
Vogliono lasciarlo morire di fame e sete. Un appello per fermare la sentenza su Marcelo Diez [link url=https://www.tempi.it/videogallery/marcelo-diez#.UZX-gitOpyQ]Video[/link]
Quella di Marcelo Diez, 49 anni, argentino, è la storia di una persona gravemente handicappata da quando aveva 30 anni. Marcelo, amato e accudito per 14 anni dai suoi genitori, residenti nella città di Nequén, adesso rischia di morire di fame e di sete: il caso, noto alle cronache da quattro anni, sta infiammando l’Argentina, da quando il 19 aprile scorso il Tribunale superiore di giustizia ha dato la sentenza nefasta: Marcelo potrà essere privato dell’alimentazione e dell’idratazione.
LA VICENDA. Il 23 ottobre del 1994 il giovane fu investito da una automobile mentre era a bordo della sua moto. In seguito, l’8 dicembre dello stesso anno contrasse un’infezione Luncec di Nequén che lo portò alla sua condizione attuale. Lo stato del ragazzo, dai racconti di chi lo cura, è di coscienza minima. È in grado di comunicare, per esempio, quando è stanco o felice.
Andrés e Trude, i suoi genitori, dopo l’incidente trasformarono la sua casa in un piccolo ospedale. Nel 2003 Trude, malata di tumore, morì. Nel 2008 scomparve anche il padre Andrés, colpito da un’infarto.
I GENITORI. Alla morte dei genitori, le sorelle, Andrea e Adriana, diventarono le sue tutrici. Da allora Marcelo è curato nella clinica Luncec di Nequén. Di lui sono apparse in tv e sul web immagini (vedi la pagina di facebook “no maten a Marcelo Diez“) in cui si vede che tiene gli occhi aperti e risponde agli stimoli, come hanno raccontato spesso le infermiere e i medici che lo accudiscono.
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Nonostante ciò, le sorelle hanno portato avanti per quattro anni una campagna legale e mediatica con il fine di privarlo dell’alimentazione e dell’idratazione. Da allora chi accudisce l’uomo, parte della società civile e la Chiesa cattolica hanno iniziato a difendere il ragazzo. E ora che il tribunale ha dato ragione alle due donne c’è chi ha chiesto loro di fermarsi, disposto a prendersi cura di Marcelo «fino a quando la sua vita in terra non terminerà naturalmente». Sono queste le parole di Virginio Bressanelli, vescovo di Neuquén e vicepresidente della Conferenza episcopale argentina, che, interrogato dal Tribunale, ha detto: «In Marcelo vediamo Gesù, ogni persona che ci sta accanto è preziosa agli occhi di Dio Padre». Il vescovo ha poi sottolineato che l’uomo non è attaccato a nessuna macchina, al contrario di quanto pubblicizzato: «Non è un malato terminale non si può quindi applicare la legge sulla “morte degna”. Morire di fame e di sete è una morte atroce che corrisponde a una pratica eutanasica».
OFFERTA D’AIUTO. All’offerta di aiuto della Chiesa le sorelle non hanno neppure risposto. Perciò, il 12 maggio scorso, l’avvocato difensore di Marcelo, Ricardo Cancela, ha presentato ricorso: «Questo caso è fuori da quello previsto dalla legge, perché stiamo parlando di una persona che mantiene le sue funzioni fisiologiche (…) respira da solo, che significa che non è connesso a nessun apparecchio meccanico, riesce a tenere su la testa, alterna la veglia al sonno ed è in buono stato fisico». L’avvocato ha poi ricordato le testimonianze di quanti stanno accanto a Marcel, che riportano come risponde incontrando le persone, «dando dei segnali che non sono reazioni».
LA SOTTOSCRIZIONE. Il vescovo nel suo appello ha aggiunto che «in questo caso non ci resta che dare dignità a tutti: abbiamo bisogno di moltiplicare l’amore e di abbandonare con umiltà la nostra smania di onnipotenza». Per sostenerlo è stato lanciato un appello sul web che chiunque può sottoscrivere.
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5 commenti
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I genitori lo accudivano amorosamente, le sorelle lo vogliono abbandonare. Che tristezza. Lui ha chiesto di morire? No. Allora, rispetto ed ascolto profondo.
incidente del 94, siamo nel 2013. ma lo lasciate mori in pace sto poro cristo? ma la pietà non sapete cos’è?
Togliere gli alimenti è un delitto, e anche togliere l’idratazione, oltre a essere un delitto è una tortura prima di morire…
Continuare l’alimentazione
Togliere gli alimenti, e’condannare ad una morte atroce