Altro che prove. Formigoni dovrebbe ringraziare per il “martirio”
Di feccia corrotta come il Correttore di bozze ce n’è poca al mondo. Meglio farebbe dunque quel vile mariuolo a starsene muto e contrito in un angolino (di gabbio, possibilmente) a meditare sulla sua nocività sociale. Oggi tuttavia, dall’alto della sua impunita criminalità, egli non riesce a trattenere un moto di enorme ammirazione per il Fatto quotidiano e per l’inarrivabile forcaiolitudine di certi suoi giornalisti.
Una menzione speciale merita in tal senso, a detta del Correttore di bozze, nonché del Corruttore di bozze, il notevole commento alla condanna di Roberto Formigoni firmato sabato scorso dal «professore di Scienza Politica» Alberto Vannucci. (Il quale professore Vannucci, tra parentesi, nella pagina di presentazione del suo blog rivendica «anni e anni di studi sulla corruzione», ma solo per vantarsi che «quando mi hanno proposto qualcosa che somigliava a una tangente all’inizio neanche me ne sono accorto»; non è detto, però, che ciò faccia di lui obbligatoriamente un citrullo, attenzione, poiché potrebbe anche trattarsi di una misteriosa manifestazione dell’imperscrutabile sense of humour manettaro).
Chiusa la parentesi, e però coltivando nel suo cuore infingardo il dubbio se ridere o piangere, il Correttore comunque invita tutti i lestofanti come lui a non indugiare oltre e a far tesoro delle pregevoli considerazioni del blogger. Sentite qua.
A differenza di noialtri scappati di casa, l’esimio professore di Scienza Politica non si lascia disorientare dal fatto che non si capisce bene che cosa avrebbe barattato Formigoni in cambio dei suoi indimenticabili tuffi a bomba dallo yacht col naso turato. No, Vannucci non vacilla davanti al piccolo particolare che – come ebbe a dire l’avvocato del Celeste Franco Coppi – «nessuno è riuscito a dimostrare la riconducibilità di un singolo atto di ufficio a queste utilità». È che a volte, se nessuno riesce a dimostrare un fatto, la colpa potrebbe essere del fatto. Potrebbe esserci stata, manco a dirlo, «un’evoluzione più generale della corruzione italiana».
Vero, ammette Vannucci,
«hanno avuto gioco facile, benché alla fine perdente nella valutazione della Cassazione, gli avvocati difensori di Formigoni nell’affermare la mancanza di correlazioni dirette tra la cospicua serie di sontuosi vantaggi ricevuti e la sequenza di provvedimenti politici – leggi regionali e atti di giunta – che tanta gratitudine avevano generato nei fornitori privati di servizi di assistenza sanitaria».
Tuttavia, solo quel semplicione del Correttore di bozze può concludere che di solito in un processo «gli avvocati hanno gioco facile» quando mancano le prove.
Qui c’era, continua Vannucci, un «sofisticato meccanismo corruttivo impiantato dal Celeste – con pagamenti differiti, mascherati in forme conviviali e svincolati da contropartita contestuale». Che tradotto nella lingua dei correttori di bozze, l’ignorantese, significa: qui non ci sono atti contrari al dovere d’ufficio. A essere corrotta è «una logica di fondo». E se le famigerate quindici delibere contestate a Formigoni sono state tutte approvate da giunte e consigli regionali, i cui membri e funzionari sono stati tutti assolti tranne il signore in giacca arancione, beh, non bisogna arrivare a conclusioni affrettate. Non è detto infatti che se una legge ha scritto sopra “legge” sia per forza una legge, dal momento che potrebbe trattarsi di «corruzione legalizzata». A prescindere dall’ipotesi che essa sia riconducibile alla libera volontà politica di un governo o piuttosto alla famosa escursione in barca.
Come insegna la Scienza Politica:
«La corruzione tanto faticosamente ravvisabile nei singoli atti d’ufficio la si riconosce piuttosto nella logica di fondo che ha presieduto alla produzione di tutte quelle norme di legge e misure che hanno accompagnato la progressiva estensione al governo della spesa sanitaria lombarda un modello d’impianto neoliberista di privatizzazione dei modelli organizzativi nell’esercizio delle funzioni di assistenza sanitaria […]. Scelte programmatiche comunque strumentali a una svendita alla galassia imprenditoriale di Comunione e Liberazione, così come a una selezionata pattuglia di corruttori e faccendieri, di rendite create attingendo copiosamente dai bilanci pubblici. In queste forme innovative di corruzione legalizzata, i corruttori acquistano le norme di legge, rendendo superflua la loro violazione. Il Celeste incarna una politica che sull’altare di una dichiarata (ma raramente rilevata) efficienza si asservisce a interessi privati nella stessa definizione degli interessi collettivi, assumendo vesti che nello scenario peggiore rendono i suoi protagonisti immuni dal controllo giudiziario. Non è stato così per Formigoni».
Leggere e rileggere il brano qui sopra, prego. E una volta riletto, leggerlo ancora.
Letto? Bene. Scemo chi legge, e scemo non solo chi legge. Scemo pure il Correttore di bozze e chi come lui pensa ancora che per compiere un reato bisogna violare una legge. E scemi tutti quelli che per diciotto anni hanno governato la Lombardia con Formigoni senza accorgersi che stavano svendendo la sanità lombarda a Cl. Scemi tutti quelli che per vent’anni hanno votato gli scemi di cui sopra, illudendosi di rilevare un’efficienza che invece la Scienza Politica rilevava solo «raramente». E infatti notoriamente la Scienza Politica in caso di malore consiglia allo scemo di andare a farsi curare nel Terzo Mondo piuttosto che da quegli scemi dei lombardi che hanno legalizzato la corruzione. Scemi tutti quanti.
Che poi è inevitabile che un uomo completamente privo di neuroni come il Correttore di bozze a questo punto si domandi: e adesso come farà la Scienza Politica, per esempio, a spiegare a certi altri scemi che se la sanità lombarda è «corruzione legalizzata», l’aborto invece non è un «omicidio legalizzato»?
A proposito di gente uccisa ingiustamente (ancorché metaforicamente). Sempre dal Fatto quotidiano il Correttore di bozze ieri ha appreso un’altra importante verità ancora: Formigoni dovrebbe essere contento, almeno un poco, della sua nuova sistemazione in galera, e proprio non si capisce come mai non lo sia.
Appunto allo scopo di sollecitare il doveroso ringraziamento alla giustizia italiana da parte del fortunato detenuto, il Correttore di bozze sente il dovere di far circolare il sermone di Fabrizio D’Esposito, tenutario sul Fatto di una rubrica intitolata “Il chierico vagante”, noto per riuscire a dare immancabilmente l’impressione di non avere mai la minima idea di quel che scrive. Non è facile farla sempre fuori dal vaso, ma vagando il chierico D’Esposito ci riesce regolarmente.
Ecco qua la sostanza della sua raffinata spigolatura:
«Quello che colpisce non è tanto la figura di Formigoni peccatore convertito ai lussi del potere (solo “la fedeltà del Signora [sic, ndr] dura in eterno”, recitano i Salmi) ma l’assoluta mancanza di accettazione cristiana del martirio, ovviamente dal punto di vista del credente. […] Se guardiamo con lo sguardo della fede al carcere di Formigoni (peraltro politico arrogante e pieno di sé) spicca proprio la mancanza di una “vera umiltà” che non può essere tale “senza umiliazione” (papa Bergoglio). E se il martirio è imitazione di Cristo innocente ucciso in croce cosa c’è di più grande per un cristiano che si proclama non colpevole e viene rinchiuso, a suo dire, ingiustamente? […] Forse tutto è da ricondurre all’esperienza dei cattolici di Comunione e Liberazione, per anni accusati di essersi secolarizzati facendo solo politica e affari. Non proprio la strada per il martirio».
Tutto verissimo, amici del Fatto. Anzi, grazie, troppo clementi. Ma per favore, non fermatevi a mezza strada. Conscio della sua sconfinata malversazione e della sua inguaribile disonestà intellettuale, inferiori soltanto a quelle di Formigoni e dei ciellini, il Correttore di bozze osa qui suggerirvi un’idea che potrebbe in un sol colpo soddisfare la vostra sete di manette facili e il bisogno di scudisciate dei cattolici arroganti: che ne dite ragazzi, vogliamo metterlo su un bel «martirio legalizzato»?
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