Altro che Costituzione, così Ungheria e Ue giocano sulla nostra pelle
Il braccio di ferro da tenere d’occhio non è quello fra il governo di coalizione guidato dai liberal-conservatori di Fidesz e l’arcobaleno dell’opposizione scesa in strada a Budapest l’altro giorno, ma quello fra l’esecutivo di Viktor Orban e il duetto Fondo Monetario Internazionale – Unione Europea (Fmi-Ue). Anche se per la prima volta tutti i partiti avversari del primo ministro ungherese sono riusciti a convocare una manifestazione di protesta unitaria (con l’ovvia eccezione dell’estrema destra razzista dello Jobbink), restano troppo deboli per mettere alle corde una maggioranza salita al potere solo due anni fa, che occupa oltre i due terzi dei seggi parlamentari e che ha vinto anche recenti elezioni parziali. Nonostante quello che si scrive e si dice all’estero, soprattutto a Bruxelles, la nuova costituzione ungherese non è liberticida, ma tutt’al più troppo enfatica nel suo ultranazionalismo velleitario. Gli aspetti più discutibili, come le norme che tendono a subordinare il sistema giudiziario al potere politico, vanno visti all’interno della parabola politica post-comunista dell’Ungheria: Orban si è ritrovato con una Corte costituzionale e una magistratura che sono state modellate a immagine delle forze politiche attualmente all’opposizione, soprattutto dei post-comunisti (oggi socialisti).
Il vero pomo della discordia, quello che potrà avere riflessi continentali ed internazionali negativi, è la riforma della Banca centrale. Anche in questo caso la maggioranza ha deciso di rafforzare l’influenza della politica su di un’istituzione non elettiva, ma ha scelto il momento sbagliato per farlo. In base a leggi approvate nel mese di dicembre e che, in forza della nuova Costituzione, potranno essere modificate solo con una maggioranza dei due terzi, la Banca centrale ungherese potrà avere fino a tre vicegovernatori la cui nomina non dipenderà dal suo presidente, e al suo interno il Consiglio monetario che decide la politica dei tassi di interesse avrà ben nove membri, in maggioranza nominati dal Parlamento o dall’esecutivo. Succede però che negli stessi giorni l’Ungheria si trovi a negoziare con Fmi e Ue una rete di sicurezza per proteggere le finanze del paese dalla speculazione in vista del rifinanziamento del debito pubblico, per il quale dovranno essere reperiti (o restituiti ai creditori) 4,8 miliardi di euro nel corso del 2012. Fondo monetario e Ue hanno interrotto le trattative e minacciano di non riprenderle se l’Ungheria non modificherà le sue posizioni. Orban ha ribadito in un’intervista radiofonica il 30 dicembre che l’Ungheria ha già ceduto a 13 delle 15 richieste di modifica del provvedimento che la Ue gli aveva indirizzato, e che se il contrasto non si comporrà, Ungheria e Commissione europea si troveranno a dirimere la causa di fronte alle corti di giustizia. Per quanto riguarda l’assistenza da parte del Fmi, il primo ministro ha ribadito che un accordo sarebbe molto utile, ma anche se non fosse raggiunto l’Ungheria è in grado di fare da sé.
Gli effetti della baruffa non si sono fatti attendere: ieri il fiorino ha perduto altro terreno nei confronti dell’euro, segnando il minimo storico con 321,1 fiorini contro 1 euro: dal 30 giugno scorso la flessione ha superato il 15 per cento; la valuta ungherese è quella che a livello mondiale nei sei mesi considerati ha perduto di più rispetto all’euro. Il tasso di interesse per i titoli di Stato ungheresi decennali è volato al 10 per cento e non tutti sono stati piazzati alla prima asta di quest’anno. Oltre a rifinanziare il suo debito sovrano, che è il più alto fra quelli dei paesi dell’Est membri della Ue (è pari all’80 per cento del Pil), l’Ungheria quest’anno deve anche restituire il prestito d’emergenza ricevuto dal Fmi nel 2008, quando il paese fu investito dalla crisi finanziaria di origine americana. Va ricordato che questi due problemi rappresentano eredità lasciate dai governi di coalizione fra socialisti e liberal-progressisti che in Ungheria si sono succeduti fra il 2002 e il 2010, cioè le stesse forze politiche che oggi protestano contro la Costituzione approvata dalla maggioranza liberal-conservatrice.
Nel breve periodo l’Ungheria, come afferma Orban, è senz’altro in grado di onorare i suoi impegni grazie a discutibili misure ad hoc come la nazionalizzazione di alcuni fondi pensionistici e un’imposta speciale sui profitti delle banche. Ma le difficoltà non tarderanno ad emergere e anzi già si notano tensioni sulle valute dei paesi vicini: lo zloty polacco e la corona ceca. Dovesse l’Ungheria arrivare al default, un altro shock potente si abbatterebbe su un sistema bancario europeo già alle corde: fra i creditori di Budapest ci sono importanti banche austriache, svizzere ed italiane. L’Ungheria potrebbe trascinare con sé nel baratro l’euro già sotto pressione. È per questo che il duello fra l’irriducibile Orban e gli scandalizzati commissari di Bruxelles sta assumendo i contorni di una vera partita di poker: entrambe i giocatori continuano a rilanciare, convinti che prima o poi l’altro cederà. Se nessuno dei due cede, saranno guai per tutti.
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