Amel Grami, docente all’Università della Manouba a Tunisi, non perde mai l’occasione di levare la voce contro le discriminazioni che nel mondo islamico vedono protagonista l’Altro, ovvero il non musulmano. Non a caso è membro del Gruppo di ricerca islamo-cristiano (Gric) con sede a Parigi. Anche in un paese che si professa laico come la Tunisia i problemi esistono. Due circolari, una del 1962, l’altra del 1973, rammentano agli ufficiali dello stato civile il divieto a celebrare matrimoni tra una musulmana e un non musulmano. «Secondo i pensatori tradizionalisti qualsiasi unione mista con degli occidentali è considerata una rottura dal gruppo di appartenenza e un tradimento della umma. (.) Secondo i conservatori la musulmana che vive con un non musulmano è minacciata nella propria identità».
Se in Tunisia la donna è la principale vittima della paura e dell’odio nei confronti dell’Altro, in altri paesi la situazione è ben più grave. È il caso dei copti in Egitto. È del 26 aprile la notizia secondo cui dieci cittadini egiziani copti che, dopo essersi convertiti all’islam, hanno rinnegato la fede musulmana per tornare al cristianesimo, resteranno musulmani ufficialmente. Un tribunale del Cairo ha affermato di non poter obbligare il ministero degli Interni egiziano ad emettere per loro nuovi documenti d’identità, sui quali è obbligatorio riportare l’appartenenza religiosa. La Grami, già due anni fa, aveva denunciato che «l’insistenza del governo a ribadire che la costruzione e il restauro di chiese sono attività che richiedono un permesso significa che lo Stato non è in grado di accettare i mutamenti della storia». Inoltre «le giovani copte vengono obbligate a convertirsi all’islam» e, non a caso, di recente alcune ragazze copte sono state costrette a indossare il velo “islamico” a scuola.
Da ogni scritto della Grami si evince chiaramente una profonda verità, ovvero che il rispetto della libertà dell’Altro è il primo gradino verso la conquista delle altre libertà negate ai cittadini musulmani stessi.
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