato che gli perviene o che ha acquisito di propria iniziativa nonché, contestualmente o dal momento in cui risulta, il nome della persona alla quale il reato stesso è attribuito». C’è poco da interpretare in quell’“immediatamente”. Ebbene, nel caso San Raffaele, ci sarebbe prova del fatto che, dagli interrogatori di almeno due indagati, sarebbero emersi fin dal luglio 2011 nomi e notizie di reato precisi e circostanziati. Notizie che avrebbero dovuto essere iscritte immediatamente nel registro e avrebbero potuto produrre già nell’estate del 2011 avvisi di garanzia a tutela degli indagati. Invece sia l’iscrizione sia gli avvisi sono arrivati soltanto l’anno successivo.

Se questa tesi trovasse conferma, non solo potrebbe produrre l’annullamento per “illegittimità” del materiale d’inchiesta raccolto nel 2011-2012 a carico degli indagati sul caso San Raffaele (Formigoni, tra gli altri). Ma addirittura potrebbe portare gli inquirenti sul banco degli imputati per violazione dei diritti della difesa.

Ricapitolando. Tutto ha inizio nel marzo scorso, quando Bruti Liberati annuncia una “grande retata” per reati contro la pubblica amministrazione. In quegli stessi giorni, non solo il responsabile dell’ufficio preposto, Robledo, si dissocia formalmente da un provvedimento di arresto (Paris), ma invia al Csm un esposto che accusa il proprio capo di aver violato le regole di organizzazione interna da lui stesso varate. In sostanza Robledo dice: Bruti Liberati usa sottrarmi inchieste che secondo l’ufficio e le regole da lui stesso stabilite sarebbero di mia pertinenza (caso Ruby ed Expo, ad esempio) e in un caso (Sea-Gamberale) sostiene addirittura di averle “dimenticate” in cassaforte. Ordina, stabilisce, decide, avoca a sé indagini o le passa a colleghi a lui più consentanei ma che nulla hanno a che vedere con i reati in materia di pubblica amministrazione.

In sede di Csm, Bruti Liberati si difende egregiamente da queste accuse. Arrivando ad ammettere perfino una sua «deplorevole dimenticanza» nel caso Sea-Gamberale (in seguito effettivamente indagato per turbativa d’asta). Ma alla fine, quando il Csm rischia di pendere nel giudizio a favore di Robledo, il 14 giugno è la parola del presidente della Repubblica a trasformare un probabile provvedimento di trasferimento in una ciambella di salvataggio per il capo della procura. Il Csm decide di non decidere. Perciò, archiviazione dell’esposto del procuratore aggiunto e rinvio per entrambi i contendenti all’esame del procuratore generale della Cassazione e del ministro della Giustizia in merito ai comportamenti riguardanti le inchieste Sea, Expo e la mancata trasmissione a Brescia di una denuncia che Robledo aveva presentato a Bruti Liberati su accertamenti indebiti compiuti sul suo conto da due finanzieri.

La regola del silenzio
Tutto in ordine? Niente in ordine. La guerra riesplode nei primi giorni di autunno. Il 3 ottobre Bruti Liberati firma una circolare che nel definire la nuova organizzazione esautora Robledo dal ruolo di responsabile del dipartimento dei reati contro la pubblica amministrazione e si attribuisce il compito di coordinare e dirigere tutte le inchieste anticorruzione. Non solo. Il capo della procura accompagna la sua decisione con una serie di rilievi che puntano a demolire l’operato del suo sostituto. Ma nel frattempo emerge un intoppo: l’8 ottobre trapela la notizia dell’iscrizione all’albo degli indagati di Bruti Liberati per omissione di atti d’ufficio nel caso Sea. E il 16 esce la notizia del nuovo esposto in cui Robledo risponde ai rilievi di Bruti, ribadisce sul caso San Raffaele ed evoca una sorta di mobbing nei suoi confronti.

Oggi la domanda che aleggia nei corridoi del Palazzo che trema al solo pensiero dello scoperchiamento di un vaso di Pandora è: perché in procura vige il silenzio assordante su uno scontro tra due pesi massimi della magistratura ambrosiana? E ci si chiede se, come fogliolina in una foresta, fragorose retate possano stendere il velo su un conflitto ormai dirimibile solo in sede di Csm.

@LuigiAmicone

Tags: Alfredo Robledocaso expocaso san raffaeleCorriere della SeraEdmondo Bruti Liberatiluigi ferrarellaMilanoprocura milanoRoberto Formigoniscandalo exposcontro bruti robledotangenti expo
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