
Non basterà l’uccisione di Al-Zawahiri per risolvere il dramma dell’Afghanistan

La scorsa notte il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha annunciato con grande enfasi la morte del leader di Al Qaeda, l’egiziano Ayman al-Zawahiri, ucciso sabato sera in Afghanistan da un drone americano. «Giustizia è stata fatta, spero che con questa azione le famiglie delle vittime dell’11 settembre possano voltare pagina». La giustizia di Biden, evidentemente, è limitata al perimetro americano. Perché neanche l’uccisione della mente (insieme a Bin Laden) degli attacchi del 2001 può cancellare l’inglorioso ritiro delle forze internazionali a trazione USA che ha consegnato milioni di afghani nelle mani degli islamisti. Riavvolgiamo il nastro.
In Afghanistan torna anche la Sharia
Il 15 agosto 2021 i talebani prendevano il controllo di Kabul, mentre migliaia di civili intasavano l’aeroporto della capitale prendendo d’assalto i voli militari delle forze internazionali nella speranza di fuggire dal Paese. Qualcuno ce l’ha fatta, la maggior parte di loro è rimasta. Un anno dopo, quello che oggi si chiama Emirato islamico d’Afghanistan, è uno Stato alla deriva. Il governo talebano non è stato in grado di gestire le finanze statali (le poche rimaste, dopo la sospensione dei finanziamenti dall’estero), ha chiuso tutte le scuole femminili, imposto la segregazione e il velo integrale alle donne, arrestato e ucciso giornalisti e oppositori mentre l’ONU ha accertato numerosi casi di omicidi extragiudiziali, torture e maltrattamenti da parte della polizia di regime.
Tre giorni fa il leader dei talebani, il mullah Akhundzada, ha riunito tutti i governatori delle province dell’Afghanistan a Kandahar e ha messo in chiaro le cose: «In Afghanistan occorre applicare totalmente la Sharia, tutte le persone responsabili devono essere uguali sotto la legge islamica». Un sistema, questo, «che è nato con la benedizione di molti sacrifici, esaurimento e martirio della popolazione. Abbiamo protetto la lotta del Jihad contro decine di Paesi occupanti». Poi ha aggiunto: «Se l’occupazione fosse continuata 40 anni, la lotta sarebbe proseguita finché tutti gli invasori non fossero stati sconfitti e non avessero lasciato il Paese con la testa bassa». Parla ancora di occupazione e di invasori, il mullah. Si appella alla retorica bellicista (unico linguaggio conosciuto) e finge di ignorare che la popolazione non sta con loro e se non si ribella è solo per paura. O sfinimento.
La legge coranica ha ribaltato ogni settore della società
Un rapporto delle Nazioni Unite, uscito poco meno di un mese fa, ha infatti immortalato in maniera inequivocabile la miseria in cui versano i civili e il ribaltamento di ogni settore della società, da quello dell’istruzione a quello della giustizia passando per la pubblica amministrazione. «Nel 2022 circa 24,4 milioni di persone (il 59 per cento della popolazione) hanno bisogno di assistenza umanitaria, rispetto ai 18,4 milioni dell’inizio del 2021», si legge nel documento, che denuncia anche lo sfacelo del sistema giudiziario da quando nel Paese è ripreso il funzionamento dei tribunali secondo la Sharia (pur restando formalmente in vigore il sistema precedente).
Nel novembre scorso è stata avviata una revisione di tutte le leggi esistenti per valutarne la conformità sia con la legge islamica che con gli obiettivi e le politiche della nuova amministrazione. Oggi, non essendo ancora ultimato il processo di valutazione, nei processi si usano le norme coraniche che a volte si accavallano con quelle “ordinarie” compromettendo gli esiti e le valutazioni dei giudici. Come se non bastasse, l’ala più moderata dei talebani non è riuscita a tenere a bada altri movimenti islamici – come l’ISIS – che da mesi compiono attentati colpendo in particolare le minoranze e gli studenti (l’8 maggio tre bombe nella scuola Sayed al-Shuhada di Kabul hanno ucciso 85 tra ragazzi hazara e personale scolastico; un attentato a Kunduz, l’8 ottobre, ha ucciso circa 72 civili. Ma la lista è lunga).
La denuncia di Amnesty: matrimoni forzati in Afghanistan
Delle donne abbiamo già parlato a lungo, noi di Tempi, ma un lungo dossier di Amnesty International ha denunciato proprio nei giorni scorsi centinaia di casi di arresti arbitrari, sparizioni, esecuzioni sommarie, matrimoni minorili forzati. La popolazione femminile era scesa in piazza a protestare, nei mesi scorsi, e decine di manifestanti erano state “prese in custodia” dal regime, così come moltissime ragazze che hanno osato uscire di casa senza un mahram, un tutore di sesso maschile. Amnesty racconta che alle donne incarcerate vengono negati cibo, acqua e cure mediche.
Non che fuori dalle sbarre sia facile trovarne, ma perlomeno si può contare su una rete parentale di condivisione che aiuta a sopravvivere. Ma anche tra le famiglie la miseria si è fatta strada e così i tassi di matrimoni precoci sono cresciuti a dismisura. Secondo Amnesty l’escalation è dovuta alla crisi economica e umanitaria, alla mancanza di prospettive educative e professionali; tutti fattori che spingono le famiglie a dare in sposa le figlie minorenni in cambio di pochi denari o di qualche generica rassicurazione da parte del regime.
La partita della droga ora passa da Ankara
C’è poi tutta la partita della droga, che sta riaccendendo tensioni mai sopite. L’Afghanistan è il più grande produttore mondiale di oppio da papavero, un mercato miliardario che coinvolge da sempre contrabbandieri, milizie islamiche ma anche migliaia di semplici civili che lavorano nei campi di papavero per sopravvivere. Come già nel loro governo precedente, i talebani ad aprile hanno formalmente vietato queste coltivazioni, nell’evidente speranza di vedere riconosciuto il proprio status dalle cancellerie occidentali e poter quindi sbloccare i fondi internazionali.
Per ora l’unico effetto è stato quello di ridurre alla fame la povera gente a cui è stato impedito di lavorare nelle piantagioni, visto che il traffico di stupefacenti continua indisturbato e, anzi, ha visto la Turchia “rubare il posto” all’Iran nella gestione del contrabbando con il beneplacito del regime talebano (Ankara dal settembre scorso ha anche il controllo esclusivo dell’aeroporto di Kabul, unica via d’uscita commerciale dal Paese se si escludono i difficilissimi valichi di montagna o quelli al confine con l’Iran).
Alcuni analisti sostengono che quello dei talebani sia un bluff, visto che hanno un disperato bisogno di liquidità per poter governare e le uniche entrate sicure sono quelle dell’oppio. Ma tutto questo, ai milioni di civili imprigionati in un Paese ormai irriconoscibile, importa poco. Nelle grandi città le proteste si sono spente, nei villaggi più remoti tutto sembra immobile. La paura e l’inerzia fanno da padroni. Solo pochi coraggiosi cercano di fuggire verso l’Europa, attraverso rotte rischiose e incerte. La Sharia ha già vinto.
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1 commento
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L’azione americana è stata tanto inutile quanto controproducente e non può cancellare l’ignominia dell”abbandono dell’Afghanistan al suo destino.