«Che cosa ci faceva Al-Baghdadi vicino al confine con la Turchia?»
Che cosa ci faceva Abu Bakr al-Baghdadi, il “califfo” dello Stato islamico, in un compound in Siria ad appena quattro chilometri dal confine con la Turchia? E come ha fatto a raggiungere la città di Barisha, nella provincia di Idlib, dove nella notte tra sabato e domenica è stato braccato dai ranger americani, che con un blitz cinematografico durato ore lo hanno spinto a farsi saltare in aria con tre dei suoi figli in un tunnel? Sono solo alcune delle domande che restano a un giorno dall’annuncio da parte di Donald Trump della morte del leader più potente del terrorismo islamico dalla morte di Osama Bin Laden. «L’unica certezza è che il movimento jihadista non è affatto morto. L’ideologia è ancora fortissima. Gli interrogativi, invece, sono tanti», dichiara a tempi.it il giornalista e scrittore libanese Camille Eid, sollevando dubbi importanti sul ruolo della Turchia.
Come ha fatto Al-Baghdadi a raggiungere Idlib?
Non c’è ancora risposta a questa domanda e forse non ci sarà mai. Di sicuro, nessuno si aspettava potesse essersi nascosto proprio lì.
Perché?
La città di Barisha si trova nel nord-ovest della Siria, in una regione che lo Stato islamico, anche nel suo momento di massima espansione territoriale, non ha mai occupato. La regione, inoltre, era occupata dai nemici acerrimi dell’Isis, quel Fronte al-Nusra che faceva riferimento ad Al-Qaeda e che più volte si è scontrato con i jihadisti di Al-Baghdadi durante la guerra. Una zona molto difficile da raggiungere.
Perché?
Ipotizzando che Al-Baghdadi fosse nascosto a inizio anno in qualche città siriana sotto il controllo dell’Isis verso il confine con l’Iraq, può aver preso solo due strade per raggiungere Barisha: la prima avrebbe richiesto l’attraversamento di un’area complicata, occupata da curdi, turchi e governativi di Assad. Passare inosservato in mezzo a questa fila di nemici è improbabile.
E la seconda?
L’alternativa era entrare in territorio turco, fare il giro verso ovest e la provincia turca di Hatay e rientrare da lì in Siria.
Perché i turchi avrebbero protetto Al-Baghdadi?
Provo a rispondere con un’altra domanda: perché la Turchia ha fatto passare migliaia e migliaia di aspiranti jihadisti dalle sue frontiere negli ultimi anni? Secondo una ricerca condotta negli anni scorsi, la Turchia è stata il punto di passaggio del 93 per cento degli aspiranti jihadisti affluiti da mezzo mondo verso la Siria. Con o senza la complicità della polizia turca, molti hanno raggiunto il Califfato attraverso Gaziantep, Kilis e altri valichi di frontiera. Secondo il capo di stato maggiore americano, ancora nell’ottobre 2018, quando il territorio dell’Isis era ormai ridottissimo, un centinaio di jihadisti attraversava ogni mese questo confine.
È possibile che i turchi abbiano barattato Al-Baghdadi in cambio del via libera americano all’operazione militare “Fonte di pace” contro i curdi?
Non ci sono certezze, ma è sicuramente un’ipotesi. Forse è il prezzo che hanno dovuto pagare per l’occupazione del nord siriano. Tutti in queste ore hanno rivendicato di aver giocato un ruolo nell’uccisione di Al-Baghdadi: del resto, se è vero che gli elicotteri americani sono partiti da Erbil, in Iraq, e hanno sorvolato a bassa quota un’area controllata da russi e siriani, rischiando di essere colpiti dagli eserciti sul campo, qualche tipo di collaborazione deve esserci stata, per quanto minima.
Non è preoccupante che un alleato della Nato abbia potuto difendere, anche solo per mesi, il principale terrorista in circolazione?
È dall’inizio della guerra che la Turchia usa i jihadisti per limitare i curdi e impedire la costituzione di uno Stato curdo al proprio confine meridionale. Ankara ne ha pagato anche il prezzo, subendo molti attentati dai terroristi islamici, che non dimentichiamolo volevano costituire un califfato che doveva comprendere anche la Turchia stessa. Il presidente Recep Tayyip Erdogan ha comunque sempre visto un eventuale aiuto all’Isis come un modo per limitare i curdi. Che poi la Turchia non si comporti da membro della Nato, collaborando ad esempio spesso con i russi, è un fatto.
La morte di Al-Baghdadi è una vittoria per gli Stati Uniti?
Se fosse arrivata uno o due anni fa, quando l’Isis era più forte territorialmente, sarebbe stata più importante. Ancora meglio sarebbe stato se fossero riusciti a catturarlo e processarlo. Questo tipo di eliminazioni sono sempre una vittoria parziale.
L’ideologia jihadista si può ritenere sconfitta?
Assolutamente no. Lo abbiamo visto con Al-Qaeda: morto Bin Laden, è venuto fuori Al-Baghdadi. Lui, ricordiamolo, si era distinto inizialmente proprio per aver compiuto attentati con lo scopo di vendicare la morte di Bin Laden. Ora temo che emergerà una nuova figura, che comincerà magari compiendo azioni per vendicare Al-Baghdadi. Dopo Al-Qaeda, è nato l’Isis, non mi stupirei se dopo l’Isis nascesse qualcos’altro. Ieri ho seguito su Al Jazeera in diretta la notizia della morte del califfo e ho letto commenti in arabo da parte di molte persone agghiaccianti. No, l’ideologia è ancora molto forte. Non dimentichiamo che l’Isis ha passato anni a educare ragazzi siriani e iracheni nelle scuole dell’odio. Come si può pensare che tutto sia cancellato e ripulito?
Foto Ansa
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