La preghiera del mattino
Vista da Washington, adesso Roma appare molto più vicina (di Parigi per esempio)
Su Open si scrive: «Si è affrontato a lungo, invece, il tema dei rapporti con la Cina. E anche del nodo – che l’Italia ancora deve sciogliere – della Via della seta. Ma senza nessuna pressione americana, assicura la premier: “Gli Stati Uniti non ci hanno mai posto la questione di cosa debba fare l’Italia”, ha precisato confermando che una visita a Pechino rimane in agenda e sarà una delle “prossime missioni”. Secondo Meloni, Biden ha apprezzato lo sforzo dell’Italia sul fronte Sud e sul Mediterraneo. La premier ha anche detto che l’Africa sarà al centro della presidenza italiana del G7. Così come la sicurezza alimentare, un tema che finisce sul tavolo proprio mentre Vladimir Putin annuncia la rottura del patto sul grano ucraino. L’agenzia AdnKronos scrive che con Biden Meloni ha affrontato anche il nodo dell’imponente piano messo in piedi dagli States per contrastare l’inflazione, con contraccolpi innegabili per l’Europa. Chiede “che le aziende italiane non siano penalizzate”».
Open riassume bene i temi dell’incontro tra Joe Biden e Giorgia Meloni. Senza dubbio centrale è l’appoggio all’Ucraina aggredita dai russi e l’impegno a contrastare e contenere l’egemonismo cinese. Da sottolineare è in particolare il ruolo che Washington di fatto attribuisce a Roma per costruire una politica nel Mediterraneo, in Africa e Medio Oriente che affronti la sfida russo-cinese.
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Su Formiche Gabriele Carrer scrive: «La cooperazione è fondata su innumerevoli accordi tra università e centri di ricerca dei due paesi e su migliaia di collaborazioni tra singoli ricercatori all’interno del quadro di riferimento rappresentato dall’Accordo bilaterale scientifico e tecnologico firmato nel 1988. Il documento [prevede] un aggiornamento delle priorità ogni tre anni attraverso una dichiarazione congiunta. Quella in vigore è stata firmata a Roma a gennaio e prevede le seguenti aree prioritarie: fisica (particolare rilievo ha la collaborazione tra i laboratori del Gran Sasso e il Fermi Lab di Chicago) e astrofisica, scienze della Terra, applicazioni e osservazioni; scienze della salute e della vita; cambiamento climatico e mitigazione; materiali avanzati; scienza dell’informazione quantistica; transizione energetica; transizione digitale e intelligenza artificiale con focus su robotica e veicoli autonomi (a settembre è stato siglato un memorandum d’intesa tra il ministero dell’Università e della ricerca e la National Science Foundation per il finanziamento di progetti di ricerca italo-americani dedicati all’intelligenza artificiale)».
È utile l’analisi di Carrer sui risvolti economici della collaborazione strategica americano-italiana. Sono finiti i tempi nei quali si puntava sul cacciare l’Eni dalla Libia, mentre da questo o quel “servizio” di potenze alleate arrivavano alle procure italiane documenti più o meno farlocchi su operazioni corruttive del nostro ente petrolifero di Stato in Congo. O simili iniziative si intraprendevano per sabotare gli elicotteri Agusta in India. In tempi di nuovo politicamente difficili, il business tricolore riacquista anche “politicamente” un suo spazio.
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Su Dagospia si riprende un articolo di Ilaria Lombardo per La Stampa dove si scrive: «È vero, come fa notare il Washington Post, che, grazie al sostegno incondizionato alla causa ucraina, Meloni è “entrata nel club ristretto dei leader di estrema destra invitati alla Casa Bianca da Joe Biden” (a differenza del brasiliano Jair Bolsonaro o dell’ungherese Viktor Orbán), ma restano comunque le distanze con il presidente americano».
Certo, su diversi temi le forze che sostengono l’amministrazione Biden e quelle che appoggiano il governo Meloni hanno posizioni differenti, talvolta molto differenti. Però l’incontro tra Joe e Giorgia avviene proprio nel giorno in cui un altro colpo di Stato “Wagner partecipato” avviene in Niger, Stato importante di un continente nel quale Parigi aveva assicurato Washington nel 2011 che avrebbe portato tutta la situazione sotto controllo. E anche nello stesso giorno in cui Emmanuel Macron (dicendo che si assiste nell’Indo-Pacifico, e particolarmente in Oceania, a un nuovo imperialismo e a una logica di potere che minaccia la sovranità di diversi Stati, spesso i più piccoli e i più fragili) pare mettere sullo stesso piano Cina e Stati Uniti. Insomma, alla fine le divergenze cultural-ideologiche tra Roma e Washington paiono essere minori di quelle strategiche tra la capitale americana e Parigi.
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Sulla Zuppa di Porro Nicola Porro scrive: «Stupenda La Repubblica, apre in prima pagina: “Fisco, Fmi boccia l’Italia”. Per tutti gli altri giornali, la notizia è un box e non c’è alcuna bocciatura. Informazione perfetta».
Porro fa bene a invitare a sorridere su certe sparate antimeloniane, però un qualche problema di peso sul tema della governance economica globale l’Italia ce l’ha. E in molti dovrebbero riflettere su quanto ci siamo indeboliti non eleggendo nel 2022 Mario Draghi presidente della Repubblica. In questo senso c’è chi ritiene che le manovre (di cui si è parlato recentemente e che gli isterici antimeloniani hanno interpretato come un attacco al governo italiano) per portare Draghi alla presidenza del Consiglio europeo nel 2024 poggerebbero (al contrario di contrapposte valutazioni) su una convergenza tra Roma, Washington, l’atlantismo di “anseatici” e “mediterranei” nonché di settori della politica tedesca (Cdu e Verdi innanzi tutto) per stabilizzare (e in parte “depolarizzare”) una politica italiana sempre più fondamentale per gli equilibri internazionali.
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