La vita di una donna che decide di “donare” per soldi i suoi ovuli può essere «stravolta in soli sei mesi». Raccontando il suo calvario senza fine, Jennifer Billock smonta l’immagine edulcorata della “donatrice” altruista, propagandata dai sostenitori della fecondazione eterologa. La sua vicenda, raccontata in prima persona sull’ultimo numero della famosa rivista femminile Marie Claire, e simile a quella di tante altre donne (come raccontato dall’inchiesta di Jennifer Lahl), è cominciata con questo annuncio pubblicitario, trovato su un autobus di Chicago: “Donne sotto i 30 anni, donate i vostri ovuli e guadagnate 5 mila dollari in poche settimane”.
DONATRICE DI OVULI. Preoccupata per i debiti contratti durante gli anni di università, e convinta che il processo non doveva essere troppo faticoso se veniva presentato in quel modo, Billock decise subito di recarsi nella clinica pubblicizzata, dove diede «allo staff le foto da inserire nel catalogo dei donatori». Una settimana dopo «avevo il mio primo cliente».
«IL MIO INFERNO PERSONALE». Il processo sembrava «fantastico. Facile, indolore a parte il pizzico leggero delle iniezioni». Convinta di «aver fatto qualcosa di stupendo per un’altra persona» ed essendo «pagata profumatamente», Billock decise di rifarlo. Col tempo ne divenne come «dipendente», anche grazie «a tre medici diversi che mi dissero che aspettare una sola settimana [tra un ciclo e l’altro] era un tempo più che sufficiente». Fu così che durante un nuovo ciclo cominciò a vivere «il mio inferno personale, infilandomi aghi in varie parti del corpo e iniettando il fluido che percepivo come puro alcol etilico su una ferita aperta».
IPERSTIMOLAZIONE OVARICA. Nonostante il dolore, il medico incoraggiò la ragazza a procedere, convinto che se anche fosse stata allergica «la mia reazione non era così grave». Peccato che il processo comporti un rischio «del 10 per cento di causare la sindrome di iperstimolazione ovarica: le ovaie si gonfiano a causa della sovrapproduzione di ovuli». E anche se Billock non ha «sofferto le conseguenze più avverse della sindrome (la morte), il dottore mi disse che non aveva mai visto così tanti ovuli in una sola estrazione».
MATERNITÀ COMPROMESSA. La storia della ragazza non finisce qui. «Per estrarre gli ovuli i dottori introducono un ago cavo nelle ovaie» ma una volta per sbaglio «lasciarono un taglio che divenne una cicatrice spessa». I medici la mandarono a casa senza avvertimenti. «Quando poi, due settimane dopo, non riuscivo ancora a salire le scale da sola, tornai in ospedale. Ma mi dissero che si trattava di un problema legato all’anestesia». Invece, un mese dopo, Billock era di nuovo ricoverata: «Avevo una cisti che si era formata sopra la cicatrice ed ero collassata perché era scoppiata».
A quel punto la ragazza si ritrovò a dover fare una scelta radicale dalle conseguenze gravi: ignorare il problema, permettendo la formazione di altre cisti, rimuovere la cicatrice con seri rischi oppure le ovaie. «In ogni caso – continua la ragazza – le mie ovaie erano danneggiate. In ogni caso sarebbe stato difficile avere figli. In ogni caso avevo paura». Oggi Billock non ha «ancora provato ad avere figli», perché «so che c’è un’alta probabilità che finisca in un disastro».
«TANTI SOLDI, MA A CHE PREZZO?». Billock non cerca scuse perché «questo è il mio fardello da portare, e mio soltanto, il risultato delle mie decisioni. Devo farci i conti ogni giorno». Quello che le dà fastidio, però, «è vedere la pubblicità positiva che nei media si fa alla donazione di ovuli o sentire donne che gridano gioiosamente dai tetti quanto è facile questo processo. Mi rende furiosa. Anche Sofia Vergara e Nick Loeb, che hanno congelato embrioni in modo spettacolare e legale, mi hanno gettato in una spirale di collera. Non è sempre così facile. A volte le cose vanno male. La mia sola speranza è che le giovani donne comincino a pensarci due volte prima di donare. È vero, si fanno i soldi e magari puoi anche rendere qualcun altro felice. Ma a quale prezzo?».