Il 21 e 22 settembre si terrà un convegno nazionale per le scuole dal titolo “Educare alle differenze”, patrocinato dal Comune di Roma e proposto da tre associazioni impegnate nella diffusione della controversa “teoria gender”. Amnesty International invece ha già inaugurato l’anno scolastico proponendo alle scuole una guida che, sotto lo slogan “Scuole attive contro l’omofobia”, spiega agli alunni come si fa a diventare dei veri e propri attivisti dei diritti Lgbt.
Non sono passate nemmeno due settimane dall’inizio delle lezioni e «gli attacchi alla scuola sono già cominciati. Dopo la gravità di quanto accaduto l’anno passato con insegnamenti pro gender persino negli asili, questa volta non siamo colti alla sprovvista, anche se stiamo ancora aspettando una parola chiara dal ministro Giannini», spiega a tempi.it Roberto Gontero, presidente Agesc (Associazione genitori scuole cattoliche).
Una delle associazioni sponsor del convegno romano, il Progetto Alice, già nel 2009 promosse l’insegnamento dell’ideologia gender nelle scuole con il finanziamento del Consiglio dei ministri. Non vi eravate mai accorti di nulla?
La situazione si è aggravata l’anno scorso, quando questi progetti si sono diffusi con l’imprimatur dell’Unar, l’Ufficio antidiscriminazioni del ministero delle Pari opportunità, tagliando fuori dai tavoli decisionali i genitori. La differenza mi pare evidente: questi nuovi programmi sono volti ad imporre, attraverso le istituzioni ed usando le ore curriculari, una visione unilaterale e pericolosa per i ragazzi.
Di che pericolo si tratta?
Presentati come corsi di educazione all’affettività o contro il bullismo e gli stereotipi, in realtà propongono ai nostri figli visioni che generano confusione e incertezza. I ragazzi, purtroppo, si trovano già a vivere un’instabilità crescente, data dal clima culturale e da riferimenti certi sempre più ridotti, che chiedono il sostegno e non l’ulteriore indebolimento della famiglia. Andando a verificare i contenuti dei progetti “per l’inclusione”, “contro gli stereotipi” o “contro l’omofobia” ci si accorge dell’intento di far digerire una visione sovversiva, spiegando loro che purtroppo sono stati costretti a guardare la realtà con dei limiti imposti dalla cultura, quella che da quando è nato il mondo riconosce la famiglia come dato naturale per cui un uomo e una donna si uniscono e fanno figli. Purtroppo una concezione della libertà come assenza di limite, per cui la natura è un’imposizione, stravolge la realtà e genera individui atomizzati, educando a rapportarsi a sé e agli altri secondo i propri impulsi, qualunque essi siano.
Ad esempio?
Una libertà concepita come assenza di ogni limite genera mostri, basta pensare alla linee guida dell’Oms, in cui si diceva che persino al bambino di quattro anni non devono essere negati la masturbazione e il piacere sessuale. Crescere persone per cui tutto è determinabile dalla volontà, significa crescere individui a favore non solo dei matrimoni omosessuali, ma dell’utero in affitto, del testamento biologico fino all’eutanasia infantile. Un soggetto che si percepisce onnipotente elimina tutto ciò che lo limita, anche le persone più deboli, ed essendo incapace di sacrificarsi non potrà costruire nulla. È questa il futuro che vogliamo?
Che visione alternativa proponete?
Il Progetto Alice, ad esempio, dice esplicitamente che occorre mettere in crisi il pensiero unico sul rapporto uomo-donna, sostenendo che la scuola è troppo neutra poiché non tiene conto dell’orientamento di genere, slegato dal sesso biologico. In questo modo ci si sostituisce alla scuola, si scarta la famiglia, facendola addirittura apparire agli occhi degli alunni come la responsabile degli stereotipi da abbattere. Noi, però, non ci stancheremo mai di ribadire la sua importanza, insieme a quella della libertà concepita come adesione al bene.
Come mai l’insegnamento del gender è entrato nelle classi senza che i genitori se ne accorgessero?
Purtroppo hanno agito appellandosi alle strategia adottata dal ministro Fornero, che il famoso Unar si è preso la briga di attuare senza il parere di nessuno. Così l’anno scorso ci siamo trovati con moltissimi genitori che sono venuti a sapere solo dopo che i loro figli venivano educati all’ideologia gender. È poi capitato che anche i consigli scolastici fossero all’oscuro dalle iniziative prese singolarmente dai presidi. Quello che ci preoccupa è il tentativo di inserire questi corsi nel programma curriculare, lasciando i genitori senza la possibilità di opporsi, costretti al massimo a ritirare i figli da scuola. Sarebbe davvero paradossale se per salvaguardare la salute mentale del ragazzo gli si facessero perdere crediti per passare l’anno.
Come si può risolvere il problema?
L’educazione alla sessualità deve avvenire anzitutto in famiglia, gradualmente e naturalmente. Bisogna ricordare che i giovani non hanno bisogno che gli si spieghi il sesso o l’autodeterminazione, ma di capire ad esempio chi sono e perché uomo e donna sono preziosi l’uno per l’altra. Insomma i ragazzi ci domandano il significato dell’amore e del desiderio, a cui la società multimediale cerca di rispondere con il “mordi e fuggi”. In un clima simile, in cui tutto è online e dove non c’è più discrezione né intimità, la scuola non può fare finta di nulla. Detto ciò, se decide di agire a questo livello, bisogna che la modalità sia pianificata con il consenso e la corresponsabilità della famiglia.
Se il soggetto educativo primario è la famiglia, non dovrebbe essere facile vietare questi scavalcamenti?
Il ministro dell’Istruzione deve porre dei vincoli chiari e certi affinché la libertà di educazione non sia lesa. Abbiamo già chiesto il coinvolgimento delle famiglie quando ci siamo incontrati con Stefania Giannini il 5 maggio scorso, proprio per non dover correre ai ripari in seguito. Per ora però questo tema non è ancora stato approfondito. Il problema è che non si può più attendere: più il tempo passa più nelle scuole si diffondono questi progetti pericolosi a nostra insaputa.