Annullata la radiazione di Farina: è il connubio tra giornalisti e pm che minaccia la libertà d’informazione
Mentre Michelino Santoro seguita a recitare anche con La7 la parte del perseguitato e la Repubblica ha ricominciato il tormentone dell’informazione imbavagliata in pecetta gialla, da una piccola breccia giurisprudenziale si affaccia il sospetto che la libertà di informazione non è minacciata da alcuno, se non dagli stessi fruitori e commercianti di quel connubio (tutto e solo italiano) tra giornalismo e pubblici ministeri. Connubio che arricchisce l’audience (e il portafoglio) degli uni e garantisce carriere e potere (anche politico) agli altri.
Ricordate il caso di Renato Farina, che nel 2006, da vicedirettore di Libero, fu accusato di essere una spia del Servizio segreto militare italiano e fu costretto alle dimissioni? Ricordate i mesi di gogna e le pesanti sanzioni in cui sono incorsi prima Vittorio Feltri e ora Alessandro Sallusti, direttori colpevoli di aver continuato a pubblicare sui loro giornali gli interventi del collega depennato dall’Albo e però pur sempre cittadino italiano, nel pieno diritto – articolo 21 della Costituzione – «di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione»? Ricordate che sebbene Farina si fosse dimesso dall’Ordine dei giornalisti, l’Ordine si riunì e ne decretò la radiazione perpetua dal medesimo?
Bene, ora una sentenza della terza sezione civile della Suprema corte di Cassazione ha annullato la radiazione di Farina, poiché, considerate le sue precedenti dimissioni, «il procedimento disciplinare doveva essere dichiarato estinto». E’ vero, il nostro amico e collaboratore aveva ammesso di aver aiutato i servizi segreti italiani e di averlo fatto in nome dell’articolo 52 della Costituzione (“Difendere la Patria è sacro dovere del cittadino”) per contribuire alla liberazione degli ostaggi italiani in Iraq. Anche per il caso del rapimento di Abu Omar, l’imam di Milano nel mirino della Cia per sospette attività terroristiche, Farina venne processato per collaborazione con i Servizi, si autoaccusò di “favoreggiamento” e patteggiò la pena.
Ma è anche vero che nel 2010 un giurì d’onore insediato dal Presidente della Camera Gianfranco Fini ha chiarito che Farina non ha mai agito da spia o da agente, ma da «fonte» del Sismi nell’ambito di «quelle che possono definirsi legittime e talvolta meritorie attività di collaborazione con i servizi segreti». E Niccolò Pollari, ex numero uno del controspionaggio militare, in una deposizione davanti al giurì disse, tra l’altro, che «Farina, su invito dell’autorità politica competente, dinanzi a problematiche drammatiche in cui erano coinvolti cittadini italiani sequestrati in scenari di guerra, ha accettato di fornire un contributo utile alla soluzione di questi casi, mettendosi disinteressatamente a disposizione di quell’autorità ed esponendosi anche a gravi rischi».
Nonostante ciò, Renato Farina resta marchiato dall’infamia. Infatti, come potrebbe essere diversamente in un paese, l’Italia, dove vale la strana legge secondo cui il giornalismo è lecito e meritorio se condanna preventivamente, organizza la gogna e sputtana chiunque sulla base di qualunque intercettazione e spiata filtrata dai tribunali, mentre è illecito e meritevole di essere messo al bando se collabora con i corpi dello stato che ci difendono dai terroristi e che difendono la nostra libertà?
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