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Milano, 24 giugno. Nella ampia penombra della basilica di San Marco sono stranamente calma, nell’attesa della sposa. Fuori il sole di giugno sale verso il mezzogiorno, il cielo senza una nuvola. La sposa in verità è un po’ in ritardo. Ed ecco che s’affaccia al portone, cammina cauta con i tacchi alti e lo strascico e il velo, al braccio del padre.
All’altare l’accoglie il fidanzato, la lascia mio marito con un bacio. Io pronta abbastanza da evitargli di inciampare rovinosamente nello strascico – proprio come temevo.
Caterina e Riccardo, all’altare. Mi si divide il cuore: per metà segue la funzione, eppure l’altra metà sta cadendo in ricordi lontani, duemila, tremila metri sotto il mare. Singolare come ora tutto mi appaia presente: quell’alba, quando lei è nata, e il suo primo giorno all’asilo, con il grembiulino giallo. Le corse con la slitta giù nella neve, all’Alpe di Siusi. E ...
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