Akash, il ragazzo che esplose abbracciando il kamikaze, è il primo Servo di Dio del Pakistan
È il primo Servo di Dio della storia della Chiesa del Pakistan. Era poco più che un ragazzo quando corse incontro al kamikaze pronunciando le sue ultime parole: «Morirò ma non ti lascerò entrare». Esplose, Akash Bashir, esplose abbracciando l’uomo che aveva visto entrare con cintura esplosiva dal cancello della chiesa cattolica di San Giovanni straripante di fedeli per la messa.
Era il 15 marzo 2015. Quella mattina, mentre Bashir saltava in aria, nel quartiere cristiano di Youhanabad, a Lahore, un secondo attentatore si faceva esplodere in una chiesa protestante.
L’indimenticabile sacrificio
Quando il gruppo terroristico Tehreek-e-Taliban Pakistan Jamaatul Ahrar (TTP-JA) rivendicò gli attacchi, si contavano già 17 vittime e oltre 70 feriti. Ma sarebbero state migliaia se non fosse stato per “l’indimenticabile sacrificio” di Bashir che «ha dato la vita per salvare quella di più di mille persone presenti all’interno della Chiesa per la messa domenicale», ha ricordato l’arcivescovo di Lahore Sebastian Shaw annunciando al Pakistan che nel giorno della festa di San Giovanni Bosco papa Francesco aveva proclamato il ragazzo “Servo di Dio”. «Akash simboleggia la forza della fede cristiana nel nostro paese. Prego per il compimento di tutti i passi verso la santità», ha commentato, commosso, suo padre Emmanuel.
Sono passati sette anni dai brutali attentati e dal linciaggio di due musulmani nelle proteste che seguirono la strage. Centinaia di cristiani vennero arrestati e incarcerati per gli omicidi. Qualcuno venne rilasciato solo dopo anni, durante i quali le famiglie squassate dai kamikaze e dalle reprimende dei partiti islamici hanno trovato sostegno nella chiesa e nel ricordo del martirio di Bashir.
Akash senza paura
Una vita illuminata da una fede senza paura, ha ricordato la sua mamma Naz Bano raccontando ad Acn la storia di quel figlio nato il 22 giugno 1994 a Risalpur, nella provincia pakistana di Nowshera Khyber Pakhtun Khwa, e cresciuto al Don Bosco Technical Institute di Lahore: «Ci siamo trasferiti nel quartiere di Youhanabad nel 2008. Nel novembre 2014 Akash si era unito alle guardie volontarie di sicurezza della nostra chiesa». Una squadra necessaria in ogni chiesa dopo l’attentato suicida del 2013 alla Chiesa di Tutti i Santi nella città di Peshawar. «Guardavamo i manifestanti chiedere giustizia per le vittime. Akash ne discuteva con i suoi amici, insistendo sul fatto che voleva vegliare sulla chiesa. Era pronto a sacrificare la sua vita se Dio gli avesse dato la possibilità di proteggere gli altri».
E così fu, una domenica di Quaresima: «Stavo lavando i panni in casa quando mio figlio è uscito per andare in chiesa. Pochi istanti dopo ho sentito degli spari, e per la nostra strada rimbombare delle esplosioni. Ricordo che alcune donne iniziarono a raccontare delle minacce di morte ricevute alla scuola della Christ Church».
«Morirò ma non ti lascerò entrare in chiesa»
Quel giorno i poliziotti in servizio erano impegnati a guardare una partita di cricket della Coppa del Mondo. Il giovane Akash era stato assegnato al controllo dei passanti non lontano dalla chiesa, tuttavia fece di tutto per farsi spostare al cancello d’ingresso. E lì lo vide: «Morirò ma non ti lascerò entrare in chiesa» furono le sue ultime parole, riportate sugli striscioni innalzati ad ogni commemorazione del suo martirio. Nel primo anniversario l’arcivescovo Shah distribuì a tutti i presenti un libretto, intitolato Indimenticabile sacrificio, chiedendo a tutti di pregare per l’apertura della causa di canonizzazione del ragazzo che morì per salvarli: «Le strade erano piene di gente. Appena udita la seconda esplosione, mi precipitai con il mio figlio più piccolo verso la chiesa cattolica. Stavo cercando Akash tra i ragazzi in piedi vicino al cancello della chiesa. Ma era invece sdraiato nella terra. Il suo braccio destro è stato quasi strappato via. Non potevo credere ai miei occhi».
«Akash è già il nostro santo»
Quel fratello più piccolo, Arsalan, ora ha preso il posto del fratello, a protezione di San Giovanni. «Non lo abbiamo fermato. Non possiamo impedire ai nostri figli di servire la Chiesa. È una loro scelta. Le nostre chiese ora sono ancora più affollate la domenica. Il numero dei volontari che si occupano della loro sicurezza è aumentato». La comunità si è “stretta” attorno a quel martirio. «I preti visitano spesso le reciproche chiese come parte di programmi interreligiosi. Non vogliamo lasciare Youhanabad».
Davanti a San Giovanni sorge oggi un piccolo memoriale: «Era una parte del mio cuore – ricorda Naz Bano -. Ma la nostra felicità è più grande del nostro dolore. Non è morto di tossicodipendenza o a causa di un incidente. Era un ragazzo semplice che morì sulla via del Signore e salvò il sacerdote e i fedeli. La gente lo ama. Akash è già il nostro santo».
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